C’è un luogo in Umbria, sommerso nel ventre antico di Narni, dove pulsa un cuore segreto: un varco tra due universi dove il tempo si è fermato. O forse, è semplicemente diventato qualcos’altro. Un varco tra ciò che è reale e ciò che, pur non visibile, vibra di verità più profonde.
Questo luogo è Narni Sotterranea1, non un semplice complesso di cunicoli e pietre, ma un corridoio dell’anima. Una spirale che discende e risale nel moto perpetuo dello spirito di un luogo mistico, dove due figure si rincorrono come archetipi eterni: Roberto Nini, il ricercatore, e Giuseppe Andrea Lombardini, l’iniziato.
Il viaggio comincia in piena luce, tra i vicoli di pietra di Narni. Il sole filtra sui tetti medievali, accarezza i merli e si insinua come un sussurro tra gli antichi archi. Ma qualcosa di più intenso chiama da sotto. É un richiamo antico, è il battito nascosto della città, il suo cuore prezioso e profondo. Scendere nei sotterranei di Narni non è un atto turistico, ma un rito di passaggio nei meandri della propria essenza.
Roberto Nini non lo sapeva quando, ancora ragazzo, si arrampicava curioso tra ruderi e pozzi dimenticati, che quel richiamo non era fantasia, ma una chiamata del destino. Spinto dal fuoco sacro della ‘divina follia’, insieme ad altri cinque amici speleologi dell’UTEC, decise di scoprire cosa si nascondesse al di là di un piccolo foro nel muro di un orto retrostante il convento di San Domenico. Una fenditura, niente più. Non sapeva ancora che, proprio dietro quella crepa, si apriva un “altro mondo”.
Ecco che, siamo nel 1979, anno della scoperta, le figure di due uomini si sfiorano oltre le soglie del tempo: Roberto Nini e Giuseppe Andrea Lombardini. Forse due lati dello stesso specchio.
Lì, sotto secoli di silenzio, una chiesa rupestre medievale si rivelò al loro sguardo come un segreto offerto solo agli audaci. L’aria odorava di terra e mistero quando, nella penombra, apparve ai suoi occhi un volto, un affresco raffigurante San Michele Arcangelo che si stagliava sulla parete, come a proteggere il sottile confine tra il visibile e l’invisibile. Più in là, oltre la chiesa, scoprirono camere, cunicoli, fino a giungere nella Stanza dei Tormenti, dove il Tribunale dell’Inquisizione interrogava e torturava, tra il XVII e il XVIII secolo, secondo le norme post‑Concilio di Trento. Proseguendo, i ricercatori trovarono una grande cisterna romana, parte del sistema idraulico dell’acquedotto della Formina, un capolavoro di ingegneria che un tempo aveva permesso all’antica Narnia di prosperare.
Non è un caso la presenza di San Michele Arcangelo, l’angelo prescelto per vegliare sulle fonti d’acqua miracolose. Egli, non è solo un’immagine dipinta, la sua presenza evoca un’antica simbologia, legata all’acqua che scorre poco distante, custodita nelle viscere della roccia. Acqua che, nella tradizione esoterica, rappresenta la purificazione, la rinascita, la guarigione dell’anima. E chi, se non l’Arcangelo Michele poteva vegliare su queste acque, sulle loro forze invisibili e sulle vie segrete che collegano la terra al divino? In questo intreccio di sacro e profano, di fede e simbolo, Narni Sotterranea rivela la sua vera essenza: un luogo dove la spiritualità si mescola con la storia e dove l’acqua, come la figura di San Michele, diventa guida e depositaria del mistero.
Da quel giorno, Roberto Nini non fu più solo un ragazzo curioso, divenne il custode di un mondo sepolto, il portatore della torcia. Lo chiamano archeologo, storico, avventuriero, scrittore. Ma lui, dentro, è ben altro: è un pellegrino del tempo, un cercatore del sacro fuoco della Verità.
Ogni pietra, qui, è un racconto — afferma Roberto Nini — ma è necessario saper ascoltare con il cuore. Solo allora la storia smette di essere morta e torna viva, come fiamma sotto la cenere.
E fu proprio il suo cuore a condurlo oltre quella chiesa, in un piccolo vano appena visibile. Una porta, stretta e bassa, apriva su una cella spoglia dalle pareti bianche. Eppure proprio lì, qualcosa vibrava nell’aria. Un’eco. Un sussurro. Lì visse, in stato di prigionia, Giuseppe Andrea Lombardini, caporale delle guardie del Sant'Uffizio di Spoleto, poi accusato, tradito, incarcerato. Correva l’anno 1759, ma ciò che accadde in quei giorni è tutt’oggi avvolto dalla nebbia più fitta della storia. Perché Giuseppe non fu solo un prigioniero. Fu un iniziato. Un visionario. Forse un alchimista, forse un massone o, forse, solo un’anima capace di vedere oltre il velo.
Utilizzando cocci e chiodi, Giuseppe Andrea Lombardini lasciò sulle pareti della sua prigione un libro di simboli: croci, labirinti, occhi, numeri, lettere cabalistiche, il Sole e la Luna, l’Albero della Vita. Una lingua criptica destinata ai pochi eletti che sanno leggere con la Sapienza del cuore. Nei lunghi mesi della sua prigionia incise sull’intonaco il suo grido silenzioso: di verità, di libertà, di un sapere nascosto e raffinato che nessuna prigione poteva contenere.
