La complessità è rete, una parola che riflette intrecci, connessioni visibili e invisibili, fili che si incontrano, si abbracciano, si sovrappongono e si annodano, quanto meno per un po’. La rete è tessuto, è struttura, è sistema ed è una delle immagini più potenti per rappresentare i fenomeni complessi. Lì, nella rete, comprendiamo la nostra essenza, che è composta di relazioni, comprendiamo il nostro corpo, comprendiamo la nostra mente così potente e così fragile. La rete è anche trappola, protezione e salvezza. È una di quelle parole che, come un nodo ben fatto, tiene insieme significati diversi, a volte opposti, paradossali, contraddittori, che contemplano sempre l’et et e si rifiutano di seguire la logica or or.

La rete è insieme trappola, protezione e salvezza: sta a noi interpretarla, comprenderla, estrarne il senso che ti lievita dentro per quella manciata di anni che il tuo divenire ti consente in questa Terra. In italiano la parola rete è femminile. Come la pazienza, come la memoria, come la cura. E forse non è un caso: le reti si costruiscono con tempo, con attenzione e ricordo, con dedizione. Non si improvvisano. Che siano reti da pesca, reti neurali, reti sociali o reti elettriche, tutte hanno in comune una logica di interconnessione, una geometria che sfida la linearità.

In francese, però, rete si dice réseau, maschile. Le réseau social, cioè il social network; un réseau de transport, cioè una rete di trasporti; les réseaux neuronaux, cioè le reti neurali. Basta valicare le Alpi e le reti assumono un’altra consistenza, come sempre nel caleidoscopio delle vicende degli esseri umani nel mondo. Non solo: in tedesco rete si dice Das Netz, quindi né maschile né femminile ma neutro. In questo caso la terza via è data, ancora una volta un’alternativa che svuota di consistenza il bivio e lo rende meno lacerante.

Getta le tue reti

“Getta le tue reti, buona pesca ci sarà”. Così la melodia degli anni Ottanta. Chissà se ci sarà buona pesca oppure torneremo a riva con un palmo di naso, le mani coperte di alghe e in cuore lo strazio del fallimento. Potremo però dire di averci provato, di avercela messa tutta, di aver compiuto un gesto nella direzione della raccolta felice. Con tutte le nostre imperfezioni, tutte le nostre mancanze, tutte le nostre malinconie.

La parola rete ha una formazione latina di origine non precisata: rēte(m). Reziario era il gladiatore romano armato di rete e tridente pronto a combattere nelle arene. La retina, la membrana nervosa interna all’occhio, era in origine, in latino medievale, tunica retina, cioè una tunica a forma di rete. Delle retine abbiamo bisogno per guardare, ma non per capire.

La parola rete era usata raramente fino alla fine del XIX secolo. Ora la utilizziamo in continuazione perché viviamo nell’era della rete e delle reti. Esistiamo perché siamo in rete, connessi con altri e con noi stessi.

Siamo interconnessi

La rete è interconnessione. Tutto è legato con tutto. Connettere deriva dal verbo latino connectĕre, che vuol dire ‘congiungere’, ‘annodare’, composto di con- quindi unione e nectĕre, ‘intrecciare’, ‘legare’. Il nesso, derivato dal participio passato di quel nectĕre, è il collegamento, il legame, la relazione tra due o più elementi. Appartiene alla stessa famiglia lessicale di nōdus, che ha generato nodo.

Ecco, la rete è annodamento. Siamo in rete perché siamo annodati gli uni con gli altri, le une con le altre. Se non fossimo in rete, per paradosso, saremmo monadi vaganti nell’etere, sbrindellati segmenti incapaci di nessi e quindi di sensi e significati, incapaci di dare vita alla vita.

La treccia nell’intreccio

La rete è intreccio. Gli elementi che compongono la rete si incrociano, si avvolgono l’uno nell’altro per dare vita a una nuova forma, a un nuovo disegno, a un arazzo meraviglioso in costante evoluzione e trasformazione. Quando le dita delle mani si intrecciano alle dita delle mani di un’altra persona generano energia e benessere, sono l’immagine più forte del superamento di sé, della costruzione di una dimensione altra rispetto ai singoli miseri ego.

