Oggi sappiamo che Gozzano è vivo e che la sua lingua si può riprodurre. La sua anima è qui; in Marina continua a vivere. Il duplicato, oggi si direbbe il clone, esiste. Ed è un giorno di festa.
(Vittorio Sgarbi)
Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, autori di uno degli epistolari più belli e intensi del Novecento.
Marina Rota, con talento e sublime eleganza consente al lettore di rivivere la loro liaison, attraverso un processo di transfer mozzafiato, in una Torino liberty e immaginifica, colma della loro “arte fatta di parole”.
Nel volume, la scrittura abbraccia le anime di Amalia e Guido con grazia e maestria. È stato arduo distinguere le due voci per donarle al lettore?
In primo luogo, grazie per l’apprezzamento rivolto al mio lavoro! Non mi è stato difficile distinguere in forma poetica le personalità di Guido e Amalia, dal momento che la loro profonda differenza si può evincere dal diverso tono delle Lettere d’amore di Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, pubblicate nel 1951 da Garzanti: un epistolario che si protrasse dal 1907 al 1912, anche dopo la cinica lettera d’addio di Gozzano alla Guglielminetti (“Perdonami, perdonami. Ragiono perché non amo: questa è la grande verità. Io non t’ho amata mai”). Lei slanciata e flessuosa, ombrosa e affascinante, i tratti un po’ maschili illuminati dai profondi occhi neri; lui pallido e distinto, poco incline al sorriso, lo sguardo glauco dietro ai pince-nez.
Ammirati protagonisti della Torino letteraria di inizio Novecento, i due poeti avrebbero davvero potuto comporre una coppia straordinaria, se il loro amore non fosse stato più letterario che vissuto; così impari e contraddittorio da subire numerosi screzi e interruzioni. II terreno sul quale i due si muovevano era friabile, destinato a frequenti smottamenti. Amalia, emancipata e vitale, si poneva al centro del rapporto come parte attiva, desiderosa com’era di un amore appassionato; lui, combattuto fra desiderio e riluttanza, invocava invece un rapporto spirituale e intellettuale per scongiurare le miserie dei “piccoli amanti”, trincerandosi dietro una cortina di dilazioni e fughe. Trattenuto com’era dalla barriera della malattia, ma anche dall’ambizione a salvaguardia della vocazione letteraria, tanto più subiva il fascino della Guglielminetti, tanto più ne rifuggiva; fino a relegare Amalia, cosi viva e appassionata, nel vasto terreno delle rose non colte.
Con la loro diversa interpretazione del rapporto sentimentale, Guido e Amalia mi hanno sempre dato l’impressione di due danzatori che, sullo scenario della Torino di inizio Novecento, si allontanassero e si avvicinassero senza però abbracciarsi mai. Per questo, ho pensato di farli incontrare, e ridare loro la voce dopo più di cento anni, tramutando i dodici snodi fondamentali della loro liaison in altrettanti sonetti, con rigoroso rispetto della metrica dei sonetti gozzaniani, ma anche con una profonda immedesimazione nelle loro anime tormentate: una sorta di transfert da ‘medium’ in grado di richiamarli in vita e di ridare loro voce, come sottolinea Vittorio Sgarbi nella sua folgorante prefazione. Il terreno comune della poesia, d’altronde, fu quello che permise loro di non interrompere mai definitivamente il loro rapporto.
Che tipo di salotto intellettuale è stato quello di Amalia Guglielminetti?
Il suo salotto di via Garibaldi 40 era un ritrovo abituale per la migliore intellighenzia dei tempi. Amalia ne fece una ‘corte’ composta non solo da romanzieri e poeti, ma anche da artisti e attori, come Lyda Borelli, che più volte declamò i versi di Amalia e Guido, in un‘alternanza ispirata. Dopo le 16, annotavano le cronache mondane di allora, gli ospiti erano in tal numero che gli attaccapanni non erano sufficienti per sostenere i loro cappotti. Fra splendide orchidee e foreste di libri, alla luce calda dei paralumi di vetro colorato si parlava di letteratura, di poesia e di teatro. Spesso gli invitati non riuscivano ad individuare la figura di Amalia, che se ne stava raggomitolata sul sofà, affondando nei cuscini come se avesse sempre freddo, o forse per una difesa istintiva verso i visitatori. Poi si concedeva ai loro sguardi ergendosi dal divano alta e sottile, iconica, le trecce ravvolte a corona intorno al volto pallido, gli occhi scuri annegati nell'arco forte delle sopracciglia. Fra i mobili lucidi e scuri appariva come una dea, una sacerdotessa inguainata in lunghe tuniche nere e fascianti.
Come si spiega il generale voltafaccia, sul finire della sua esistenza?
Con Le vergini folli Amalia fece la sua apparizione nella poesia italiana all'ombra di un immenso cappello piumato, irridente e audace, fasciata dall’eleganza degli abiti parigini, che facevano di lei un’icona di quella linea ad ‘S’ così cara al gusto Liberty. Al momento della pubblicazione di quest’opera- la seconda dopo Voci di giovinezza-, la Guglielminetti aveva già scombinato tutto l’alfabeto sociale dei suoi tempi, in cui si credeva che ‘le donne non sapessero scrivere’ e che il loro destino fosse unicamente quello di un buon matrimonio, dal momento che a 25 anni si veniva già considerate zitelle.