Un ‘varco tra i mondi’, attraversare la Stanza dei Tormenti è come entrare in un sogno liquido. Le pareti sembrano respirare, il silenzio ha un peso. I visitatori camminano piano, come in un luogo sacro, ma qualcosa sembra osservarli. Non è paura, è reverenza. È il senso profondo che in quel luogo non si è soli.
Ogni segno inciso da Lombardini è un portale. Ogni dettaglio svela una mappa invisibile dell’anima. Alcuni ne escono commossi, altri turbati. Molti dicono di sentire qualcosa di inspiegabile a parole, ma nessuno torna indifferente.
Racconta Roberto.
La prima volta che ho visto quei simboli non ho capito. Ma li ho sentiti. Era come se un’altra intelligenza parlasse da oltre il tempo. In quel momento ho compreso che io dovevo solo fare da ponte.
Attraverso una paziente e lunga ricerca tra gli Archivi Vaticani, il Trinity College di Dublino e diversi archivi italiani, Roberto Nini riesce a ricostruire la vicenda del Lombardini.
Il meticoloso lavoro documentale di Nini non è stato un semplice completamento delle scoperte sotterranee: è stato la chiave che ha dato significato a quei graffiti, trasformandoli da misteriosi segni in prova tangibile di un’Inquisizione attiva a Narni dal XVI al XIX secolo. Solo grazie all’accesso agli archivi segreti, ottenuto con fatica, permessi speciali e ‘casualità’ favorevoli, egli è riuscito a portare alla luce nomi, date, verbali d’interrogatorio e persino un identikit di un fuggitivo, confrontando tecniche investigative del XVIII secolo con il metodo moderno.
Non solo ricercatore, Roberto Nini è anche autore di diversi libri in cui racconta gli enigmi e le rivelazioni legati a Narni Sotterranea e alla figura di Lombardini. Ma nel suo cassetto c’è un progetto ancora più ambizioso, realizzare un film o una serie televisiva ispirati proprio alla vita e al coraggio di Giuseppe Andrea Lombardini: ‘L’Eletto’. L’intento non è solo artistico o divulgativo, è un omaggio profondo ad una figura dimenticata dalla storia ufficiale e un modo per far rivivere, attraverso il grande o il piccolo schermo, il valore della memoria, della verità e della libertà.
La ricerca appassionata di Nini ha illuminato una verità nascosta per secoli: senza i documenti storici, Lombardini sarebbe rimasto solo un’ombra su una parete. Invece, la sua storia diventa viva, concreta, grazie alla determinazione di un ricercatore che non si è accontentato di scavare nel buio.
Nini e Lombardini non si sono mai incontrati in questa linea temporale. Eppure c’è un fil rouge che li lega da sempre: uno nell’oscurità della prigionia, l’altro nella luce della scoperta. Uno a incidere, l’altro a raccontare. Uno prigioniero, l’altro liberatore. È un paso doble interiore: la lotta e l’abbraccio, la resistenza e la rivelazione. Narni Sotterranea è il ‘Regno di Mezzo’ e le sue mura sono il teatro di questa danza antica, scritta attraverso silenzi e slanci.
C’è qualcosa in Narni che sfugge alla logica. La sua origine è antichissima e affascinante, strettamente legata al territorio, ai popoli preromani e alla spiritualità che aleggia ancora oggi.
Il termine Nar ha radici semitiche: נהָרָ (nh-r), in ebraico biblico nāhār significa qualcosa come ‘acqua che scorre’, ‘fiume impetuoso’ o ‘fiume sacro’, spiritualità che aleggia ancora oggi. Narnia non era solo un nome geografico: per i Romani e per i popoli precedenti, il fiume Nar era considerato sacro.
Le sue acque, limpide e fredde, scorrevano tra gole e grotte, cariche di mistero. Questo legame tra luogo e sacralità naturale ha contribuito nei secoli a costruire attorno a Narni un’aura unica, al confine tra reale e mitico. Narni sotterranea non è soltanto un ‘luogo sotto la città’, è dentro ciascuno di noi. È quella parte dell’anima che abbiamo sepolto: misteriosa, ancestrale, spaventosa e bellissima. Entrarvi è affrontare un viaggio interiore, accompagnati da due guide straordinarie: il fuoco ardente di Roberto e l’ombra luminosa di Giuseppe.
Alla fine del percorso, si risale. Il sole torna a scaldare il volto. Ma qualcosa è cambiato. Dentro. Chi ha camminato in quei corridoi ascoltando quei richiami antichi non è più lo stesso. Ha visto ciò che è nascosto, ha sentito ciò che non si dice. Ha toccato un tempo che non è mai passato.
Ascoltando con attenzione, è possibile sentire le loro voci che si intrecciano. Quella di Roberto, che racconta con enfasi:
Questi luoghi non appartengono solo al passato. Sono vivi. Parlano a chi sa cercare, a chi ha il coraggio di scendere in profondità.
E quella, più sommessa, di Giuseppe che sussurra:
Bentornato a casa.
In un mondo che dimentica, Narni Sotterranea ricorda. In un tempo che corre, Narni Sotterranea trattiene. In un’epoca di superficie, essa scava. E chi vi entra, forse, non sta solo visitando un luogo ma sta, davvero, tornando a casa.