Una delle leggende più note della saga arturiana è quella delle nebbie di Avalon, ovvero la leggenda riguardante la morte del grande sovrano di Camelot. La storia è nota: Artù affronta il figlio (o nipote) Mordred nella campale battaglia di Camlann nella quale nessuno sopravvive. Nel duello decisivo Artù uccide Mordred ma Mordred ferisce mortalmente suo padre.

Lo scontro è citato anche da Dante nella Divina Commedia: "non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra/con esso un colpo per la man d’Artù" (Inferno XXXII, vv. 61-62). Come si sa il corpo di Artù viene portato ad Avalon e da lì il rex quondam rexque futurus (colui che un tempo fu re e un giorno sarà ancora re) tornerà, perché non è davvero morto, ma giace in una specie di “animazione sospesa” accudito da tre fate.

È una leggenda antica che, sebbene non si ritrovi nelle più antiche menzioni della storia di Artù, ovvero gli Annales Cambriae dove si dice seccamente che nel 537 si combatté la battaglia di Camlann nella quale caddero Artù e Merdraut (Mordred), ben presto si diffonde come voce popolare e viene canonizzata nei testi successivi sino alla consacrazione in quello che è forse il più famoso testo arturiano, ovvero La Morte D’Arthur di Thomas Malory. La menzione più interessante la troviamo nel racconto di tale Ermanno intitolato De Miraculis Sanctae Mariae Laudunensis. Questo Ermanno racconta di un suo viaggio presso il santuario di Santa Maria di Laon e sostiene di aver assistito ad una lite tra un pellegrino che sosteneva che Artù non fosse realmente morto e i servi dei canonici del santuario che negavano la cosa: e si sarebbe arrivati alle spade se l’intervento dei canonici non avesse fermato i contendenti. Questo attesta l’origine schiettamente popolare della credenza.

Una credenza che riflette, di fatto, la speranza che la figura salvifica non sia morta, ma solo “addormentata” da qualche parte e che presto possa tornare a salvare il popolo. Questa figura regale-messianica si chiama “re nella montagna”. E forse qualcuno si chiederà cosa c’entra la montagna, dato che Avalon è un’isola.

Si chiama così perché il vero archetipo di questo tipo di personaggio non è tanto Artù, quanto l’imperatore Federico I Barbarossa. Il Barbarossa è, a livello storico, una figura meno evanescente di Artù. E riguardo la sua morte abbiamo notizie precise: il grande imperatore tedesco è annegato nel fiume Saleph, in Turchia, il 10 giugno 1190 mentre si recava alla Terza Crociata. Per evitare la decomposizione il corpo fu bollito e la sua carne fu sepolta ad Antiochia, gli intestini a Tarso e le ossa forse ad Acri. Ma la fantasia popolare non si arrese e nacque la leggenda secondo cui in realtà l’imperatore dormirebbe assieme ai suoi cavalieri in una caverna nelle montagne di Kyffhäuser in Turingia e quando i corvi cesseranno di volare intorno alla cima, si desterà per portare la Germania alla sua antica grandezza.

Questa leggenda fu rilanciata nel 1815 dal poeta romantico Friedrich Rückert in una ballata composta durante la tempesta napoleonica (“Il vecchio Barbarossa/l’imperatore Federico/sta, nell’incantesimo/in un castello sotterraneo./Egli non è mai morto/e, chiuso là dentro, egli vive ancora/si è nascosto nel castello/ed è immerso nel sonno/Egli ha portato con sé/tutto lo splendore dell’impero/e con esso tornerà alla fine”). La leggenda viene reinterpretata come la speranza del popolo tedesco di scuotere il giogo francese. Purtroppo questa leggenda di riscossa tedesca contro l’oppressore Napoleone avrà una ben più triste rivisitazione, quando Adolf Hitler chiamerà “Operazione Barbarossa” la sciagurata aggressione alla Russia. E lo stesso Hitler “si occulterà” nella morte dando vita a leggende simili a questa.

Oltre al “Re nella Montagna” abbiamo anche il “Re di marmo”. Questa leggenda riguarda l’ultimo imperatore romano d’Oriente, Costantino XI Paleologo, il quale cadde eroicamente con la spada in pugno nella tragica giornata in cui Maometto II prese Costantinopoli. Anche qui la fantasia popolare dice che Costantino non sarebbe morto in quel tragico 29 maggio 1453, ma sarebbe stato trasformato in una statua di marmo e nascosto da qualche parte sotto il Ponte d’Oro. Da lì sarebbe un giorno ritornato per scacciare i musulmani turchi e ridare Costantinopoli alla cristianità.

Come abbiamo visto, sono esempi piuttosto antichi, giustificabili con la maggiore fantasia di popoli analfabeti che speravano nel ritorno del re. Eppure vi sono anche esempi piuttosto recenti di leggende simili: abbiamo citato la leggenda secondo cui Hitler non sarebbe morto suicida nel bunker a Berlino, ma sarebbe fuggito in Argentina. Anche su Napoleone si diceva fosse fuggito da Sant’Elena a bordo di una nave pirata e approdato in America. Più vicina alla classica leggenda del “re addormentato nella montagna” è quella secondo cui Aleksandr Suvorov (1730-1800), il più grande generale della Storia russa, non sia morto a San Pietroburgo dopo aver sconfitto i francesi in Italia ma dorma in una caverna con accanto una lampada e un’icona e che tornerà ovviamente per ridare grandezza alla Russia.

Ma pensiamo a leggende molto più vicine a noi, che tutti conoscono: quella secondo cui Elvis Presley sarebbe ancora vivo, quella di Walt Disney ibernato sotto Disneyland o quella, popolarizzata dai complottisti di QAnon, secondo cui John Kennedy sarebbe vivo e un giorno tornerà per ripulire l’amministrazione degli Stati Uniti dalla corruzione.

Troppo facile ridere dei nostri avi quando noi facciamo di peggio.