Io maledirei Costantino come tiranno
e distruttore della mia Repubblica.

(Lorenzo Valla, La falsa donazione di Costantino)

Ho iniziato a leggere l’opera più famosa dell’umanista Lorenzo Valla Sulla falsamente creduta donazione di Costantino spinto da un certo fastidio nell’accorgermi che molti ancor oggi la citano quale argomento principe (e unico) contro il passato potere temporale dei Papi, come se la storia potesse essere confutata dall’interpretazione di un pezzo di carta.

Certo: la scienza storica si fa anche leggendo i documenti ma quale documento può essere così importante da negare il valore di un fatto enorme: quindici secoli di dominio italiano quasi senza interruzioni da parte della Chiesa di Roma? Lo stesso diritto non si fonda sul “principio di effettività” da cui deriva la legittimazione del potere sia de iure che politicamente? Possibile che uno scritto di un umanista sia così importante da far perdere valore alla storia stessa?

E anche se avesse ragione non sembra illogico ritenere che il potere temporale dei Papi si fosse fondato solo su un pezzo di carta? Qualcuno ha mai contestato in quindici secoli all’interno di Roma e del Lazio o da parte di altri sovrani il diritto dei Papi a governare Roma e l’Italia centrale? Nessuno!

Lo stesso Kelsen si pose il problema del fondamento primo e ultimo del diritto e lo trovò non in un pezzo di carta (le Costituzioni scritte) ma nel concetto di “costituzione materiale” cioè nella consuetudine sociale generale e perdurante dell’adeguarsi alle leggi e alle Costituzioni scritte! Se i pezzi di carta avessero così tanto valore allora nella storia non avremmo mai avuto guerre e rivoluzioni! Se quindi per quindici secoli nessun potere o forza politico-sociale ha mai contestato la legittimità del potere temporale del Papi occorre chiedersi se non sia ragionevole, al contrario di quanto pensa il Valla, ritenere che tale potere derivi da un consenso imperiale originario.

Se infatti il Valla avesse ragione allora si aprirebbe un problema storico interpretativo ancora maggiore: come è possibile che il capo di una religione perseguitata per trecento anni e non ancora maggioritaria in Occidente, il Papa cristiano, si sia impossessato di Roma e del Lazio usurpandole ad un potere imperiale ancora forte? Perché i figli o nipoti di Costantino non hanno riconquistato al Papa Roma e il Lazio? Perché neppure Giuliano l’Apostata si occupa della scottante questione di chi comanda a Roma?

Leggendo il famigerato saggio del Valla (quanti l’anno letto?) ci si accorge subito che non si tratta di un equilibrato saggio scientifico che reca prove certe e oggettive sulla falsità del testo della “donazione” contenuto nel Decretum Gratiani ma si tratta semplicemente di un “discorso”, cioè di un’orazione di tipo politico ricca di animosità faziosa e intenti ideologici.

Non solo: è un testo ricco di contraddizioni logiche e argomentative e presenta anche gravi errori di analisi storica. Possiamo addirittura dire che l’intervento del Valla rafforza dialetticamente la tesi, a cui chi scrive aderisce, della ragionevolezza di un passaggio di potere dall’imperatore Costantino a Papa Silvestro per quanto riguarda la città di Roma e il Lazio.

Il documento del Valla va in primo luogo inquadrato storicamente e poi vanno individuate le impostazioni culturali di fondo del testo e alla fine elencheremo i suoi principali difetti e punti deboli.

Il Valla lo scrive mentre il Papa Eugenio IV è in esilio volontario da Roma e da una Roma che si era ribellata e trasformata in Comune autonomo sulla spinta della potente famiglia Colonna con cui il Papa era entrato in conflitto. Dopo pochi mesi l’ordine papale era stato restaurato in Roma dal vescovo di Recanati ma Eugenio IV (Papa illuminato che condanna lo schiavismo che gli spagnoli praticavano nelle isole Canarie) non si fida della città e resta a vivere a Bologna e in altri centri del suo Stato. Il Valla quindi approfitta di tale situazione particolare e straordinaria per permettersi un attacco politico-ideologico al Papato stesso come mai prima e né dopo sarà mai più fatto fino a quando questo astio antipapale tornerà con la retorica risorgimentale.

