«Non c'era un "sistema Bibbiano", non c’era un meccanismo illecito che toglieva i bambini per darli a famiglie compiacenti e non c’era un giro di affari come fu detto. Intanto l’immaginario collettivo è mutato radicalmente e tutto questo è andato a discapito di chi deve essere tutelato: i bambini e le famiglie. Questi sono i danni collaterali di una bufera politica e mediatica».
Gino Mazzoli, sociologo e consulente di politiche di welfare, già docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha seguito da vicino la vicenda, si esprime così alla luce dell’esito del processo "Angeli e Demoni" sul presunto sistema di affidi illeciti in Val d'Enza, meglio conosciuto come “il caso Bibbiano”, nome della località, in provincia di Reggio Emilia, in cui finirono in una tempesta di sospetti e accuse i servizi sociali, le comunità e soprattutto le famiglie affidatarie.
Il 9 luglio 2025 è arrivata la sentenza di primo grado. Il processo è terminato con undici assoluzioni su quattordici imputati. Tre sono stati condannati, ma con pene solo amministrative e sospese. L’epilogo di quella pagina è giuridicamente sintetizzato con una sfilza di “non doversi procedere”, “i fatti non sussistono”, “non hanno commesso i fatti”.
Le conseguenze di quella tempesta per gli imputati si possono immaginare, tra macchina mediatica e opinione pubblica avvelenata. Nella pratica quotidiana, però, quali sono state le ricadute sulle famiglie affidatarie, sui bambini e i loro genitori naturali?
«State facendo come a Bibbiano, ci diceva qualche genitore vedendosi allontanare i figli dal Tribunale dei Minori (perché è il Tribunale che deve dare conferma di allontanamento, non è decisione autonoma degli assistenti sociali, ndr). Erano solo accuse verbali, ma tra il 2023 e il 2024 abbiamo ricevuto anche email in cui qualche genitore lo esplicita per iscritto, rimarcando una forte sfiducia nelle istituzioni», racconta Donatella Fornelli, assistente sociale che si occupa in particolare di adozioni e affidamenti di minori presso il Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio-Assistenziali di Ciriè, in provincia di Torino.
Il Piemonte, insieme con la Liguria, è una regione in cui l’affidamento familiare è più diffuso, con valori pari o superiori ai due casi per mille, come riportato nei monitoraggi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblicati nei Quaderni della ricerca sociale, aggiornati al 2022 che a livello nazionale parlano di 15.218 minorenni inseriti in qualche forma di affido familiare e di 18.081 ospitati in comunità residenziali (in entrambi i casi i dati escludono i minori stranieri non accompagnati). Numeri per altro nettamente inferiori a quelli di Paesi a noi vicini: in Francia si parla di 84 mila minori affidati a famiglie e 51 mila in strutture; in Germania circa 70 mila in ciascuna; in Spagna circa 19 mila presso famiglie e 21 mila in strutture (dati pubblicati dal progetto DataCare lanciato da Eurochild con il supporto dell'UNICEF).
E proprio la giunta regionale piemontese, durante il processo “Angeli e Demoni”, ha approvato la legge LR 17/2022, conosciuta come “Allontanamento zero”, il cui obiettivo è prevenire il distacco dei minori dalla famiglia d'origine, concentrando le risorse su interventi di sostegno alla genitorialità attraverso un progetto educativo familiare, di almeno sei mesi, e lo sviluppo di misure di sostegno economico, sociale e psicologico.
L’obiettivo è tutelare il diritto del minore a crescere nella propria famiglia, intervenendo sulle cause di disagio, come previsto anche da altre normative statali. A livello nazionale, infatti, è già da qualche tempo attivo il progetto P.I.P.P.I. (Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione), per sostenere la genitorialità tramite educativa territoriale, volontariato (“vicinanza solidale”), gruppi genitori/bambini, coinvolgimento diretto delle famiglie nei percorsi rieducativi.
«Sono progetti giusti ma che, in tutta evidenza, vediamo funzionare su famiglie con fragilità iniziali, non in situazioni già compromesse da patologie psichiatriche, dipendenze o carenze cognitive. – racconta ancora Donatella Fornelli – Gli effetti positivi si vedranno solo nel lungo periodo. Infatti, nonostante l’obiettivo di ridurre gli allontanamenti, tra 2024 e 2025 almeno in Piemonte paradossalmente si è verificato un aumento degli stessi, con mancanze di fondi per le comunità perché è lì che sono stati collocati i minori, e non presso famiglie affidatarie. Scelta dettata dal fatto che le famiglie affidatarie disponibili sono sempre meno. Le cause? In parte è dovuto all’effetto Bibbiano, in parte ai cambiamenti culturali e generazionali dei nuovi nuclei genitoriali alle prese con una complessa gestione del tempo lavoro/casa e spesso esse stesse con ridotte disponibilità economiche».
Detto questo, sull’intero sistema degli allontanamenti e affidi resta appiccicata una “narrazione del discredito” che non aiuta il lavoro delle istituzioni preposte ed è difficile da invertire, perché sconfina in un terreno culturale, come ha analizzato Gino Mazzoli:
«Nel caso Bibbiano si è raccontato che gli psicologi inventavano i traumi, che i servizi sociali davano i bambini ad altre famiglie che intascavano soldi. Bisogna sapere che le famiglie affidatarie ricevono contributi economici (diversi da regione a regione tra 400 e 600 euro al mese, ndr), ma spendono molto di più donando un ambiente più accogliente ai minori, proprio perché in famiglia. Le comunità, per contro, costano sette volte tanto» e i minori vivono in una dimensione relazionale più simile a un collegio. Oggi le sentenze del processo giuridico hanno dimostrato che le accuse erano completamente infondate. La bufera però ha gettato nell’occhio del ciclone le istituzioni e gli assistenti sociali e, per la prima volta, anche le famiglie affidatarie, aprendo una breccia culturale molto grave».
