Le false credenze e i pregiudizi sono antichi quanto è antica la storia dell’uomo. Hanno sempre ostacolato il superamento della dicotomia di Jean Jacques Rousseau: i nobili da un lato e i selvaggi dall’altro. Il grande filosofo ginevrino si domandava chi fossero veramente i nobili e chi fossero i selvaggi e se gli uni fossero migliori o peggiori degli altri. Sono l’avidità del denaro e delle cose, la ricchezza e il potere che hanno sempre impedito questo discernimento: i nobili hanno sempre creduto di essere nel giusto e di poter trattare i selvaggi come tali, individui, non uomini, senza anima e senza cultura, e di poterli distruggere senza riguardi e crisi di coscienza.

Dopo la conquista delle Americhe da parte degli Europei, i conquistadores hanno perseguito una carneficina. Si giustificarono dicendo che gli indigeni fossero persino dei cannibali. Pensavano di avere una sorta di diritto divino che li legittimasse a considerare i selvaggi come individui senz’anima e non degni di vivere. Quando poi si resero conto che potevano tornare utili come schiavi per mettere in atto la spoliazione dei loro territori, ne lasciarono in vita una parte, soprattutto gli uomini più forti. Questo portò a un lento ma inesorabile declino di tutte le popolazioni autoctone del Centro e del Sud America. Ma i coloni non si scoraggiarono. Quando realizzarono che questa forza lavoro stava diventando sempre più precaria, pensarono di andare in Africa, non solo per colonizzarla, ma per ricavarne schiavi da portare a lavorare in America, sia in quella del Sud che in quella del Nord, nelle loro piantagioni (canna da zucchero, cotone, mais eccetera).

Nel Nord furono gli Inglesi e i Francesi a perpetuare lo sterminio degli indigeni. Poi i coloni cambiarono idea e pensarono di cristianizzarli, senza però mai considerarli al pari dei nobili cristiani spagnoli, portoghesi, francesi e inglesi: cristiani sì, ma di seconda classe. Con questa nuova forza lavoro gli Europei cominciarono a distruggere le foreste sudamericane, per ricavarne il legno per costruire le loro navi per andare alla conquista di altri territori nel mondo e per costruire le loro case in Europa. Da lì ebbero inizio l’inquinamento delle terre e dei mari, la riduzione della biodiversità, la costruzione a dismisura delle città, e i più ricchi cominciarono a circondarsi di vezzi, di cose inutili e superflue. Facendo in questo modo, pensarono di gestire razionalmente il futuro, mentre in realtà i risultati disastrosi di quella politica economica dissennata li stiamo pagando tuttora. Quegli uomini, alcuni dei quali sono diventati persino degli eroi nazionali, hanno presentato un conto molto salato a noi uomini e donne di oggi.

Le immigrazioni di massa, le pandemie e le carestie che ne sono seguite avrebbero dovuto riportarci con i piedi per terra, farci riflettere sul significato che diamo al nostro progresso e su quello che molti economisti chiamano sviluppo economico. Non abbiamo fatto nessuna riflessione, non abbiamo fatto niente. I pregiudizi e le false credenze hanno continuato ad alimentare le nostre menti. Nell’ambito dei rapporti sociali noi uomini pregiudizialmente continuiamo a manifestare comportamenti arroganti e ingiusti verso gli altri (soprattutto gli emigranti), verso i più deboli e nei confronti di chi non è capace di difendersi. Le false credenze, oggi più di ieri facili da diffondere, soprattutto da parte dei media soggetti ai grandi poteri economici e politici, ci ostacolano nella decodificazione del pensiero altrui, di quelli che sono diversi da noi, che provengono da altri Paesi e da altre culture. Molte false credenze ci impediscono di possedere una buona coscienza e alimentano l’incapacità di riflettere sul nostro vissuto interiore e su quello degli altri, gli altri che sono tutti indistintamente uguali a noi. Tanto più armonici diventano invece i rapporti tra gli esseri umani, tento meno si alimentano i conflitti sociali, i dissapori, le rivendicazioni, le vendette e le guerre.

Poi abbiamo il cosiddetto senso del dovere. Quante volte ne sentiamo parlare? Eppure il senso del dovere dovrebbe valere per tutti e le leggi, che ovviamente devono essere sempre rispettate, spesso e purtroppo vengono approvate per salvaguardare gli interessi di qualcuno, non di tutti. Il senso del dovere poi dovrebbe valere non solo per ognuno di noi, per l’insegnante, per il commerciante, per il giornalista, per l’operario, per il datore di lavoro eccetera, ma soprattutto, indistintamente, per tutte le autorità istituzionali. Nei parlamenti spesso passano degli emendamenti che vengono approvati ad personam. In questo modo abbiamo, più che costruito, distrutto, e abbiamo commesso molte ingiustizie non solo contro noi stessi ma anche contro un’infinità di animali domestici e selvatici oltre ad avere devastato il loro ambiente. Siamo spesso violenti e irresponsabili, distruggiamo il nostro e il loro habitat fondamentalmente per egoismo, per stupidità e per mancanza di lungimiranza.

Emblematica è una famosa frase del poeta latino Orazio che più di due millenni fa scrisse: “la violenza sugli animali è la premessa e il tirocinio della violenza sugli esseri umani”. Dopo molto tempo un altro grande personaggio disse saggiamente qualcosa sugli animali e la loro differenza con gli uomini, cioè Mahatma Gandhi: “gli animali vivono una vita semplice e libera, tra loro non ci sono ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi; queste differenze esistono solo negli uomini”. La verità è che gli animali non hanno pregiudizi e non vivono nemmeno di false credenze e sono consapevoli di quello che fanno proprio come noi esseri umani. Hanno anche loro delle credenze ma nell’ambito delle loro coscienze, e le credenze sono stati della coscienza, in questo caso delle loro coscienze, non delle nostre.

Qui è la differenza sostanziale, cioè che noi uomini, nonostante possediamo una coscienza di “primo ordine o superiore” spesso non la utilizziamo per manifestare la nostra bontà e solidarietà sociale che invece fanno parte della nostra natura. Non esistono livelli, come qualcuno potrebbe credere, tra noi e gli animali. Come suggeriva Charles Darwin, parlare in termini di livelli, superiori e inferiori, sarebbe un errore antropocentrico che ci porterebbe in un vicolo cieco. Inoltre, una ridefinizione continua, come facciamo noi esseri umani, di ciò che ci distingue dall’animale è solo una perdita di tempo in quanto i livelli cognitivi e anche intellettivi raggiunti dagli animali che non sono ovviamente uguali a quelli raggiunti dagli esseri umani, non devono togliere nulla al valore qualitativo di queste funzioni psicologiche.

I pilastri fondamentali della nostra vita cosciente dovrebbero sempre essere la solidarietà, la pietà, l’empatia, la bontà insieme alle nostre virtù, soprattutto quelle capitali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Dovremmo sapere che la distinzione tra il bene e il male deriva dai nostri sentimenti e anche da quelli degli animali e non dalla ragione e nemmeno dalla ragione degli animali, come invece qualcuno potrebbe pensare. Non è la ragione che guida la nostra vita, bensì la ricchezza delle nostre e delle loro esperienze. Come sostenne il grande filosofo inglese John Locke, empirista e anticipatore dell’Illuminismo, tutte le idee si sviluppano dall’esperienza dell’individuo, non da idee innate, che non esistono nella nostra mente e nemmeno in quella degli animali, e soprattutto devono essere libere da pregiudizi e da false credenze.