La Galleria Vik Milano presenta Mémoires, la nuova personale di Massimo Boffa, a cura di Alessandro Riva, dal 16 ottobre al 16 novembre 2025. La mostra raccoglie una ventina di opere recenti, tutte di piccolo e medio formato, realizzate negli ultimi anni e rappresentative della sua fase più attuale.
Giornalista e scrittore raffinato, per decenni autore di reportage, corrispondenze e cronache culturali per alcuni tra i più importanti giornali e quotidiani italiani, Boffa si è avvicinato alla pittura solo in seguito, trasformando in immagini i luoghi che hanno accompagnato la sua vita. L’infanzia trascorsa a Mosca, le città adriatiche come Cervia o Cesenatico, i viaggi nel Mediterraneo e i quartieri di Milano riaffiorano sulla tela come geografie sospese, ridotte a forme pure e luminose in quadri spesso di piccole, se non piccolissime, dimensioni, come miniature di un mondo che sembra scomparire già sotto i nostri occhi mentre ancora ne cantiamo le lodi. Come ha osservato Aldo Damioli, pittore milanese e maestro dell’artista, Boffa “trasgredisce quella che è ormai quasi una regola dell’arte contemporanea – fatta di gigantismo e dramma – dipingendo opere di piccola dimensione, soggetti plausibili, tonalità chiare e luminose, volumi solidi senza ambiguità. La chiarezza è intesa come valore primo, quale bisogno reale e salutare per la mente”.
I luoghi che Boffa restituisce nei suoi quadri – le rigorose periferie milanesi, le piazze moscovite innevate, i treni che corrono in mezzo alla campagna, i crocevia solitari e austeri – sono infatti raffigurati con una nitidezza che non è mai fotografica, ma richiama alla mente la limpida sospensione di un sogno mattutino: immagini chiare e luminose, eppure percorse da una sottile aura straniante. “Quello di Boffa diventa così un viaggio in tanti luoghi diversi”, scrive il curatore della mostra, Alessandro Riva, “che diventano però, nella trasfigurazione pittorica, un’unica trama visiva, frutto di una ricostruzione pittorica rigorosa delle architetture realmente esistenti ma, allo stesso tempo, fantastica e straniante. Non è più quel caos urbanistico in cui le case, le strade e i palazzi si sovrappongono l’uno all’altro senza soluzione di continuità e senza ordine apparente, ma un equilibrio di linee e volumi che avvolge lo sguardo in un orizzonte nitido, fatto di calma sospensione del tempo e dello spazio. È l’approccio di un artista che gioca a rimpiattino con la memoria – la sua e la nostra: memoria privata e pubblica, memoria di luoghi visti ma anche memoria di altri quadri, dal Carrà del Ritorno all’ordine alle piazze d’Italia di De Chirico, fino al rigore e alla solidità austera dei primitivi italiani o ai paesaggi delle periferie sironiane”.
I suoi quadri, apparentemente lineari e di immediata lettura, rivelano in realtà una ricerca accurata. In La scuola rossa (2025) l’edificio in mattoni emerge dalla neve, solido e muto, mentre in Prima neve (2025) una periferia moscovita è trasformata in scenario metafisico. In La traversata (2025) e in Verso il Pireo (2020) le navi diventano architetture geometriche sospese sull’Egeo, mentre in Milano Bicocca (2025) i camion immobili si fanno monumenti silenziosi, memori delle atmosfere di molta pittura del Primo Novecento. In Cervia, il porto canale il paesaggio si fa più denso di echi, dove sembra di scorgere in controluce il riflesso delle marine di Carrà, mentre in Panchina nel parco (2013) un dettaglio minimo acquista la forza di un’assenza evocativa, che diventa quasi un incipit di un romanzo dai forti echi romantici e intimisti. È una pittura “scritta col lapis”, per dirla con le parole di Duccio Trombadori, grande critico e storico dell’arte romano, che apprezza e segue il lavoro dell’artista, “che distilla linfa poetica da minime tracce di circostanze ambientali ed esistenziali”.