Sembra impossibile, ma le cose che si tramandano da generazioni, non vengono mai perse, vivono e rivivono, partendo sempre dalla memoria di gesti e saperi, ricorrenze e legami. Nasce così, anche questa storia, quella di Cristiano Baldoncini che ritorna alle sue origini, alla terra e al primo nutrimento essenziale: il pane.

Il percorso è stato lungo, meditato, sofferto sotto tanti punti di vista; all’inizio un hobby, un modo per uscire da una routine lavorativa di impegni e scadenze, una ricerca di se stesso avvicinandosi all’agricoltura sinergica, imparando gli elementi fondamentali dei cicli della natura, delle piante e dei lavori manuali.

Era l'orto di un ristorante di lusso in cui lavorava. Ma il contatto con la natura riporta in modo naturale, un contatto ancestrale con l’umanità, anch'essa quasi perduta, ma c’è sempre speranza. è così che il vicino di orto inizia a dispensare consigli da vecchio saggio, da uno che con la terra ci è sempre stato con i piedi ben piantati sopra, le mani hanno afferrato la zappa, i muscoli hanno affondato forza e rigirato zolle su zolle che significava dare vita al cibo per la famiglia, provvedere alla necessità di tutti i giorni, come avveniva da generazioni, non tanto per mangiare genuino.

Chi si fa da sé il cibo conosce segreti della terra ormai dimenticati, o quasi, e sa trasmettere con la naturalezza delle cose ovvie, sono tecniche e piccoli trucchi applicati prima ancora che insegnarli. Stare ore piegato sulla bassa terra e trovare riposo nelle parole e nei consigli, gli riportano pian piano a fior di pelle i ricordi di bambino, distratto tra i gesti quotidiani della bisnonna, che mentre affondava le mani in un ammasso informe di acqua e farina, impastare tutti insieme una nuova vita e le braccia fragili, erano capaci di mostrare muscoli nascosti sotto l’abito da casa e lavoro, quello che sembrava quasi una vestaglia di un fondo scuro e fiorellini piccoli piccoli stampati a colori non troppo vivaci. Anche l’abbigliamento sembrava non voler disturbare: tutto un mondo di lavoro che aveva ritmi precisi, cadenzati avvolti nel rispetto.

Perché per fare il pane ci vuole rispetto, rispetto che solo le donne sanno avere, il rispetto per la vita, per il secondo nutrimento della vita: il primo è il latte materno.

I tempi erano ormai cambiati, la bisnonna padrona della madia e madre del pane, non c’era più, tutto finito in soffitta tra scatole e vecchie foto ormai da buttare e farci la legna per il camino.

Ma Cristiano era tornato a casa e il lavoro era già più vicino alla terra, a contatto con un’originalità che si apprende pian piano con il lavoro di tutti i giorni e dalla passione, poi diventa un lavoro vero e proprio. Salva la vecchia madia che toglie dalla soffitta, forse più per ricordo che per una vera e propria necessità, simbolo di gesti antichi, non solo di ricordi nostalgici che riaffiorano a poco a poco, come trame legate guardando il legno sbiadito del mobile, la spianatoia, la tavola che aveva la doppia funzione di chiudere e proteggere la farina e base solida dove impastare che sembrava ancora polverosa di farina e impasti.

È in quel momento che capisce, non sono solo ricordi, non è nostalgia. È vita.

Raschia piano piano la spianatoia che era stata per decenni silenziosa custode della vita; raschia con uno stuzzicadenti non appuntito per non portare via il legno, ma solo quell’impasto che era rimasto intruso attaccato tra le fessure del legno che aveva protetto e custodito il lievito, la madre. Inizia così ad impastare con nuova farina e acqua e a ricavare una nuova vecchia pasta madre per il pane di tutti i giorni.

