Comunicare, fin dalle sue origini, è stato il mezzo fondamentale per conoscere, sapere e tramandare. Gli esseri umani hanno da sempre cercato modi per trasmettere le proprie idee e raccontare ciò che accadeva.
Dapprima, ci si affidava ai gesti ed ai simboli, semplici ed immediati. Successivamente, l’invenzione dei papiri e delle pergamene portò a un salto evolutivo nella trasmissione del sapere.
Con l’introduzione della carta, la comunicazione scritta divenne accessibile e permanente, aprendo le porte a una diffusione più ampia delle idee.
Poi arrivò l’era delle comunicazioni tecnologiche: il telegrafo, il telefono, la radio ed infine, la televisione. Oggi, con internet, abbiamo raggiunto una connettività globale mai vista prima. Un clic ci permette di accedere a informazioni, immagini e notizie da ogni angolo del pianeta in tempo reale.
Prima che radio, televisione ed internet cambiassero il mondo, le notizie giungevano principalmente attraverso i giornali e il cinegiornale. Questi ultimi rappresentarono un’innovazione importante nell’Italia del dopoguerra, contribuendo a formare una cultura popolare unitaria oltre che a diffondere modelli sociali.
Il cinegiornale era un breve cortometraggio proiettato nei cinema prima degli spettacoli. Con il suo taglio documentaristico, riusciva a raccontare l’attualità con un linguaggio visivo capace di raggiungere anche le fasce meno alfabetizzate della popolazione. Era una finestra sul mondo per chi non poteva leggere o non aveva accesso ai quotidiani.
Nei servizi del cinegiornale non c’erano né interviste, né volti noti: tutto era focalizzato sulla narrazione e sulle immagini trasmesse senza audio originale, e raccontate da una voce fuori campo che spiegava i fatti, con sottofondo una musica che ne enfatizzava il tono.
Il passo successivo fu la televisione. Il primo Telegiornale della RAI andò in onda in forma sperimentale il 10 settembre 1952. Trasmetteva tre volte a settimana sul Primo Canale (oggi RAI 1). Dal 3 gennaio 1954, con l’avvio ufficiale delle trasmissioni RAI, il telegiornale divenne un appuntamento quotidiano e per molti italiani rappresentava una vera rivoluzione: poter vedere le notizie, invece di leggerle, creava un senso di immedesimazione e coinvolgimento mai provato prima.
Con il tempo, il telegiornale si ampliò. Il 4 novembre 1961 debuttò anche sul Secondo Canale (oggi RAI 2) e dal 15 dicembre 1979, con la nascita di RAI 3, venne introdotto il TG Regionale, che dava spazio alle notizie locali.
All’inizio, la dizione era considerata fondamentale. Per questo i primi telegiornali furono affidati ad annunciatori professionisti, capaci di pronunciare le notizie in modo chiaro e impeccabile. Il primo speaker fu Riccardo Paladini, un attore che lesse il notiziario fino al 1958. L’attenzione alla forma e al linguaggio era massima, perché il telegiornale rappresentava un’istituzione, un punto di riferimento per milioni di persone. Le famiglie italiane si riunivano davanti alla "scatola magica" per scoprire cosa accadeva nel mondo. Era un momento di condivisione e di crescita collettiva.
Negli anni Ottanta, l’avvento della televisione commerciale portò grandi cambiamenti. La pubblicità iniziò a influenzare i consumi e i costumi degli italiani. Quanti i prodotti che ancora oggi vengono acquistati perché visti in televisione?
La televisione, più che la carta stampata, divenne anche un mezzo politico, capace di orientare opinioni e comportamenti. Non è raro sentire frasi come: “Se l’hanno detto in televisione, allora dev’essere vero”.
Un tempo, le notizie venivano verificate con grande attenzione. Giornali e televisione seguivano un’etica rigorosa e si evitavano immagini troppo forti nel rispetto della sensibilità del pubblico.
Purtroppo, tutto questo cambiò radicalmente con un evento che segnò la storia della televisione italiana: il caso di Alfredino Rampi.
Il 10 giugno 1981, l’Italia intera seguì con il fiato sospeso la vicenda di questo bambino di sei anni caduto in un pozzo profondo 80 metri. La RAI organizzò una diretta televisiva a reti unificate che durò 18 ore e per la prima volta, milioni di persone rimasero incollate agli schermi, sperando in un lieto fine che purtroppo non arrivò.
