Rifletti. Sì, rifletti guardando verso il cielo o verso la terra e sorreggendo il mento con una mano, come la statua del pensatore realizzata da August Rodin. Lo scultore francese aveva immaginato Dante Alighieri in meditazione davanti all’inferno, il regno degli ergastolani condannati al “per sempre”, ma la sua opera ha assunto nel corso del Novecento un significato universale ed è diventata simbolo della riflessione umana e dell’attività speculativa. Rifletti, pensi, mediti. A volte troppo e dovresti invece riuscire a interrompere i pensieri, a staccare la testa, da solo, senza che nessuno ti tocchi affettuosamente la fronte con un dito.
Il pensiero che illumina
La parola riflessione è un Giano bifronte. Ancora una volta et-et, sia-sia. Porta con sé un doppio carico semantico: da un lato l'atto del pensare, del meditare, del tornare su un'idea per approfondirla; dall'altro, il fenomeno fisico della luce che, incontrando una superficie, cambia direzione, fa una capriola e torna indietro. Due significati apparentemente distanti, ma che si rincorrono nel linguaggio e che talvolta si abbracciano, come quando dalle fondamente lastricate scruti i riflessi di luce sui canali veneziani o dalla barca ammiri lo spazio aperto della laguna o dalla battigia guardi il mare con il colore dell’inchiostro. In quei momenti, quando osservi le onde che ti restituiscono luce, tu rifletti sui riflessi, pensando alla tua fragile e impermanente condizione, a quella delle persone care, a quella dell’umanità tutta.
Le origini della parola riflessione stanno nel latino reflexio, a sua volta da reflectĕre che significava ‘ripiegare’, ‘volgere indietro’, re- flectĕre, ‘flettere’ di nuovo. Questo doppio movimento – mentale e fisico – è alla base della nostra comprensione del pensiero come luce: qualcosa che si piega, si orienta, si trasforma.
Riflettere è cogitare, ma anche restituire luce. Il pensiero, come la luce, ha bisogno di superfici che lo accolgano, lo modifichino senza stravolgerlo, lo rilancino con amorevole grazia. E così come una superficie opaca assorbe la luce senza restituirla, una mente totalmente autocentrata assorbe idee senza generare riverberi. Il mahatma Gandhi diceva: "La riflessione senza azione è sterile, l'azione senza riflessione è cieca". Le due dimensioni si nutrono a vicenda.
La riflessione è anche un atto di ritorno: tornare su sé stessi, sulle proprie convinzioni, sulle proprie emozioni, in una dimensione di cambiamento continuo, di perenne metamorfosi. È un movimento interiore che non si accontenta della prima impressione, che se ne frega dell’apparire e cerca invece la profondità e la serenità. Come la luce che rimbalza e si trasforma, il pensiero riflessivo è dinamico, mai statico. È un processo che illumina ciò che era nascosto, che porta alla coscienza ciò che era implicito, che restituisce consapevolezza.
In questo senso, riflettere rappresenta un atto di cura. Cura del pensiero, cura della parola, cura dell’altro e dell’altra, anche accettando di fare dieci passi indietro per accarezzare il bene comune. Riflettere è un gesto che sospende il giudizio, che non tollera le critiche su tutto e tutti, che apre alla possibilità dell’incanto. Il pensiero che illumina è quello che non si impone, che non necessita di stare al centro delle situazioni, che valorizza e non svaluta le persone e le anime belle. Il pensiero che illumina si offre come luce discreta, in ambiti di penombra, di chiaroscuro, di incertezza, di morbidezza di forme.
Tradizioni contemplative e specchi interiori
Nelle tradizioni contemplative orientali e occidentali, la riflessione è spesso associata alla pratica del silenzio e dell'ascolto. Il pensiero non è rumore ma eco. Non è produzione, competizione, performance ma risonanza. In molte scuole buddhiste, il concetto di "mente specchio" descrive una coscienza limpida, capace di riflettere il mondo senza distorsioni.
