La “Belle Époque”, espressione con cui si è soliti indicare il periodo storico che in Francia va, secondo alcuni studiosi dal 1971 al 1914, ossia dalla fine del conflitto franco-prussiano all’inizio della prima guerra mondiale, mentre secondo altri dal 1900 al 1914, è oggettivamente caratterizzata da un’aura ricca di fascino e sogno. Un’epoca felice, di floridezza e benessere, come suggerisce il nome, di pace e quiete dopo e subito prima la tempesta: la Francia sembra essersi lasciata alle spalle secoli di guerra e comincia a dirigersi inconsapevole verso il primo conflitto mondiale.
Vediamo, però, su quali basi storiche economico-sociali e artistiche viaggia l’Europa intera in questo periodo, che circonda idealmente lo splendore parigino.
L’Europa, dopo i moti rivoluzionari indipendentisti o democratici del 1848 che hanno squassato ogni stato e proliferato grazie alle nobili idee di ribellione, ha visto la piena fioritura della classe sociale della borghesia: l’Ancien Régime, l’antico assetto politico-sociale con a capo il clero e la nobiltà tipico di ogni civiltà fortemente gerarchizzata, già intaccato con la Rivoluzione Francese del 1789, era ormai un vecchio ricordo da cancellare.
Inoltre, dal momento che nei primi anni dell’Ottocento le idee di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza non avevano ancora trovato una soddisfacente applicazione pratica (dato il culmine della Rivoluzione Francese nel terrore e nel sangue, l’epocale avvento di Napoleone e la conseguente opera di Restaurazione promossa dai capi di stato di inizio secolo che avrebbero voluto ricreare l’antico ordine precostituito), si erano ancor di più radicate in tutta Europa, anche in parte mutando, e venendo così inglobate nella nuova corrente artistico-letteraria del Romanticismo.
Questo movimento, di cui l’embrione fu il celebre Sturm und Drang tedesco, nacque in opposizione all’Illuminismo difensore dei “Lumi della Ragione”, della Scienza, dell’ateismo e delle ideologie cosmopolite e apolidi dei suoi seguaci; i valori di Uguaglianza, Fratellanza e Libertà così cari all’Illuminismo, erano poi stati riletti in chiave patriottica dal Romanticismo.
Soprattutto in Italia e in Francia, gli intellettuali romantici manifestavano una forte propensione per la Storia e i romanzi storici, per l’idea di patria, di Dio e per la narrazione di azioni generate dai violenti moti interiori dei personaggi (si pensi ad esempio a Manzoni e Hugo); nel Nord Europa, come in Germania o Inghilterra, manifestavano nelle loro opere l’amore per l’irrazionale e una sorta di misticismo secondo cui la natura conteneva in essa i simboli del divino, in cui il “Sublime”, ossia la capacità di atterrire e meravigliare al tempo stesso, si traduceva con gli elementi naturali più antichi e splendidi del mare, della tempesta, del fuoco o altro; in questi autori si percepiva fortemente il legame interiore con il mondo sovrannaturale (si pensi a Friedrich o a La Ballata del Vecchio Marinaio di Wordsworth e Coleridge).
Subito dopo questi eventi, gli storici hanno suddiviso in tre fasi il periodo che va dal 1848 agli inizi del Novecento: la prima arriva fino al 1873 ed è contraddistinta, soprattutto in Nord Europa, da un grande sviluppo economico, trainato dall’incremento del settore ferroviario, grazie alla diffusione delle macchine a vapore, e delle industrie ad esso collegato come quella meccanica e siderurgica; la seconda, dal 1873 al 1895, caratterizzata dalla crisi economica causata dalla guerra franco-prussiana, dal crollo del settore ferroviario e dalla crisi agraria originata dalla concorrenza dei prodotti provenienti dagli USA, a cui si reagì con il protezionismo, l’assorbimento delle piccole aziende nelle grandi con concentrazioni monopolistiche e la riduzione del libero mercato e la costruzione di vasti imperi coloniali in Asia e Africa(è adesso che la borghesia passa da essere di stampo liberista a quello imperialista).
Si sviluppò così un nuovo colonialismo diverso da quello del passato che consisteva soprattutto in un’espansione commerciale: adesso si trattava di conquista militare di territori, asservimento del lavoro umano di queste popolazioni agli interessi delle nazioni dominanti: il mondo appariva in questo modo diviso tra Paesi dominanti e dominati e ciò determinò anche un punto di vista nuovo, determinando la diffusione di ideologie volte a teorizzare la superiorità dell’uomo bianco occidentale e giustificando il colonialismo come presunta diffusione di civiltà, oltre che soluzione dei problemi demografici europei.