L’impatto emotivo di quella tragedia fu enorme. La diretta, definita “tv del dolore”, segnò un punto di svolta nella televisione italiana. Da quel momento infatti, si iniziò a privilegiare l’aspetto emotivo e sensazionale delle notizie, spesso a scapito dell’etica e della sobrietà.
L’intero sistema dell’informazione in generale, un tempo obbligato a verificare con cura le fonti e la veridicità delle notizie, voltò pagina e molte informazioni vengono diffuse senza controlli adeguati, spesso solo perché è necessario per arrivare primi.
Le notizie sono sensazionalizzate, urlate, solo per colpire lo spettatore. L’inviato spesso ansima e costruisce drammi anche quando nulla è davvero accaduto. Spesso carente di argomentazioni e cinico, intervista persone a cui è appena occorso un dramma, chiedendo: come si sente!?
Il rispetto per il pubblico sembra essersi perso e l’etica professionale è spesso sacrificata solamente in nome dell’audience. Gran parte della programmazione televisiva è costruita su una logica di marketing e potere. Tutto è studiato per influenzare opinioni e comportamenti, in modo più o meno esplicito.
Con l’avvento di Internet, il ruolo del telegiornale è cambiato. Oggi, le notizie sono disponibili 24 ore su 24 online, rendendo il TG meno centrale nella vita delle persone. Tuttavia, per chi non usa internet o non legge quotidiani, il telegiornale resta la sola fonte importante di informazione.
Che si tratti di notizie o di spettacolo, tutto è parte della comunicazione, la stessa che è alla base del sapere e del progresso. Purtroppo, non sempre ciò che viene trasmesso corrisponde alla verità. La storia ci insegna che molte informazioni sono state distorte o interpretate in modi diversi.
A mio parere, le notizie dovrebbero essere comunicate seguendo la regola fondamentale del giornalismo: Who? What? When? Where? Why? (Chi? Cosa? Quando? Dove? Perché?). Questo metodo rappresenta il cuore dell’etica giornalistica, una struttura semplice ma essenziale per garantire un’informazione chiara, trasparente e imparziale.
La funzione principale del giornalismo dovrebbe essere quella di riportare i fatti nella loro forma più pura, senza alcun commento o giudizio personale. L’informazione non dovrebbe mai essere influenzata da preferenze politiche, opinioni soggettive o interessi di parte.
Il pubblico dovrebbe avere la libertà e la responsabilità di trarre le proprie conclusioni. Una notizia ben raccontata, basata esclusivamente sui fatti, fornisce tutti gli strumenti necessari affinché chi la riceve possa analizzarla, interpretarla e formare un’opinione personale.
Quando invece la narrazione delle notizie si arricchisce di commenti soggettivi, colorazioni politiche o sensazionalismi, si corre il rischio di manipolare l’opinione pubblica. Questo è un problema particolarmente grave in un’epoca in cui l’informazione è onnipresente e la fiducia nei media è in continuo calo.
Purtroppo, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un progressivo allontanamento da questa regola fondamentale. Molti notiziari e testate giornalistiche sembrano più interessati a influenzare l’opinione pubblica che a informarla.
Le notizie vengono spesso confezionate come spettacoli, con l’aggiunta di toni drammatici o enfatici per catturare l’attenzione del pubblico. In alcuni casi, le informazioni vengono distorte o selezionate in base agli interessi di chi controlla i mezzi di comunicazione.
Questo approccio mina profondamente la credibilità del giornalismo e il rapporto di fiducia tra i media ed il pubblico. Il giornalista non dovrebbe mai essere un narratore di parte, ma un cronista imparziale, fedele alla realtà dei fatti.
Per tornare ad un’informazione di qualità, è fondamentale riscoprire i valori etici del giornalismo. La regola delle 5 W rappresenta una bussola indispensabile per chiunque lavori in questo campo.
Solo un’informazione neutrale, priva di filtri ideologici, può davvero servire il suo scopo primario: educare, informare e contribuire alla crescita di una società consapevole.
