Da qualche anno, il 25 novembre, si celebra la “Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne”. Ovviamente non si può non fare riferimento, a proposito della violenza che le donne subiscono quotidianamente, alla condizione femminile nella società attuale.
Si è discusso a lungo, sui giornali, alla radio e in Tv, proprio in occasione di questa importante celebrazione, di patriarcato.
Il tema proposto dai diversi organizzatori degli eventi, racchiude molteplici significati e riflessioni, legati alla condizione delle donne, alla loro lotta per i diritti e la parità, nonché alla loro autonomia e indipendenza in una società spesso patriarcale.
Qualcuno addirittura è arrivato a volgere in dubbio la persistenza stessa di questo sistema di valori che va sotto l’egida del termine “patriarcato”. Preferisco non scivolare sul terreno politico, perché tanto l’abbiamo capito che per i conservatori il patriarcato non esisterebbe, mentre i progressisti si danno da fare per dimostrare il contrario.
Certamente la nostra società non può essere paragonata al modello di certe teocrazie; il mio pensiero in questo momento va all’Iran, dove una donna si è dovuta spogliare per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema che noi qui stiamo liberamente dibattendo. Oppure all’Arabia Saudita, dove le donne non possono uscire se non accompagnate da un familiare di sesso maschile e ancora meno recarsi all’estero da sole. Non mi trattengo neppure sull’Afghanistan. Ho voluto citare tre paesi dove l’esistenza del modello patriarcale appare abbastanza evidente.
Ma noi, nella nostra società, quella italiana e più in generale quella occidentale, a che livello di sviluppo siamo, sulla scala dell’evoluzione del sistema patriarcale?
Prima di cercare di rispondere alla domanda occorre considerare che qui stiamo parlando di una scala temporale che si misura sui millenni; forse qualcuno potrebbe addirittura affermare che a volere misurare esattamente l’origine del patriarcato, si andrebbe a finire nella notte dei tempi.
Con la mente rivado ai miei giovanili studi, quando, desideroso di approfondire certe tematiche giuridiche, divoravo letture di storia, antropologia, psicologia, sociologia e quant’altro mi incuriosiva, per supporto e completamento dei miei studi giuridici. In particolare mi tornano in mente due autori: Johan Jacob Bachofen ed Erich Fromm.
Secondo questi autori, le tracce più evidenti del momento in cui il patriarcato si è affermato come ordine sociale, si rinvengono nei miti greci dell’Olimpo, dove primeggiano le figure di Zeus (il Giove dei nostri antenati Romani), con la sua rapacità predatoria in perenne ricerca di donne da concupire e sedurre, e degli altri dei di sesso maschile. Per contro le figure divine dell’Olimpo eccellono per le loro venuste qualità e altri profili caratteriali tipicamente femminili.
Sembra inoltre che prima di questa affermazione dei miti greci, l’ordine sociale fosse incentrato sulla donna e sul matriarcato.
Bachofen in particolare, nei suoi studi, ha messo in evidenza l’esistenza di numerose etnie e tribù in cui erano le donne a trasmettere, per linea materna, il proprio nome ai figli. Purtroppo non abbiamo fonti scritte dirette e forse l’instaurazione dell’ordine sociale che va sotto il nome di patriarcato coincide con l’invenzione della scrittura.
La contrapposizione tra matriarcato e patriarcato si giocherebbe tutta su questo antagonismo: le donne verso i figli nutrono sentimenti d’amore e nient’altro; gli uomini, nel patriarcato, rivestono verso i figli sentimenti di possesso. I figli devono perpetuare i progetti del padre. Non è un caso che sin dai primi testi scritti noi troviamo le donne escluse dalla successione, oppure esse vi accedono in misura ridotta rispetto ai maschi. C’è addirittura chi fa osservare come nel matriarcato viga la proprietà comunitaria e indivisa mentre nel patriarcato primeggia la proprietà privata.
Vorrei presentarvi invece un aspetto interessante del tema della libertà della donna. La libertà dei sentimenti e vorrei concludere con un pensiero di Fabrizio de André, certamente un campione delle libertà, anche di quelle femminili.
Per quanto abbia cercato l’uguaglianza nei comportamenti degli uomini e delle donne, non sono mai riuscito a trovarla: anzi, direi che, reduce anch'io da una cultura di matrice maschilista, questa uguaglianza non ho mai voluto veramente trovarla. Ho preferito lasciare alle donne con cui ho avuto a che fare, quel loro spazio di impenetrabilità che mi consentiva di mitizzarle quindi di crederle forse migliori di quanto non fossero in realtà. Infatti, mia moglie continua a essere una faccenda completamente diversa da me e per buona parte sconosciuta: accanto alla sua vita reale ne scorre un’altra sotterranea e parallela piena di ripostigli, di anfratti, di cassettini in cui nasconde un vasto repertorio di gioie, di dolori, di speranze o di delusioni: in questi ripostigli io non ci voglio ficcare il naso. Il che mi lascia almeno sperare che in uno di quei cassetti ci sia anch'io.
Concludo con due citazioni di Madame de Staël, scrittrice francese, dell’epoca dei Lumi, la quale scriveva:
Non appena una donna è indicata come una persona distinta, in generale il pubblico è prevenuto nei suoi confronti.
Non di meno, su un altro piano, essa diceva, a metà tra il serio e il faceto:
Sono molto contenta di non essere un uomo, altrimenti mi sarebbe toccato di sposare una donna.