Il primo errore-falsità del testo quindi è spacciare tale rivolta anti-papale quale rivolta popolare spontanea, libera, democratica e riguardante la legittimazione temporale del Papato, come altre (poche) rivolte accaddero in quindici secoli di dominio papale pacifico e quasi incontrastato (quali altri regni potrebbero vantare tale continuità?). Si trattò invece di congiure e complotti di tipo aristocratico-oligarchico che dimostrano a loro volta anche un’altra cosa certa: il dominio papale non fu quella terribile tirannia che il Valla dipinge a tinte fosche se fu persino possibile scacciare dei Papi da Roma!

Il testo dell’umanista quindi appare e fondato su una retorica repubblicana del tutto (allora) antistorica e fuori dal tempo per cui si auspica il ritorno della prima Roma repubblicana come fosse stato un governo democratico (e non un’aristocrazia militare quale fu) e si intende tale Repubblica quale proiezione utopica tipo “Repubblica dei filosofi”. Il Valla cioè commette lo stesso errore proprio di ogni ideologica: scambiare i desideri per realtà!

Tale errore storico porta il Valla ridicolmente a non ritenere legittimo neppure il potere imperiale di Costantino e dei suoi predecessori e successori in quanto lesivo della Res-Pubblica romana e lo spinge in una tesi politica sempre più aggressiva, irreale e faziosa e da tale errore di metodo ne deriva un altro: la critica linguistica al testo della “donazione” che si fonda sull’assunto aprioristico che il testo non può essere autentico perché usa un latino ampolloso e non quello ciceroniano-quintillianico!

Alessandro Barbero in un suo magnifico recente libro su Costantino (Costantino il Vincitore) ci conferma come il latino dei testi normativi dell’imperatore fosse come quello di tutto il basso Impero: ampolloso e retorico, quindi uno degli argomenti principi della critica valliana cade facilmente.

Ma seppure fosse un latino non coerente con il latino di quel periodo (fatto non dimostrato dal Valla e contraddetto dai numerosi testi legislativi costantiniani di simile tenore), questa circostanza non esprime alcun valore in merito al diverso tema dell’autenticità sostanziale o meno del documento in quanto i supporti di pergamena nei secoli si consumavano e il testo originario è ragionevole pensare che avrebbe potuto essere stato riscritto periodicamente con il latino (in parte differente) del tempo della sua riscrittura.

Il Valla invece ragiona sempre in modo formalistico come se tale “donazione” fosse una donazione tra privati avvenuta pochi anni prima e non un documento difficile da trovare in originale dopo tutti gli incendi e i saccheggi che Roma ha subito dall’invasione dei Goti in poi.

Non solo: il Valla ragiona come se Roma fosse stata al tempo di Costantino quel caput mundi che era al tempo di Ottaviano, ma la situazione era radicalmente mutata: città come Treviri, Milano, Nicea, Antiochia e Alessandria d’Egitto erano più ricche, popolose e più importanti politicamente di una Roma ormai decaduta, corrotta, marginale che viveva parassitariamente sulla gratuità del grano egizio che arrivava via nave. Non a caso il Valla volutamente ignora il fatto che l’Editto di libertà per il culto religioso di tutti fu emanato da Costantino e da Licinio non a Roma ma appunto da Milano.

Da quanto inizia la divisione dell’Impero tra parte occidentale e parte orientale il ruolo di Roma rimane ormai quasi solo simbolico in quanto l’area più ricca dell’Impero è quella greco-orientale. Ci sono altri fatti storici oggettivi e della massima importanza che il Valla volutamente non considera perché contrasterebbero con la sua tesi preconfezionata:

  1. Costantino risiede a Roma solo pochi giorni dopo il trionfo su Massenzio e vi torna solo una volta ogni dieci anni per i festeggiamenti per i suoi Decennali.

  2. Costantino fonda nel 329 la “Nuova Roma” sul Bosforo, confermando il suo pieno disinteresse per la Roma originaria, sede sempre rischiosa per tutti gli Imperatori del basso Impero che vedevano il Senato quale covo di possibili complotti e attentati.

  3. Costantino si preoccupa con grande zelo e attenzione delle questioni interne cristiane convocando il Concilio di Arles contro i donatisti e il Concilio di Nicea (nel suo Palazzo Imperiale) contro l’eresia ariana, dimostrando così molto interesse per la religione cristiana e la sua unità e benessere. Tale quadro storico oggettivo, ignorato dal Valla, fa propendere per la ragionevolezza di un passaggio di potere tra l’Imperatore e Papa Silvestro.