Anche il pubblico ha un ruolo importante in questo processo. È necessario sviluppare un atteggiamento critico verso le notizie che ci vengono presentate. Verificare le fonti, cercare prospettive diverse e mettere in discussione ciò che si legge o si ascolta sono azioni fondamentali per contrastare la disinformazione.
Il mio auspicio è che il giornalismo possa ritrovare il suo vero scopo, tornando a essere uno strumento al servizio della verità e della comunità. Solo così si potrà ripristinare la fiducia tra chi informa e chi riceve l’informazione, creando un dialogo basato sul rispetto e sulla trasparenza.
Come persona che ha lavorato nella televisione per molti anni, ho avuto il privilegio e la responsabilità di osservare da vicino i suoi molteplici aspetti e i profondi cambiamenti che l’hanno attraversata e non posso che confermare quello che ho sempre affermato: la televisione è stata e rimane un’invenzione straordinariamente importante. Ha trasformato il modo di comunicare, informare ed intrattenere, diventando un pilastro della società moderna. Tuttavia, come ogni strumento potente, il suo impatto dipende dall’uso che se ne fa. E, con il passare del tempo, questo mezzo si è trasformato in qualcosa di molto più complesso e spesso problematico.
La televisione è oggi uno strumento potentissimo, capace di influenzare opinioni, comportamenti e culture su vasta scala. Proprio per questo, credo fermamente che vada utilizzata con estrema discrezione e oculatezza. Il suo potenziale persuasivo può essere tanto benefico quanto pericoloso. Negli anni, ho assistito a un progressivo decadimento nella qualità della programmazione. Ciò che un tempo era un mezzo per diffondere cultura, educazione e intrattenimento di qualità, è oggi, in gran parte, diventato un contenitore di ignoranza e volgarità.
Dal punto di vista dei contenuti, la televisione sembra aver abbandonato l’ambizione di educare e informare in modo costruttivo. La qualità si è progressivamente deteriorata, cedendo il passo a programmi sensazionalistici, spesso privi di vero valore culturale od educativo.
La volgarità, sia linguistica che visiva, è ormai una presenza costante in molti programmi. Questo non solo abbassa il livello generale, ma influisce negativamente sugli spettatori, in particolare sui più giovani, che assorbono modelli di comportamento poco edificanti.
In qualità di difensore del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, ho sempre cercato di mettere in guardia genitori ed educatori sull’impatto che la televisione può avere sui più piccoli. I bambini e gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili: assorbono ciò che vedono e sentono, costruendo il loro mondo interiore anche attraverso i messaggi mediatici.
Purtroppo, i programmi pensati per loro sono diventati sempre più rari e spesso di scarsa qualità. Questo lascia spazio a contenuti inadatti, che possono confondere o, peggio, danneggiare il loro sviluppo emotivo e cognitivo. Il mio consiglio è di limitare l’esposizione dei bambini alla televisione e, quando possibile, scegliere con estrema cura i pochi programmi ancora validi. La supervisione degli adulti è fondamentale per garantire che i contenuti siano appropriati e utili alla loro crescita.
Resto fermamente convinto che una delle alternative più valide alla televisione sia la lettura di un buon libro. La lettura non solo aiuta a sviluppare la fantasia, ma stimola anche il pensiero critico e arricchisce il linguaggio.
Un libro offre un’esperienza unica, che richiede concentrazione e coinvolgimento attivo. Contrariamente alla passività spesso associata alla visione televisiva, la lettura invita a immaginare, riflettere e creare connessioni personali con il contenuto.
Leggere insieme ai bambini, ad esempio, può essere un momento di condivisione prezioso, oltre che un modo per guidarli verso una crescita culturale e intellettuale.
Nonostante le criticità attuali, resto fiducioso che ci sia spazio per un cambiamento positivo. Le nuove generazioni, più consapevoli e attente, possono essere la guida e l’ispirazione di questa trasformazione.
Una televisione responsabile può ancora essere un mezzo straordinario per educare, ispirare e unire le persone.
Nel frattempo, il mio invito è di non accontentarsi, ma di cercare alternative che possano arricchire veramente la mente e lo spirito.
La televisione è uno strumento potente, ma sta a noi decidere come utilizzarlo e, soprattutto, come proteggerci dai suoi effetti negativi.