Questa è la terza e ultima parte di cui si compone l’articolo relativo all’intervista a Roberto Siconolfi sociologo, saggista, direttore del canale YouTube “La Nuova Occidentale”, analista di fatti sociali e politici, studioso dei media, di filosofia tecnologica e dell’intelligenza artificiale. Lo scopo è vedere se, dietro quella che sembra una più o meno lucida follia, si celi un piano ben strutturato. Troverete Qui gli articoli precedenti.
D’Angelo. Credi veramente che lo Stato dovrebbe essere, diciamo, trasparente nel senso di non esistere se non per il minimo indispensabile? Non credi che ci siano delle attività dello Stato che debbano essere a suo esclusivo appannaggio, per esempio i trasporti, la sanità, l'istruzione. Settori che attualmente, ma già da qualche anno non godono di ottima salute, anzi; e forse proprio a causa di una lenta e devastante cessione da parte dello Stato ai privati. Come non vorrei nemmeno essere negli Stati Uniti, dove se non hai un'assicurazione privata neanche ti fanno entrare in ospedale.
Siconolfi. Su questo argomento, come sulla questione dazi, vi è una dialettica interna allo stesso movimento populista trumpiano. C'è la parte di J.D. Vance, per esempio, di stampo cattolico-conservatore di nuovo tipo, che è favorevole all'intervento dello Stato in ambito sociale, che vuole dare più poteri allo Stato per riequilibrare le diseguaglianze sociali. Poi c'è l'altro lato, incarnato da Elon Musk e da Peter Thiel, che invece appartengono a quella cultura anarco-capitalista americana, paleo-libertaria si potrebbe dire, nella quale appunto lo Stato deve essere ridotto ai minimi termini perché per loro è fondamentale lasciare totale libertà allo slancio creativo e produttivo dell'individuo e al potere delle comunità.
Il trumpismo non è una visione unica condivisa. Anche sui dazi si è constatato questo dualismo: Musk è stato il primo a rimproverare a Trump sulla questione dei dazi, contrari alla libera economia e molti dei dissapori che ha avuto con il presidente partono anche da questa differenza culturale.
Per venire all'Italia, anzi, per quanto riguarda l'Unione Europea, la pressione delle oligarchie, dei comitati tecnico-scientifici nel regolamentare, disciplinare la nostra vita, è talmente forte che non si può fare altro che cercare di favorire una riduzione di questo gigantesco apparato. E certo, sono assolutamente d’accordo che rimangano dei servizi minimi garantiti dallo Stato.
Per esempio, le autostrade collegano tutta la nazione ed è un sistema che, nonostante tocchi l'autonomia delle comunità locali, deve avere a che fare per forza con lo Stato. Stessa cosa, come hai detto tu, vale per la sanità, le scuole, le Forze dell’Ordine. Tutto ciò va lasciato nelle mani dello Stato e vanno efficientate, perché non voglio pagare un servizio, ma il treno si ferma nella tratta per mezz'ora e più. Però iniziamo ad affrontare anche l'idea di “Stato”.
Lo Stato moderno non è un assoluto nella storia, nasce con la Rivoluzione francese, col giacobinismo, diventando poi quell'apparato gigantesco nel quale se c'è una buona dirigenza politica le cose vanno più o meno bene, come nella prima Repubblica. Nel caso di una pessima dirigenza politica, le cose vanno malissimo per le libertà degli individui e delle comunità locali.
Ritengo che sia giunto il momento di fare una riflessione sul senso dello Stato com’è inteso oggi, perché personalmente nella battaglia contro il neoliberismo vedo molta di quella mentalità statalista e accentratrice, che è poi la causa principale della situazione che stiamo vivendo. Bisognerebbe capire altresì cos'è il neoliberismo.
Se per neoliberismo s’intende un mercato iper-regolamentato, dove sostanzialmente nell'Unione Europea comandano la BCE, la Commissione Europea e varie lobby che hanno lo stesso potere che potrebbe avere un partito unico, che vietano la circolazione delle idee e della libertà di parola, allora io sono anti-neoliberista. E se per antineoliberismo s’intende mettere tutto nelle mani dello Stato per creare dei mega carrozzoni burocratico-economici, in nome di supposte politiche sociali, dove tutto si rallenta a causa di una eccessiva attività disciplinare, allora non sono nemmeno anti-neoliberista.