Lo stesso Valla si contraddice perché ammette donazioni di terreni e di beni tra Costantino e il predecessore di Silvestro e ammette la donazione del Palazzo imperiale del Laterano e del palazzo di Elena (oggi: Santa Croce in Gerusalemme) sottovalutando immotivatamente il valore simbolico e politico di tali doni. La stessa architettura di tali chiese, la prima delle quali è la Chiesa Madre del Cattolicesimo e cattedra papale, ancora oggi ricorda chiaramente quella dei Palazzi del potere con la facciata a due piani e il loggiato superiore. Può il palazzo imperiale essere considerato solo come un bene privato dato tra privati e non è più invece ragionevole vederlo quale simbolo del potere temporale lasciato sulla prima Roma dall’imperatore al Papa?

Valla ragione invece secondo un falso sillogismo: a) Roma è l’Impero b) Costantino se cede Roma cede l’Impero c) L’Impero continua, quindi Costantino non ha ceduto Roma! Proprio dal Basso Impero in poi e fino al passaggio del Sacro Romano Impero agli Asburgo (che lo territorializzano) l’Impero al contrario è “ambulante” e sta dove risiede l’Imperatore e non ha più una sede fissa e principale. Nei lunghi secoli del Medioevo poi non fu mai vista come contraddizione quello che scandalizza tanto il repubblicano Valla: cioè il rito dell’incoronazione imperiale a Roma da parte del Papa e a favore del “Re dei romani” eletto dai feudatari germanici.

Ci sono poi numerosi altri segni e dati storici ignorati dal nostro fazioso umanista:

  1. Il fatto che il Papa non ebbe uno stemma fino a Innocenzo III in quanto all’origine il suo essere “duca di Roma e del Lazio” veniva ratificato dall’Imperatore romano d’oriente.

  2. Il fatto che dopo Costantino il titolo di “Pontefice Massimo” passa dall’Imperatore al Papa.

  3. Il fatto che i Longobardi, i Pipinidi e i Carolingi confermano il potere papale su Roma e sul Lazio e anzi lo estendono fino a Ravenna e al “corridoio bizantino” (l’Umbria).

Anch’io personalmente avrei preferito un Papato più leggero e limitato solo al Lazio ma la storia non si fa con i “se” e va valutata con la mentalità e la logica del tempo in cui il Papa era venerato da tutta l’Europa quale autentico Vicario di Dio e il suo dominio visto quale garanzia di pace, equilibrio e stabilità. Non esistevano ancora i nazionalismi e i patriottismi borghesi e moderni quindi nessuno avvertiva come scandaloso tale potere temporale. Torniamo ai molti errori del Valla.

Il nostro oratore procede nel suo discorso tramite congetture, domande retoriche, escamotage teatrali come il rivolgersi direttamente a Silvestro e Costantino come se il loro non poter rispondere fosse un’ammissione di colpa e petizioni di principio del tutto astratte.

Facciamo qualche esempio per mostrare il basso livello del testo: contesta l’assenza di prova dell’accettazione della donazione, non cita Paolo Diacono che considera la Liguria (allora comprendente un’area che andava dalla Francia alla Lombardia e alla Toscana) Patrimonium Petri, e fonda le proprie tesi quasi sempre su citazioni dell’Antico Testamento: siccome Costantino e Silvestro si sarebbero con la donazione comportati in modo diverso da Davide e dai Leviti allora non è possibile che vi sia stata la donazione! Questo è il metodo scientifico del Valla!

A ragione in modo similmente astratto, formalistico e ideologico allora possiamo anche non considerare esistenti tutti gli Imperatori romani perché per essi non abbiamo la prova dell’accettazione dell’incarico e dell’inizio della presa di servizio!

Altro risibile argomento valliano: Silvestro non fece guerre quindi non poteva essere il sovrano di Roma, come se l’aggressività militare fosse un dover essere proprio di ogni esercizio del potere invece che ammirare la specialità del carattere quasi sempre pacifico del dominio pontificale. E contro chi doveva far guerre il Papa? Contro l’Impero che lo ha beneficato? Le forme antiche che ancora perduravano nella Roma papale come il Senato, che tanto esaltavano il Valle, furono sempre ritenute compatibili con la legittimità del Papa quale sovrano e lo provano proprio i momenti di crisi e lo stesso pluralismo vivente in seno al Senato romano-papale spesso diviso tra fazioni pro Francia e fazioni pro Normanni e poi pro Impero come dimostrano tra i molti i periodi dei Papi Urbano IV, Innocenzo III e Clemente IV.