«L’inchiesta ha così riproposto un vecchio modello – prosegue Mazzoli – secondo il quale, ancora in diverse parti del Paese, i figli sono proprietà della famiglia e il legame di sangue conta più della qualità della relazione. Quando c’è abuso psicologico, fisico o sessuale, l’allontanamento però diventa un dovere».
Secondo lei oggi i diritti dei bambini rischiano di essere meno tutelati?
Se c’è una segnalazione seria – da parte di scuola, pronto soccorso, polizia – l’intervento non è facoltativo. Può accadere che alcuni allontanamenti siano frettolosi o anche sbagliati, ma chi non sbaglia? Un conto è l’errore, un altro è il dolo come si è provato a far credere nell’inchiesta su Bibbiano. Il risultato di questo polverone è che oggi le istituzioni preposte a segnalare sono terrorizzate. Anche a fronte di segnalazioni gravi da parte di pronto soccorso, polizia, pediatri o scuole è molto più difficile di prima procedere».
Perché?
C’è il timore costante di finire sotto processo. Ci sono anche insegnanti che mi raccontano episodi tipo questo: si chiede conto a una madre dei lividi di suo figlio e la risposta è “Se mi segnali, ti faccio fare la fine di Bibbiano”. Questo è l’effetto devastante sull’immaginario collettivo. Non è un vantaggio da poco per genitori abusanti e pedofili di vario tipo. E la pedofilia è un fenomeno esteso più di quanto non si creda.
È importante ricordare che nel 90% dei casi gli affidi sono consensuali con la famiglia di origine e solo il 10% avviene per allontanamento che non è mai automatico: i servizi sociali fanno un’indagine approfondita, parlano con genitori, insegnanti, bambini, poi redigono una relazione per il Tribunale dei Minori, che è l’unico a poter disporre l’azione, ribadiamolo. Avveniva così anche a Bibbiano dove “il caso uno”, sul quale si è scatenata la bufera, riguardava una bambina che veniva fatta prostituire dalla madre ed era abusata anche in famiglia: la madre è stata condannata, con anche i pedofili rei confessi, ma il processo denigratorio per i servizi sociali innescatosi proprio da questa segnalazione, ha lasciato nell’ombra l’aspetto della pedofilia.
E siccome oggi sappiamo che i servizi sociali sono stati assolti e gli abusi sono avvenuti – con condanne comminate – allora da qualche parte questi pedofili ci sono stati. Non si può girare attorno a questo.
Un punto che nella narrazione è diventato evanescente. E i media?
Purtroppo abbiamo assistito a un’impostura mediatica: un avviso di garanzia diventa una condanna pubblica. E come sempre, ai titoli che sbattono il mostro in prima pagina, poi non ne seguono altrettanti reboanti se il mostro, sentenze alla mano, non è tale. Questo significa trasmettere malamente le notizie, favorire il discredito e contribuire alla costruzione di un immaginario falsato.
La politica, invece?
Ha chiuso ogni canale. Chi, come me, ha cercato di fare informazione alternativa ha trovato solo porte chiuse. Nel 2019 a Reggio Emilia si è formato un gruppo di cittadini che, sospendendo il giudizio sul processo allora in corso, ha scritto il manifesto Abusi zero, che si può riassume in questo passaggio: "l’indebolimento del sistema di protezione dei bambini, porta a un più fragile sistema di protezione delle stesse famiglie naturali, che in molti casi raccontano storie di riuscita collaborazione tra famiglie affidatarie, servizi e comunità". Il gruppo, ancora esistente, raccoglie informazioni sul proprio portale, ma anche questa iniziativa è stata ignorata dalla politica di ogni colore.
Gino Mazzoli, sociologo e consulente di politiche di welfare.
Che cosa possiamo imparare da questa storia?
Proviamo a rispondere partendo da questa domanda: come mai si è stentato a sentire reazioni garantiste su questa vicenda?
La sua ipotesi?
A tutti noi sono chieste sempre più “prestazioni” in ogni campo della vita con il conseguente timore di essere inadeguati. Questo porta anche i genitori a pretese esagerate su se stessi, sui figli e sulla scuola. Il nodo, profondo, che si annida in ognuno è questo: “potrebbe succedere anche a me” di sbagliare e vedermi allontanare il figlio. È una materia incandescente, perché nessuno di noi è perfetto, nemmeno come genitore. Riconoscere l’imperfezione ci rende però più vicini e sta alla base di un sistema di mutuo aiuto dove - nello specifico del tema - famiglie naturali e affidatarie, volontari, servizi, professionisti, sono parte di una comunità che si assume la responsabilità di ascoltare, crescere, proteggere i minori.
E dell’immaginario collettivo su questi temi cosa resta?
È saturo e sul caso è passato oltre. La maggioranza si è fatta un’opinione sei anni fa e difficilmente la cambierà. Da questo non ci si libera con un libro, una dichiarazione, un documento. Ci si libera con un lento, costante e collettivo lavoro di persone che si impegnano e incontrano per continuare a vigilare sui diritti dei bambini.















