Isabella Ceccarelli
Collabora con Meer da marzo 2023
Isabella Ceccarelli

Il giorno di San Martino, l’11 novembre, a Gubbio nel quartiere omonimo è festa. Una festa come una volta, di quelle che hanno il sapore della comunità, delle cose semplici e sane, dove ci sono mamma, babbo, figli nei passeggini, bambini che si rincorrono e si nascondono: il fuoco acceso, la brace che cuoce le salsicce; il palo della cuccagna ingrassato con in cima gli ambiti premi, la gallina a testa all’ingiù. Piazza Giordano Bruno è piena di gente davanti la chiesa medievale; il buio scende presto tra le lingue del fuoco, i lampioni illuminati, e le finestre accese nelle case, il fumo di freddo esce dalle bocche che incitano le squadre. Una su tutte vince quasi ogni anno. Il vino nuovo è nei bicchieri in mano. A San Martino, ogni mosto è vino. È il giorno in cui sono nata io. Cellule e geni antichi che ancora echeggiano nei vicoli, tra le pietre medievali della città, il vento freddo tra la gola dei monti, contribuiscono a dare forma tempra e vita alla sua gente, a me. I legami con la storia pervadono le tradizioni che diventano sentimenti importanti, rispetto. Se potessi scegliere, vorrei vivere qua.

Giorno e mese fatale; il luogo, lo zodiaco, la congiunzione astrale; il ritmo delle stagioni, i profumi delle montagne, i colori delle campagne, le case, le chiese nascoste e la vita che sparpaglia i suoi frutti, scompiglia i capelli. Insomma, un giorno non da poco per scegliere di nascere.

Non si può sempre vincere o arrivare dove si vuole, a volte ci si deve fermare per forza, ripartire; fermarsi e guardare per travalicare oltre i confini e oltre questi orizzonti che appaiono chiusi tra le montagne e questa stretta pianura; ma a Gubbio ci sono i tramonti più meravigliosi di cui si possa godere. Ti osservano ovunque sei, entrano in casa discreti che nemmeno ti rendi conto, combinano i colori e ti accorgi che hanno cambiato le stagioni, ed è primavera così all’improvviso, un giorno di maggio il gonfalone si gonfia di vento e svetta alla città, s’inchina al suono del campanone in Piazza Grande quando inizia l’anno e i Ceri s’impadroniscono del Monte – Ingino - dell’anima di una comunità intera. Si balla tutta la notte nelle piazze.

Anche io ho desiderato di andarmene via, da ragazza, grandi sogni e piccoli scogli, guardavo, correvo. Sognavo. L’università, scrivere per redazioni, collaborare con la tv locale, cercare un posto tra l’inquietudine dei sentimenti che s’affacciavano dalla vita e ogni canzone restava come tema di un giorno, di un viaggio a Milano e non è più andata via. Io guardavo appoggiata al davanzale.

Dire chi sono resta complesso perché a volte quando sembro afferrare quel senso, allora cambia movimento, prospettiva e poi, mi ci devo abituare, alla nuova me stessa, alla nuova direzione, alla nuova percezione delle mie antiche inclinazioni.

È ai bordi di questa esistenza che arriva la spinta del coraggio, da dietro. Fa paura guardare il coraggio in faccia.

Tra un collasso e l’altro, tra inciampi, depressioni e buone intuizioni quello che ho fatto è solo un gradino in più, quel mattone in più della vita: due figli e due libri, guardare fuori dal finestrino. I sogni sparpagliati per le stanze, o mal riposti nei cassetti semiaperti. Il disordine non è contemplato, eppure si fa strada da solo, come se volesse che qualcosa diventasse reale. Serve vita. Serve energia. A volte se ne esce triturati. E ci si sorprende sempre a guardare le stelle. A guardare il cielo notturno freddo di gennaio.

È come se qualcosa che s’intuisce, comprende che deve iniziare ad esistere. Una particella quantistica che vuole divenire reale. Esige la vita!

Amo la poesia nelle sue forme tra l’impalpabile e il sogno. Amo i sapori e lo stupore. Quello che non mi aspetto e che aspetto; quello che non riesco a comprendere. A volte la rabbia sfrutta le situazioni. La vita reclama la sua immaginazione e la sintesi richiede il grande sforzo del lavoro. Già, quella che si chiama sintesi ed immaginazione, sembrano essere le cose meno costose eppure le più faticose. Ci si trova a guardare un muro davanti. Come fosse un foglio bianco.

In un viaggio nello Sri Lanka ho mangiato ogni giorno il pranzo della guida. Facevamo a cambio di cibo di piatti, di emozioni. Non ricordo il suo viso.

Vorrei non pentirmi e perdere niente o poco, ma non è possibile. Ed è proprio questa possibilità che apre nuove libertà che non avevo previsto.

Il vino, il cibo, l’arte, l’osservare prospettive, percepire sensazioni, sentimenti per trasmetterli in valori leggibili.

Mia mamma non sapeva che tempo faceva fuori quando io nascevo; sicuramente era troppo impegnata a farmi nascere. Ma il giorno di San Martino c’è sempre una semplice quiete. Lo scorrere del tempo è liquida materia; la luce accondiscende il tempo, dà forma all’esistenza.

Qualcuno arriva sempre a cena, o dopo, con una bottiglia da aprire. E si resta a parlare anche quando il vino è finito; a volte anche di cose importanti. Arriva l’alba e mi accorgo che lo spazzino ci guarda con la scopa in mano. Un giorno e altre cose da fare e luoghi dove andare: il lavoro, che sostiene i sogni e i desideri.

Come ho fatto ancora a non affogare, non lo so, forse perché ho imparato a galleggiare a pancia in su. Anche se a volte potevo sembrare il cadavere che il nemico aspettava a passetto… io guardavo d’incanto il cielo, le stelle gli odori, la terra rossa d’Africa. Forse è perché parlo con gli animali. Invidio chi balla così bene il tango, e non smetterei mai di arrampicarmi sugli ulivi.

Mi chiedo spesso quanti anni ho. Mi sfuggono. Ma poi mi distraggo e guardo un quadro, leggo un libro, bevo vino.

Dopo tutto sono abbastanza la persona che avrei voluto essere, quella che immaginavo. Sotto diversi punti di vista da migliorare. Così sono diventata degustatore Ais; sono entrata a far parte delle Donne del vino, sono guida per degustazioni di vino e cibo e in giuria per concorsi enologici. Collaboro con alcune redazioni e uffici stampa, sono autore di due libri, uno è di poesie.

Ci sono perdite, persone, sbagli, attese, amore, mancanze nella mia vita, più di conquiste. Incontri per le scale col padrone del mondo. Saluto con educazione senza riconoscerlo.

Sono tante le persone con le quali vorrei ancora parlare e scrivere di loro, raccontando i sentimenti che animano ognuno di noi.

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