Pietro Pascolini, porta tutto il suo territorio, la storia, le tradizioni, nei suoi piatti. La base solida che lo accompagna nel suo percorso formativo tra le cucine dei grandi chef sono le tradizioni della sua terra, i sentimenti che lo hanno fatto crescere e sono stati in grado di dargli la passione e la spinta fondamentale verso nuove esperienze.

Chef, a 24 anni appena ha già solcato cucine importanti tra Italia ed Europa, partendo dalla scuola alberghiera Felice Cavallotti di Città di Castello, in Umbria, e il lavoro nei ristoranti della sua città natale, Gubbio, durante il periodo degli studi: La Locanda del Duca, Taverna del Lupo, Porta Tessenaca, Borgo Santa Cecilia; che a Pietro hanno dato la consapevolezza che questa è l’unica strada che vuole percorrere. Ristoranti che gli hanno dato basi lavorative dove mettere in pratica quello che studiava a scuola e nello stesso tempo un’impronta rivolta al futuro tra i fornelli di quei ristoranti che erano tra i più ricercati dai gourmet che provenivano anche dall’altra parte dell’oceano.

A modo suo. L’attaccamento alle radici, alla famiglia, alla città di Gubbio, sono i valori che consegna attraverso la cucina, con i sapori e il piacere di una preparazione culinaria; lo stupore dei suoi piatti sono le emozioni che lo hanno fanno crescere, i legami che porta con sé da tutta la vita, “sono i sapori che racchiudono momenti particolari, prima di quando eri bambino, poi di quando vai lontano da casa, la mamma e la nonna che preparano il pranzo, le mani che fanno i cappelletti; in un piccolo gesto è custodita l’essenza di chi siamo, il sentirsi a casa”.

Finita la scuola, subito a Bormio; poi in Toscana dal pluristellato Enrico Bartolini; al Grand Hotel Tremezzo sul Lago di Como; alla Langosteria di Milano; fino a Parigi, al Cheval Blanc di Louis Vuitton. Cucine extra lusso; esperienze altamente formative, dove al personale si chiede sempre il massimo, ma che portano nuove prospettive e obiettivi attraverso le metodologie lavorative degli Chef più conosciuti, le pressioni nella cucina, le capacità tecniche, le ambizioni rivolte al sapore assoluto, alla presentazione perfetta. E ogni piatto, ogni cibo cucinato è un ricominciare quasi dal principio, attraverso una nuova intuizione, un profumo legato ad un ingrediente, alla ricerca dell’equilibrio o del caos; fino a che Pietro riesce a mettere nel piatto non solo i suoi sogni, ma la sua storia, le emozioni, il territorio, i luoghi, la creatività, i sentimenti per la propria terra e le origini slegate e ricomposte in nuove visioni. Legami che vanno scomparendo in questa società digitale. Anche per questo il cibo deve tornare ad essere fondamentale, deve nutrirci, nutrire l’anima, nutrirci di emozioni per ritrovare ciò che c’è di essenziale e vero nella vita di tutti i giorni. Mettere tutto insieme non è sempre facile, a volte la spontaneità non porta a quel fine ben preciso che Pietro si era immaginato, manca qualcosa o c’è del troppo da levigare e amalgamare; qualcosa stona o semplicemente l’immaginazione esige altro; un’altra intuizione in corso d’opera. Ecco, in cucina non ci sono limiti, come non ci sono nella sua testa e nel suo pensiero che sa far sorgere un estro sempre nuovo, estrae dal suo intimo un’emozione che rivendica nel piatto finito e in ogni cucina che attraversa riesce a comprenderne l’atmosfera, il mood, senza mai deludere le aspettative, nemmeno del cliente.

Così il piatto finito, la preparazione, diventa l’espressione del suo stato mentale, dello stato d’animo di un momento preciso, dei suoi sentimenti, delle sensazioni che attraversa, ma anche della tenacia per raggiungere un risultato che sa di essere possibile non solo attraverso una visione. Tutto è concentrato nel gusto e nell’emozione che deve raggiungere chi mangia, il cliente che diviene il centro della sua stessa esperienza: si viene a creare una tensione fatta di percezioni tra le sue espressioni e quello che si prova, nel gustare un cibo, nel sapore che riesce a portare un’emozione, un senso di benessere e piacere antico che sa ancora colmare il cuore. Così qualsiasi spiegazione diventa superflua. Ma il piatto diventa esclusivo, ricercato da chi lo ha potuto assaggiare. È solo suo.