Con questa sua opera, Amalia diventò l’emblema di impegno letterario coniugato al successo mondano. Quando, nel 1907, incontrò Guido Gozzano alla Società di Cultura, era lei la poetessa affermata, e celebrata dai più noti e severi critici letterari, da Borgese a Mantovani, fino a D’Annunzio. Il suo prestigio non solo letterario, ma anche sociale, era destinato a perdurare a lungo, grazie alle successive antologie poetiche, L’insonne, Emma e Le Seduzioni, che furono altrettanto celebrate. Dopo la morte di Gozzano, Amalia non scrisse più un solo verso, come se la sua vena lirica fosse stata prosciugata dal grande dolore. Le sue numerose opere in prosa, i drammi teatrali, non vennero ritenuti di pari valore letterario; e questo suo ‘appannamento’ andò di pari passo con gli scandali provocati dai suoi romanzi, uno dei quali- La rivincita del maschio- le costò anche una denuncia per offesa alla pubblica moralità. Nella mente non sempre acuta dei critici e dei lettori si creò una completa sovrapposizione fra la vera Amalia e l’io narrante; fu gioco facile attribuirle tutte le liaison vissute da certi suoi personaggi femminili considerati scandalosi. Da qui a definirla tout court una frivola e avida mangiatrice di uomini, il passo fu breve.
L’ irreversibile declino si verificò a seguito della terribile esperienza del processo intentato contro l’ex amante Pitigrilli, che la poetessa, per vendetta personale, aveva denunciato per "attività antifascista e offese al Duce" sulla base di scritti privati contenenti attacchi al Duce - in realtà lettere contraffatte dalla Guglielminetti stessa e dal gerarca Piero Brandimarte-. Pitigrilli, dopo aver facilmente dimostrato che quegli scritti erano dei falsi, venne liberato, mentre Amalia venne prosciolta per incapacità di intendere e volere. Da quel momento la Guglielminetti cadde definitivamente in disgrazia; lo stesso entourage intellettuale che l’aveva celebrata erse contro di lei una fitta cortina di ostilità. Nei suoi ultimi anni fu frequentemente ricoverata in case di cura, uscendone ogni volta più fragile, distrutta fisicamente e moralmente, in uno stato d'animo continuamente altalenante fra l’inquietudine e la depressione.
Alla luce delle parole di Borgese (“strepitosa forza che bisogna lasciar sola”), attraverso quale opera possiamo – invece – avvicinare il lettore contemporaneo ad Amalia?
Tutte le sue antologie poetiche possono rivestire grande interesse anche ai nostri giorni: Le vergini folli, L’Insonne, Emma, Le Seduzioni. Quest’ultima, a mio parere, scandaglia in modo particolarmente approfondito la personalità della poetessa: si propone infatti come un drammatico diario della passione che Amalia provava, inalterata, per Gozzano, che dopo la breve febbre dei sensi le aveva concesso soltanto una fraternità ispirata alla poesia. Fra le opere in prosa, benché ‘minori’ rispetto a quelle poetiche, suggerirei I volti dell’amore, una raccolta di ritratti di donne desiderate ardentemente, ma non amate, vittime di passioni impetuose e fugaci che le esaltano e poi le distruggono, conducendole alla morte o alla follia. Un’opera che evidenzia la straordinaria capacità di autoanalisi, anche spietata, della Guglielminetti, e suona anche presaga del suo drammatico destino.
Da studiosa dannunziana mi preme chiederle che idea ha tratto, durante le sue ricerche, a proposito dei loro rapporti.
Gabriele D’Annunzio, del quale anch’io sono una fervente appassionata, era la pietra miliare con la quale dovevano confrontarsi tutti i giovani poeti e letterati del tempo. D’Annunzio aveva steso sulla letteratura italiana un prezioso e pesante broccato, dal quale era difficile far emergere la propria voce. Mentre Gozzano, dopo i suoi esordi poetici influenzati dal Vate, prese le distanze dalla ‘lue dannunziana’ (“invece di farmi gozzano/un po’ scimunito, ma greggio,/farmi gabrieldannunziano:/sarebbe stato ben peggio!” 1), per Amalia il Vate restò sempre un indiscusso modello di vita, oltreché il Poeta per eccellenza. Si può quindi immaginare quanto potesse sentirsi lusingata dall’ammirazione che le tributò il Vate, il quale, attendendola in un mattino invernale del 1912 all’Hotel Europa di Torino, disse a Tito Ricordi: “Aspetto l’unica poetessa che abbia oggi l’Italia”.
Sicuramente anche Amalia avrebbe desiderato fare della propria vita un’opera d’arte, come D’Annunzio; purtroppo, come si è detto, questo le riuscì solo nella prima parte della sua esistenza.
Dopo aver reincontrato Amalia in Certe donne, a Torino. Incontri ravvicinati con figure straordinarie, posso chiederle a quali progetti futuri sta lavorando?
Insieme ad un libretto su mio padre, al quale la Città di Chivasso dedicherà una targa, sto lavorando ad un progetto ambizioso, completamente nuovo. Per scaramanzia accennerò soltanto al fatto che i personaggi maschili vi avranno, questa volta, una pars leonina.
Note
1 G. Gozzano, da Poesie sparse, in Tutte le poesie, a cura di A. Rocca, Mondadori, Milano 2006.