L’intreccio significa anche un “complesso di vicende, di fatti, di fenomeni che si combinano, si incrociano, interferiscono reciprocamente complicandosi e intricandosi”. Così nel Grande Dizionario della Lingua Italiana. E quindi l’intreccio diventa sinonimo di intrigo e di imbroglio. Nella parola intreccio troviamo la treccia, cioè quella forma di pettinatura in cui tre ciocche di capelli di avvolgono l’una sull’altra. La parola treccia a sua volta deriva dal greco trikhía, che voleva dire corda. Ecco l’intreccio è un appunto accordo che va ascoltato, compreso e rispettato, come tutte le situazioni complesse, come tutte le persone che sono in loro complesse.

Le reti dell’Inghilterra

In inglese, e nell’uso comune in italiano, abbiamo due parole che utilizziamo per definire una rete: web e net. Il significato è simile ma non identico.

Web è la ragnatela o rete di fili intrecciati, come quella di un ragno. La rete di un ragno è fragile, eppure resistente. È geometrica, eppure organica. È costruita con precisione, ma si adatta all’ambiente. È insieme un’opera d’arte, una tecnica di cattura e uno strumento di sopravvivenza. Et et, sempre. Così come le reti che costruiamo ogni giorno, con soddisfazione e fatica, nella nostra vita: relazioni, amicizie, amori, collaborazioni, idee, progetti che si annodano nel breve transito che ci è dato compiere dal primo all’ultimo giorno dell’esistenza.

La parola web è usata in senso figurato per indicare qualcosa di complesso e interconnesso. Può avere una connotazione misteriosa o intricata, come sono le ricerche che conduciamo sul web quando cerchiamo di scovare qualche informazione in più. L’origine della parola web è indoeuropea e si congiunge con il verbo to weave, che vuol dire ‘tessere’, ‘praticare l’arte della tessitura’, ‘intrecciare il filato’.

Net invece significa rete fisica, come quella usata per pescare o per giocare a calcio o pallavolo. È più concreto e pratico rispetto a web. La radice proto-indoeuropea di net significa ‘legare’, ‘vincolare’. Come abbiamo visto, fa parte della stessa famiglia di connessione e di annessione, di nesso, di nodo e di nodulo. Internet, in origine inter- network, deriva da quel net, da quei legami e da quei vincoli.

La rete è trama e ordito

Pensiamo a un telaio. L’ordito è l’insieme dei fili tesi sul telaio, hanno una direzione verticale, scendono dall’alto al basso e costituiscono la struttura portante del tessuto. La trama è invece l’insieme dei fili che si intrecciano all’ordito, hanno una direzione orizzontale, procedono da sinistra a destra e da destra a sinistra, raccordano, uniscono, consentono la consistenza.

Il sostantivo ordito e il verbo ordire, in latino ordīri, appartengono alla stessa famiglia lessicale dei verbi ordinare e ornare, con l’idea di ‘disporre’ e di ‘apparecchiare’. La parola trama probabilmente ha la stessa radice di trahĕre, da cui hanno preso origine le parole italiane trarre, tracciare, trattare, tratto e anche trattore.

La trama e l’ordito sono anche termini con i quali descriviamo le narrazioni, sia quelle che rappresentiamo ad altri sia quelle che raccontiamo a noi stessi, nella nostra fragile mente, annodando tra loro i nostri più strampalati pensieri. Trama e ordito sono narrativa e quindi la struttura nascosta sotto la superficie. Per abbracciare la complessità, dobbiamo sempre puntare a livelli più alti e più profondi.

Reti digitali e reti umane

Viviamo immersi in reti digitali. Internet è la rete per eccellenza. Ma non dobbiamo dimenticare le reti umane, quelle che danno il senso al nostro essere qui. Quelle che non si vedono, ma che ci sostengono. Quelle che ci fanno crescere, che ci fanno sentire vivi. Le reti di affetti, di idee, di esperienze. Le reti di speranze.

La vera sfida, per ogni persona e per ogni comunità, è integrare le reti digitali con quelle umane. Usare la tecnologia per rafforzare le connessioni. Costruire reti che sappiano unire, non dividere, che sappiano utilizzare parole buone e non cariche di rabbia.

Tessere reti è un atto creativo. È costruire ponti, non muri. È immaginare un mondo dove la complessità non è un problema, ma una risorsa. Dove ogni nodo sia importante, dove ogni filo abbia valore. In alcuni casi riusciamo, in altri la fatica è troppa e i fili devono essere recisi per sopravvivere.

La parola rete ci ricorda però che siamo tutti sempre interconnessi. Che il futuro si costruisce insieme, nodo dopo nodo, filo dopo filo.