Io non ragionerei in questi termini: sto cercando di portare il discorso in un ambito un po' più ampio, più umanistico forse, cioè vedere se questo modo di organizzare la società è l'unico possibile e il migliore, cosa che non credo.
Questa è una critica all'economicismo, al fatto di basare tutta la vita sulla questione economica.
Personalmente credo che il sistema in cui viviamo oggi, occidentale, consumistico, capitalistico, economicistico, chiamalo come vuoi, non solo non è il migliore, ma penso che prima o poi arriverà alla frutta, come si suol dire, perché i suoi stessi presupposti testimoniano che non può durare ancora per molto. Il modello estrattivo sta mostrando la corda.
Considera che il modello occidentale che ci propongono l'Unione Europea e il World Economic Forum, non è nemmeno più consumistico; è un modello che va verso il pauperismo. Il cittadino ideale del mondo d’oggi non è più quello che lavora, produce e consuma, ma quello che sta a casa con il sussidio mangiando cibo spazzatura dalla mattina alla sera, bombardandosi di serie televisive, assumendo droghe e psicofarmaci. Quindi, anche il modello del capitalismo produttivo, fondato sullo slancio creativo, sul venture capitalist, dei pionieri dell'economia alla Ford, non è più il modello che spingono le élite. Quelle élite spingono per un modello molto “collettivistico”, che è quello dove praticamente la produzione è un peccato di ego, un peccato contro la natura, un peccato che produce diseguaglianza.
L'Unione Europea ha fatto un'ultima serie di piani e provvedimenti contro le diseguaglianze. Questo la dice lunga, perché il loro modello è il modello di una società burocratica dove comanda una commissione tecnico-scientifica, fondamentalmente dei parassiti, e dove tutto il resto è fatto da una massa zombie che si perde nella vita “ludica”, ma che poi tanto ludica non è.
E chi porta avanti tutta l'economia, se stiamo tutti a casa a guardare la televisione?
L'economia è portata avanti dalle grandi corporation che fanno un discorso molto ideologico, che nega gli stessi presupposti del profitto, la molla del plusvalore; tutta la logica dell'analisi del capitale di Carlo Marx è messa in crisi. Perché quando Netflix, nonostante subisca delle grandi perdite di guadagni per le sue serie televisive di stampo woke dove, per esempio, Biancaneve è impersonata da una coloured, continua comunque a sfornare questi prodotti; oppure quando la conversione al green produce un depauperamento totale dell'industria tedesca delle auto, ma nonostante questo si continua in questo senso, diventa evidente che il potere dell'idea è molto più forte della struttura economica e che ci stiamo avviando verso il pauperismo e, magari, a fare affari con le industrie cinesi.
L'economia trova sempre i suoi modi per riconfigurarsi. Ma il modello che loro propongono, non è più Trump, Berlusconi, Musk, o Reagan, o la Thatcher, ma lo zombie voluto da Draghi, quello a cui dici “stai a casa che faccio tutto io, ti do un po' di sussidio, ma fai quello che dico io”.
Qui finisce l’intervista a Roberto Siconolfi.
Quello che cerco di fare attraverso le interviste che vi propongo è mostrare punti di vista che non necessariamente collimano con i miei, ma è proprio attraverso lo sguardo di chi non la pensa esattamente come il sottoscritto che cerco d’interpretare la realtà e ciò che avviene attorno a me, focalizzandomi su ciò che penso possa aiutarmi a formarmi un’opinione il più equilibrata possibile sui fatti e le idee che inevitabilmente hanno effetti sulla vita di tutti noi.
Spero che aiutino anche voi.
Note
Danilo D'Angelo, La rivoluzione di Trump: intervista a Roberto Siconolfi.
Danilo D'Angelo, Roberto Siconolfi sulla rivoluzione dall'alto di Trump.