Quando la storia contrasta con il suo pensiero il Valla falsifica la storia come nel passo in cui sostiene erroneamente che quando Costantino si fece battezzare (nell’ultimo anno di vita) ancora non esisteva Costantinopoli che invece lo stesso imperatore fondò con il nome di Nuova Roma nel 329, cioè sette anni prima della sua morte!

Pure il Valla ignora tutta la legislazione costantiniana a favore del Cristianesimo nel senso del risarcimento dei danni delle persecuzioni: la ricostruzione di Chiese distrutte e la restituzione di beni confiscati ad esempio, fingendo che le Chiese sotto il nostro imperatore fossero ancora e solo quelle delle “catacombe” mentre appena dopo l’editto del 313 è stato tutto un fiorire di Cristianesimo sociale ed edificatorio sia privato che pubblico con l’elevazione delle basiliche costantiniane di San Pietro in Vaticano e a Gerusalemme con la Basilica del Santo Sepolcro.

L’anacronismo repubblicanista del Valle gli impedisce di ricordare che gli Imperatori romani nel mediterraneo greco e orientale erano chiamati “basileus” e si mette a fare il sofista sulla ridicola distinzione tra “capo” e “fondamento” per la figura di Pietro nella sua investitura sacrale da parte di Cristo rivelando così il suo vero intento: distruggere ogni rispetto per la Chiesa di Roma e non ha paura neppure di cadere nel ridicolo considerando Costantino il distruttore della Repubblica romana quando da tre secoli non esisteva più!

Secondo il Valla sarebbe il popolo romano che dovrebbe incoronare l’Imperatore! Nobile idea ma peccato che mai in duemila anni si realizzò! L’idealismo democratico del Valla lo porta a negare la realtà anche nel non vedere che le decine di incoronazioni imperiali avvenute in Roma da parte del Papa da Carlo Magno fino a Federico II di Svevia sono fatti storici che confermano a loro modo il generale riconoscimento del Papa quale vicario imperiale in Roma e quale suo autonomo sovrano.

Ignora il Valla il segno della colonna imperiale fatta erigere dall’Imperatore Foca nei Fori, ultimo segno dell’influenza dell’Impero d’Oriente e conferma che a Roma non c’era più un Impero in presenza del Papa e si rende infine ridicolo anche inventandosi etimologie assurde come il fatto che “Augusto” derivi da “ab avium gustu” cioè da un modo di pranzare con i volatili e non da “augere” con l’unico ossessivo intento di svalutare la realtà dell’Impero romano insieme con quella della Chiesa cattolica. Secondo il Valla infatti il termine “imperatore” fu solo un titolo privato che molti usavano e sostiene questo solo per un passo di un testo di Cicerone!

Lo snobismo intellettuale di questo umanista, erudito ma fanatico, è pari solo dalla sua malafede e ignoranza sostanziale. Purtroppo questi difetti infettarono profondamente la cultura italiana e sono ancora oggi presenti in modo devastante nel mondo accademico.

In conclusione il nostro utopistico oratore si spiega la persistenza millenaria del potere papale con l’istituto giuridico dell’usucapione ai danni dell’Impero romano. A parte che si tratterebbe comunque (se fosse vera tale sua strampalata tesi) di un acquisto ab origine secondo una figura giuridica molto antica e dignitosa (più degli acquisti di potere tramite guerre, i più frequenti), ma in realtà non sta in piedi questa congettura in quanto non spiega perché il potente Impero romano si sarebbe disinteressato di Roma e del Lazio in assenza di un passaggio di potere al Papa. Sarebbe situazione assurda e non spiegabile.

Oltre a ciò il Valla cade in una delle sue numerose contraddizioni mettendo appena dopo in dubbio lo stesso istituto della prescrizione affermando che se una persona si assenta per cento anni ritornando i suoi diritti restano intatti! Sfido qualsiasi giuristi di qualsiasi tempo a sostenere una tale castroneria! Possiamo quindi sostenere tranquillamente che le ragioni della Tradizione sono anche in questa materia più forti e più razionali degli argomenti fumosi dei suoi isterici detrattori.