Enea è il capostipite dei Romani. La sua leggenda è collegata a quella della fondazione di Roma, ma non è lui a fondare direttamente Roma. È tutta un'invenzione propagandistica di Virgilio o c'è del vero?
Vediamo.
Enea compare per la prima volta nell'Iliade. È un personaggio secondario ma caratterizzato da una specie di predestinazione. Rischia due volte di essere ucciso, una volta da Diomede e una da Achille, e in entrambi i casi viene messo in salvo dagli dei. Nel secondo caso viene salvato da Poseidone (divinità ostile ai Troiani) ed è Zeus a motivare l'intervento: dopo la fine della casa di Priamo la casa di Enea regnerà sui Troiani. Probabilmente le leggende più antiche narravano che Enea avesse semplicemente rifondato Troia in loco dopo la sua distruzione. Ma quasi subito ci troviamo davanti a storie che ci parlano del viaggio di Enea nel Lazio.
Virgilio e gli altri poeti romani stipendiati da Augusto però devono ripulire la figura di Enea dal sospetto di tradimento, addossando la colpa ad un altro sopravvissuto, Antenore. Omero però presenta Antenore come saggio principe che vuole la restituzione di Elena e la soluzione diplomatica con gli achei, mentre Enea non è figura priva di ombre: l'Iliade dice che provava invidia verso la casa di Priamo. Lo stesso Achille glielo grida sarcasticamente in faccia. Nella tradizione successiva sarà Antenore a ricoprire il ruolo del traditore e Dante stesso chiamerà Antenora la zona del nono cerchio dell’inferno dove si trovano i traditori della patria. Enea, nella tradizione post-virgiliana, è l’eroe pio e predestinato.
Il motivo di Enea traditore è sviluppato in due opere: l'Ephemeris Belli Troiani di Ditti Cretese e il De Excidio Troiae di Darete Frigio. In ambedue le opere, passate per testimonianze dirette, Enea è presentato come un traditore che apre le porte agli Achei e patteggia con Agamennone per la sua salvezza.
La leggenda originaria vedeva Enea come fondatore diretto di Roma, che prendeva il nome da una ragazza troiana, Roma appunto, che avrebbe indicato il luogo dove fermarsi. Enea avrebbe anche incontrato il suo arcirivale Odisseo, che commerciava con gli Etruschi, che lo conoscevano come Nanas ovvero "il Vagabondo", e avrebbe stretto alleanza con lui. Romolo e Remo sarebbero figli o nipoti di Enea.
Il grande studioso alessandrino Eratostene di Cirene si rende conto della discrepanza: se Troia è caduta nel 1184 avanti Cristo e Roma è stata fondata nel 753 avanti Cristo, Enea non può essere fondatore. È Catone il Censore a fissare la leggenda canonica: Enea fonda Lavinium, il figlio Ascanio-Iulo fonda Alba Longa e Romolo e Remo sarebbero lontani discendenti dei re albani. Il poeta latino arcaico Nevio introduce nel suo Bellum Poenicum, poema epico incentrato sulla Prima Guerra Punica, il motivo di Didone.
Inizialmente quello di Enea e quello di Didone erano due miti separati: Didone ("l'errante" in fenicio) si chiamava in realtà Elishat, era fuggita da Tiro dopo la morte del marito Sicheo e aveva fondato Cartagine (Qart Hadast la Città Nuova) e si sarebbe uccisa per non cedere alle pressioni di re Iarba. Il motivo dell'infelice amore di Enea e Didone all'origine dell'odio tra Roma e Cartagine è suggestivo, ma anche qui, Cartagine fu fondata secoli dopo la caduta di Troia.
La gens Iulia, dalla quale discendono sia Giulio Cesare che Ottaviano Augusto, vantava origini dirette da Enea ed è alla sua ascesa che si deve la fortuna della leggenda. In realtà Giulio Cesare più che ad Enea era affezionato a sua madre, la dea Afrodite-Venere, che il condottiero aveva preso a sua protettrice particolare.
Sarà con Augusto e con l'Eneide di Virgilio che la leggenda sarà canonizzata definitivamente. Virgilio ripulisce Enea da ogni traccia di tradimento e ambiguità facendone l'eroe pius per antonomasia, incarnazione delle virtù romane, contrapposto al perfidus Ulisse, incarnazione dei vizi dei graeculi, maestri di discorsi ingannevoli opposti alla schiettezza romana. Il disprezzo che l’Eneide trasuda verso l’ingegnoso eroe di Itaca non è dettato solamente dal fatto che costui sia l’ideatore del fatale inganno che portò alla caduta di Troia e rappresento un tipo di eroe i cui valori sono agli antipodi di quelli “romani”: troppe leggende vedevano Enea amico ed alleato del distruttore di Troia, e l’ascendenza da un possibile traditore sarebbe stato un colpo terribile per la propaganda augustea.
L'Enea virgiliano è però una figura troppo di propaganda per suscitare una reale simpatia, e i poeti successivi preferiranno sempre gli eroi di Omero, meno "perfettini" e più umani. Ha invece incredibile fortuna nell'Alto Medioevo l'archetipo del profugo troiano che fonda una civiltà: i franchi, ad esempio, dicevano che il loro antenato era un immaginario eroe troiano di nome "Francone" e persino la città di Vigevano, divenuta importante come castello dei Duchi di Milano, legò il suo nome ad un fittizio profugo troiano di nome Viglo. Il prestigio della rilettura virgiliana della leggenda di una possibile quinta colonna di Odisseo all’interno delle mura di Troia che si muta nella versione romana di Mosè.