Mentre stavo terminando questo articolo è giunta l’informazione di una vasta operazione anticorruzione che sarebbe avvenuta all’interno del Parlamento europeo. Secondo le nostre informazioni sarebbero sospettati una quindicina di eurodeputati. Le perquisizioni che la polizia giudiziaria belga ha effettuato in tre paesi europei riguardano però solo una ventina di lobbisti della società cinese Huawei.

Ecco allora che alla parola lobby si associa spesso il concetto di corruzione e non pare essere però solo un pregiudizio.

Il lobbismo (neologismo orrendo per la definizione del lavoro dei gruppi di interesse economico) è l’insieme delle attività con cui i gruppi di interesse cercano di esercitare la propria influenza sul potere politico e amministrativo. Come scrive James O’Connor nel suo La crisi fiscale dello Stato, la politica del bilancio è determinata dal gioco dei gruppi di interesse e di pressione.

La politica è un mestiere, e come tale necessita di competenze e conoscenze. Tuttavia queste non possono essere universali e quindi i politici ricorrono a consiglieri e consulenti per avere informazioni tecniche e scientifiche necessarie per determinare quali contenuti inserire nella redazione di un testo di legge. Contenuti tecnici interni allo sviluppo economico del paese e quindi facenti parte del campo delle industrie.

Un esempio: i legislatori devono decidere se un prodotto chimico sia tossico o meno. Le industrie chimiche sono dunque interessate. Il caso più clamoroso è quello sull’utilizzo o meno del glifosato della Monsanto: un diserbante chimico altamente tossico. Così tossico che nel novembre del 2023 la giuria del tribunale della Contea di Cole, nel Missouri, (Usa) ha condannato la Monsanto/Bayer a pagare 1,56 miliardi di dollari ai querelanti i quali accusavano il Roundup (il diserbante fogliare sistemico che ha come principio attivo il glifosato) di aver causato loro danni fisici tra cui il cancro. Gennaio 2024: l’azienda fondata a Wuppertal nel 1863 dovrà pagare 2,3 mld di dollari a John McKivison, un cliente Monsanto. La Court of Common Pleas di Philadelphia ha infatti stabilito che il linfoma non-Hodgkins dell’uomo è stato causato dal famigerato diserbante Roundup. La Bayer/Monsanto ha annunciato ricorso.

L’Unione europea stabilisce i limiti di presenza di agenti chimici negli alimenti e da introdurre nella natura validi per tutti paesi membri con procedure farraginose e autocratiche. Il 16 novembre 2023 nel corso di una riunione i 27 ministri dell’ambiente non riuscirono a raggiungere la maggioranza qualificata (15 Stati che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione europea), necessaria per approvare o respingere la proposta della Commissione di prolungare per altri 10 anni l’uso del glifosato. In casi come questo di stallo nella decisione degli Stati membri la Commissione europea ha il potere di decidere. E l’esecutivo comunitario decise di rinnovare il permesso di usare il glifosato nell’agricoltura Europea.

Un rinnovo però che avrà alcune condizioni: ne sarà vietato l’uso per il disseccamento (ovvero quando viene utilizzato per asciugare una coltura prima del raccolto), inoltre l’impiego dovrà essere accompagnato da misure di mitigazione del rischio per l’area circostante, attraverso delle cosiddette zone tampone di cinque e fino a dieci metri. Insomma il glifosato è pericoloso ma va usato, business oblige. Per scampare alla tossicità degli alimenti venuti a contatto con il Glifosato evidentemente la Commissione europea si affida al sovrannaturale.

Infatti, il glifosato è stato classificato nel 2015 come “probabilmente cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Le ong Foodwatch e Générations futures affermano che il rinnovo dell’autorizzazione:

va contro il principio di precauzione, mentre le prove della pericolosità del glifosato per gli esseri umani e l’ambiente si moltiplicano.