Il lievito non muore mai, si secca, si addormenta, ma non muore; invecchia e con il tempo si arricchisce di nuovi ceppi di microrganismi; gli spostamenti lo arricchiscono e prende qualcosa di nuovo ogni volta, da ogni luogo.

Il legno è il modo migliore per conservare il lievito e la madre: tra due tavolette ben pressate, ben strette, anche colombo nei suoi viaggi portava con sé la madre.

Cristiano però non si accontenta e inizia a studiare storia, storia dell’arte, perché vuole capire da dove proviene quel pane, da dove arriva e da quanto lontano viene la storia del pane in Umbria, Tante domande, che ad ogni risposta si aprono nuove domande. Gira nei musei, osserva e ricerca. Per il pane, alimento di millenni, costruttore primo di civiltà, quasi non esistono fonti e documenti e nemmeno ricette. come se tutto fin dall’origine fosse assolutamente immutato.

La Guerra del Sale, in Umbria ha portato una insurrezione contro le tasse salate dello Stato della Chiesa sul sale; i fornai iniziano a panificare un tipo di pane che dal 1540 ancora si mangia, quello che Cristiano ha sempre mangiato impastato in casa, il pane da tutti conosciuto come Sciapo, senza sale.

Panifica il suo pane, intriso di storia e continua la ricerca, intorno al grano, e scopre un miscuglio di grano antico, conosciuto come Siligo, un grano, che poi in un campo è una molteplicità di grani diversi in tipologie e varietà. Cerca di trovare quelli originari, o per lo meno quelli che si avvicinano al 1500, selezionati dai contadini, e li cerca tra i quadri, negli affreschi, nelle chiese, ovunque un'immagine possa suggerirgli un appiglio, un legame di continuità tra la selezione empirica e quella naturale. Trova così un grano naturalmente sapido, alto anche un metro e settanta centimetri. La natura è fantastica. L’uomo toglie, lei dona.

Trova sempre in chiesa, tra le parole del vangelo un legame con l’accestimento e con la moltiplicazione delle spighe.

Storia, natura, religione, cultura, tutto viene legato da Cristiano, impastato con la sua nuova vecchia madre di lievito. Un pane storico, ma storico veramente, che chiama semplicemente 1540. Il pane legato alla terra, il pane.

image host

Assaggia, come i vecchi contadini, i suoi semi per conoscerli e riconoscerli; semina a mano, raccoglie con i cavalli, che usa per tutti i lavori. Rifiuta l’utilizzo del gasolio e di mezzi pesanti che possono compattare la terra. I suoi impasti sono solo ed esclusivamente fatti a mano, in un casolare di campagna, messi a lievitare nelle ceste, dove il legno ancora una volta diviene protagonista e custode.

Un’agricoltura che ritorna ad essere al centro della produzione e dell’uomo, un’agricoltura naturale e storica. Nelle sue prime battiture era solo, poi una signora, anziana, anche lei con quella specie di abbigliamento da casa, quasi una vestaglia dal fondo scuro, con stampati tanti piccoli fiorellini pallidi, inizia a cantare, gli stornelli della battitura. Perché non si può fare un lavoro faticoso senza cantare, non si può lavorare a contatto così stretto con la terra, senza cantare.

Il pane nasce con il grano, le coltivazioni di grano nascono con il pane. Cristiano ha riportato in vita un circolo vizioso dove la natura riconosce se stessa, riacquista la sua memoria, si ricorda e ritrova la sua vera natura. Per perdere tutto è bastata solo una generazione.

Oggi gli ettari coltivati da Cristiano in Val di Chiascio, sono venti; un numero veramente considerevole tra etica ed economia circolare per un progetto di azienda agraria autosufficiente, in cui tramandare significa trasmettere i valori di un’economia virtuosa in cui il principio si trova solo dentro se stessi, nella consapevolezza della propria vita.

Non solo uno sguardo etico e una mente aperta, Cristiano ha interiorizzato tutto un mondo, condensato in sé gesti e saperi di millenni.