Si cominciavano a porre le basi per la terza fase, quella che va dal 1896 al 1908, corrispondente alla seconda rivoluzione industriale (la prima era stata in Inghilterra a fine Settecento), perché fra gli anni Ottanta e Novanta soprattutto in Germania e Stati Uniti, cominciavano ad essere sperimentate nuove fonti energetiche, come il petrolio e la corrente elettrica, che diedero sfogo alla nascita di industrie elettriche e a quella dell’automobile, oltre che di nuove scoperte e invenzioni in campo tecnologico e medico, come: la dinamo di Pacinotti; il telefono di Meucci; il fonografo e la lampadina di Edison; il telegrafo senza fili e la radio di Marconi; il motore a scoppio di Benz e la prima automobile; il primo aeroplano dei fratelli Wright; il processo chimico per creare l’acciaio usato per ferrovie, navi ed edifici; il cinematografo dei fratelli Lumière; l’aspirina; si scoprirono le cause di alcune malattie e l’importanza dell’igiene quindi dell’acqua corrente e delle fogne chiuse.
Inoltre, il lavoro in fabbrica, che già nella prima metà dell’Ottocento aveva rilevato le sue incongruenze e i punti critici nella vita degli operai portando alla pubblicazione nel 1848 del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels a difesa de proletariato contro le ingiustizie inflittegli dai capitalisti borghesi, si andava adesso razionalizzando sempre più: gli operai specializzati cominciavano a svolgere un lavoro di manutenzione delle macchine, rispetto agli operai comuni che eseguivano i compiti più elementari, ripetitivi e alienanti.
Era il preludio del taylorismo, la teoria di Taylor del 1911 sulla suddivisione dei compiti e la strutturazione del lavoro in fabbrica, che portò anche alla nascita della catena di montaggio di Henry Ford del 1913 e quindi alla produzione in serie: l’alienazione del lavoro proletario divenne un serio problema, denunciato, seppur ironicamente, da Charlie Chaplin in Modern Times nel 1936.
Questo clima di estrema modernità e innovazione, portò inevitabilmente enormi mutamenti anche nel modo della gente di percepire la vita e il mondo. La rapida industrializzazione permetteva di ottenere velocemente e a prezzi più accessibili, almeno per quanto concerne le classi sociali benestanti, ambitissimi pezzi di ultimissima tecnologia, come telefoni e macchine fotografiche; i media cominciavano a coprire infinite distanze in tempo reale e i mezzi di trasporto aumentavano a vista d’occhio: non fu un caso se proprio in questo periodo nacquero i grandi magazzini e, con essi, ufficialmente la società dei consumatori e quella di massa.
Il mondo cominciava ad essere percepito come infinitamente più piccolo e a misura d’uomo: la velocità, la forza, il movimento, il progresso e il futuro erano le parole d’ordine all’ordine del giorno. Non c’era più spazio per la lentezza e le ampollosità del passato. A Milano, ad esempio, nel 1881 fu inaugurata l’Esposizione Nazionale, con il trionfo dell’industria, della tecnica e della macchina, che segnò il decollo industriale italiano, presente nel panorama economico europeo grazie al triangolo Torino-Milano-Genova e alla nascita della FIAT nel 1899.
Nacque a livello filosofico il Positivismo di Comte e quello di Spencer e Darwin. Non a caso l’inizio del Novecento segnò anche la nascita delle avanguardie in campo artistico-letterario. Tornando però a Parigi, dove era cominciato il viaggio in questo excursus storico, vediamo che essa rappresentava il centro dell’universo artistico e mondano, dove i consumi viaggiavano più forte che in altre città e dov’era situato il punto nevralgico della Belle Époque, in cui si dipanavano satinati merletti e drink alle feste dell’alta borghesia, con il suo covo di artisti di ogni genere che affollavano le strade di Montmartre e di notte brulicavano nel Moulin Rouge tra le gonne ampie del Can-can e le fatine verdi dell’assenzio, e si nutrivano di genio e sregolatezza di giorno. Tra loro Henri de Toulouse-Lautrec, Pablo Picasso, Amedeo Modigliani, per non parlare dei poeti maledetti, Verlaine e Rimbaud, Mallarmé e il precursore Baudelaire.
A livello artistico e letterario ci sarebbe ancora una marea di pagine da scrivere, tra movimenti che interessarono l’Ottocento e l’Europa, come il Realismo, il Verismo, la Scapigliatura, il Naturalismo, il Decadentismo, il Simbolismo e le loro influenze in diverse zone d’Europa. Basti sapere per ora che in questo caleidoscopio psichedelico si snocciolava la magia del cambiamento e dell’innovazione del passaggio tra epoche, in una rapida cascata fino in fondo agli abissi più oscuri del sentire umano.
Bibliografia
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese, La scrittura e l’interpretazione, Ed. rossa, Vol. 2, Tomo II, Palumbo Editore, Firenze 2001.
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese, La scrittura e l’interpretazione, Ed. rossa, Vol. 2, Tomo III, Palumbo Editore, Firenze 2001.
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese, La scrittura e l’interpretazione, Ed. rossa, Vol. 3, Tomo I, Palumbo Editore, Firenze 2001.