Il principio di precauzione del rischio è un criterio di buon senso: impone di adottare misure preventive quando vi è una minaccia di danno grave o irreversibile per la salute umana o per l'ambiente, anche in assenza di certezza scientifica assoluta. Insomma se un prodotto è anche solo potenzialmente nocivo meglio attendere la certezza scientifica che non lo sia prima di metterlo in commercio. Manifestamente la Commissione non ne ha tenuto conto, pur se l’articolo 191 del TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione europea) prevede l’applicazione del principio di precauzione. Potenza della lobby.

Un lobbista è ben pagato poiché deve avere professionalità specifiche ad alto livello: capacità di presentarsi per convincere, essere uno specialista della materia, essere uno specialista delle normative comunitarie per proporre testi da far adottare. Tutte professionalità ben pagate, con premio finale in caso di adozione della legge conformemente agli interessi dell’industria in questione. L’ong Transaprency International parla di una spesa per le lobby intorno a 1,6 miliardi di Euro.

A queste vanno aggiunte le spese per eventuali bustarelle? Raramente si trovano con le mani sporche di marmellata; anche se in un’intervista al quotidiano francese Liberation, Jack Valenti, presidente della MPAA (Motion Picture Association of America) l’associazione che rappresenta le majors statunitensi, avrebbe affermato di aver dato un milione di dollari a due deputati del Parlamento europeo per il loro bel lavoro.

Il Parlamento europeo stava discutendo della direttiva TV senza frontiere. Fulcro della norma europea era la quota obbligatoria di produzione cinematografica europea da trasmettere in televisione. I produttori europei anche loro organizzarono una pressione istituzionale con conferenze a cui parteciparono i più noti registi cinematografici europei a difesa della preferenza dei film europei; ma - grazie anche alla lobby delle tv private europee - al termine della battaglia istituzionale nella direttiva non furono stabilite quote obbligatorie di film europei a tutto vantaggio delle produzioni d’oltre oceano.

Un altro caso assurto alle cronache di tutta Europa è il cosiddetto Qatargate. Cioè il caso di influenza di una lobby del Qatar tesa a far votare dal Parlamento europeo una risoluzione che non accusasse il Paese arabo di violazione di diritti umani e sindacali in occasione della costruzione degli impianti per il campionato mondiale di calcio. Il caso è scoppiato agli inizi di dicembre del 2022 ed è alquanto complesso: quattro magistrati hanno preso uno dopo l’altro la direzione delle indagini (uno di questi nel frattempo è stato eletto deputato europeo dopo essersi dimesso dall’incarico per conflitto d’interessi); i servizi segreti belgi sono implicati come nei film, valige piene di euro sono state sequestrate agli accusati, e non ostante una denunciata flagranza di reato il procedimento è fermo, il processo non è ancora iniziato. C’è qualcosa di marcio nell’affaire?

Del resto Bruxelles è il luogo primo in Europa, e secondo al mondo dopo Washington, per numero di lobbisti presenti. Il numero esatto, pur esistendo un registro dove i lobbisti sarebbero obbligati ad iscriversi, non è conosciuto poiché non tutti i lobbisti sono iscritti negli appositi registri. Incrociando i dati Transparency international arriva ad un numero di lobbisti presenti a Bruxelles che oscilla tra i 30.000 ed i 40.000.

Tale pletora di lobbbisti è così presente ed invadente che il 28 agosto del 2018 il ministro francese dell’ecologia, Nicolas Hulot, si dimise dall’incarico denunciando la smisurata influenza delle lobby sulla politica.

Le inchieste e gli scandali gridati dai quotidiani riguardano, fino ad ora, lobby di industrie di paesi non europei (la Monsanto è di proprietà della Bayer). Non fu pubblicato nulla, però, quando dopo la denuncia in Aula, durante la dichiarazione di voto negativa alla riforma dell’agricoltura, un eurodeputato denunciò che il Commissario responsabile europeo al termine del suo mandato avrebbe lavorato per una multinazionale dell’agroindustria. Così avvenne ma non ci fu eco di scaldalo. Del resto anche l’attuale presidente della Commissione europea, Von der Leyen, toccata molto da vicino e condannata dalla Corte di giustizia europea, è al suo posto.