La mente specchio non giudica, non manipola, non distorce. Si limita a riflettere ciò che è, nella sua interezza. Questa qualità di riflessione è considerata una forma di saggezza: vedere le cose come sono, senza sovrapposizioni, senza illusioni. È una luce che non abbaglia, si limita a rivelare. Ognuno di noi può accedere all’illuminazione e soprattutto può costruire il percorso, il cammino, il dharma, passo dopo passo, nella consapevolezza che la strada non è un rettilineo e nella vita che si incontreranno decine di tornanti, di salite faticose e discese ardite, di stop improvvisi e inaspettati e di ripartenze felici.
“Prenditi cura dei tuoi specchi” è il suggerimento prezioso che mi ha regalato una persona di gran cuore, al termine di un percorso di studi. Perché la riflessione contemplativa ha necessità di specchi sempre lucidi: non si tratta di pensare di più, ma di pensare meglio. Di pensare con il cuore, con il corpo, con l’anima. Il pensare diventa un sentire, to feel si abbraccia al to think e ci fa ricordare, in un sobbalzo di incanto, che etimologicamente to think, ‘pensare’, è parente prossimo di to thank, ‘rendere grazie’: nel ringraziare pensiamo, nel pensare ringraziamo. La riflessione così si apre alla meraviglia e alla gratitudine (quando è tempo per essere grati).
Riflettere come atto di responsabilità
Riflettere significa anche assumersi la responsabilità di ciò che si pensa e soprattutto di ciò che si dice. Come uno specchio che restituisce l'immagine, il pensiero riflessivo restituisce una verità soggettiva, quella che sgorga da dentro, dalla profondità dell’anima. Non è neutro, non è oggettivo, non è passivo, non è lineare, non è deterministico. Il pensiero riflessivo è un atto intimo, intriso della biografia delle persone, del vissuto individuale, delle relazioni, positive o negative, che si sono intessute lungo il transito terrestre. È il frutto del vissuto, delle ferite e dei sorrisi accumulati nel tempo.
In un mondo che accelera, riflettere è rallentare. In una società che semplifica in modo riduzionistico, riflettere è complicare, nel senso di restituire una visione complessa delle cose che accadono e dei sistemi che si abitano. In un tempo che consuma, riflettere è custodire. Del resto nell’etimologia della parola "guardare" fa capolino la guardia, che preserva e custodisce. Il riflesso del pensiero è quindi la luce che ci permette di vedere ciò che altrimenti resterebbe nell'ombra. La responsabilità del pensiero è anche responsabilità della parola. Riflettere prima di parlare, prima di agire, prima di decidere. È un esercizio di consapevolezza, di discernimento, di profondità. È un modo di essere nel mondo con integrità. Parole volgari sono testimonianza di pensieri volgari. Il pensiero riflessivo è quello che si interroga, che si mette in discussione, che cerca la verità anche quando è scomoda, soprattutto se fa male, soprattutto se lacera.
Il pensiero riflessivo è un pensiero che illumina non per dominare, non per svalutare gli altri, nella stolida percezione di essere superiori, ma per comprendere. Che riflette non per giudicare ma per accogliere. Che si fa luce non per brillare ma per servire acché tutto sia luce.
Specchi e finestre
Ogni riflessione è uno specchio, ma anche una finestra. Ci mostra chi siamo come individui e come collettività e ci apre a ciò che possiamo diventare. Pensare è riflettere, e riflettere è illuminare. In questo gioco di luce e di luci, il pensiero trova la sua forma più alta: quella che non solo comprende, ma anche interpreta e restituisce senso alle cose.
Lo specchio ci restituisce l’immagine, la finestra ci invita al viaggio, al guardare oltre l’orizzonte. La riflessione diventa quindi il punto di incontro tra introspezione e apertura, tra identità e alterità. È il luogo in cui il pensiero si fa visione, in cui la luce si fa cammino. In un tempo che spesso ci acceca, riflettere è riaccendere la vista. È tornare a vedere con occhi nuovi.
“Che solo amore e luce ha per confine” ci ricorda Dante nel XXVIII canto del Paradiso riferendosi all’Universo di Dio. Ecco, da ripetere nelle riflessioni. Esiste una dimensione alta, in noi e soprattutto al di fuori di noi, “che solo amore e luce ha per confine”.