Sono le cose semplici quelle che sanno farsi ricordare, eppure sono sempre le più complesse perché permeate da quanto più di immateriale c’è. Il rispetto è valore fondamentale: valore verso quello che si fa, rispetto per le persone e per le materie prime, per le stagioni; niente forzature per voler stupire a tutti i costi; non devono esserci scarti perché tutto può essere utilizzato e cucinato, anche le ossa. È solo sperimentando che si ottengono sempre nuovi risultati e si apprende sempre qualcosa in più. Se l’intuizione è una scintilla che non ha criteri, la sperimentazione esige la tecnica. È un atto creativo e artistico come una conciliazione con il cibo, con la materia prima che si ha nelle mani che va studiata, compresa per arrivare all'obiettivo che poi assaggi, nel mezzo c’è il tempo che trascorre, la cultura personale.

La natura è il carrello della spesa di Pietro, il bosco, le piante officinali e quelle di campo, i fiori: salicornia, ginepro, cipresso, asparagi, funghi, borragine. Tutto usato nel modo dovuto e sempre diverso porta ad un risultato a volte che nemmeno ti immagini. Dalla prima idea iniziale, ai cambi di paradigma man mano che si lavora un prodotto, si utilizza un’erba che spesso è solo di quel territorio, una radice che ti porta a dar forma a qualcosa a cui non avevi ancora pensato. Un divenire, che è quasi un lasciarsi guidare dall’energia stessa della materia che va cucinando.

Fino ad ora è sicuramente lo Chef Bartolini quello che lo ha formato di più, attraverso il lavoro che non è fatto solo di tecnica e ore in cucina, ma anche di tempo in mezzo alla natura: la mattina presto a cercare erbe spontanee, raccogliere bacche, dal ginepro al cipresso, in base alle stagioni e ai tempi migliori di raccolta; si impara a sentire gli odori, a nutrirsi dell’aria dei boschi, a raccogliere le erbe e i fiori dei campi. Anche questo porta a capire cosa vuoi mettere nel tuo piatto finale, ma soprattutto quello che vuoi riuscire a trasmettere. La natura già di per sé stessa da tutto, in ogni luogo gli ingredienti esclusivi, una super-nicchia che va esaltata, ogni luogo ha i suoi odori caratteristici e inconfondibili, dati dalle essenze di cui è formato, le erbe spontanee nelle diverse stagioni, da utilizzare, odori che aleggiano nell’aria. Così riporti il territorio nel piatto, fai conoscere e riconoscere un luogo attraverso un sapore, anche indefinito.

La cucina tradizionale non solo va rispettata, ma soprattutto esaltata attraverso la propria personale esperienza. A volte più vai lontano, più comprendi meglio la tua storia, i piatti delle tradizioni, e vedi con occhi nuovi quello che c’è sempre stato. Oggi si tende a togliere quello che un tempo era necessario, sono cambiate le esigenze, non solo i gusti, si cerca la freschezza attraverso la stagionalità e un nuovo convivio con la propria personalità. Quella classica della tradizione è una cucina che non muore mai. Per questo va esaltata, non snaturata o banalizzata, e Pietro ci mette la sua personalità, la sua filosofia, che diventa l'ingrediente segreto che fa unico il piatto.

Ma la creatività, che un po’ ha anche a che fare con la creazione, esige movimento anche intellettuale. Ecco allora che Pietro tratta i pesci come fosse carne per trarne dei salumi veri e propri. Il ricordo nasce attraverso i sapori, ma poi ha una destinazione diversa, una sua propria vita fatta di bilanciamento, utilizzo saggio del sale delle marinature, degli aromi. Oppure, la selvaggina che Pietro riscopre, come la faraona con la quale prepara il sashimi.

Ogni ingrediente un mondo, come la pasta, non solo fatta a mano, ma creata a partire dalle farine, dal principio naturale della scelta del grano e delle miscele dei grani, ognuno con le sue caratteristiche che portano sempre a qualcosa di diverso, mai standard.

Lo stupore di chi gusta i suoi piatti, già alla vista, è racchiuso nella coerenza e nella fluidità del sapore, nell’esclusività del guasto che nasce da radici importanti, della cultura del cibo e delle tradizioni; la nostra è una cultura bellissima da mantenere attraverso la quale riusciamo a mangiare i valori immateriali, come il gesto antico e saggio del chiudere i cappelletti.