Come afferma Salvatore Gullotta di Mauro nel suo libro L'isola degli “Dei” e di uomini fortunati – Tra Mito e Scienza (Carlo Delfino Editore, 2022): «L’origine dell’uomo costituisce un dilemma tuttora avvolto nel mistero, il grande mistero dell’uomo».
Per ampliare lo spazio delle possibilità alla soluzione di questo mistero, ci si potrebbe aiutare col mito, perché dietro ad ogni racconto mitologico potrebbe essere celata anche un base di verità storica, «una confusa e frammentata mente collettiva di fatti realmente accaduti».
Tra i vari ricercatori che hanno analizzato testi e ritrovamenti antichi, è suggestivo e affascinante il percorso del giovane Victor Nunzi, autore dell’opera La Regalità degli Dei - Analisi cronologica tra storia e mito dal 475.000 a.C. al 36.160 a.C. (Uno Editori, 2022).
Il Nunzi, boliviano d’origine, nato a Cochabamba, vive a Roma ed è cittadino italiano da quando aveva solo un anno. I suoi 35 anni li ha dedicati allo studio, in particolar modo della storia: dopo una attenta formazione classica, si è laureato in “Studi Europei” presso la facoltà Uni Roma Tre - Scienze Politiche e poi ha continuato a studiare, leggere ed esplorare per conto suo.
Per questo motivo possiede idonei strumenti culturali per affrontare l’argomento attraverso la consultazione di testi e documenti antichi. Ama definirsi ricercatore indipendente, però il suo studio della cultura sumerica e dell’archeologia misterica è sempre basato su un approccio storico. Il suo scopo è la rivisitazione delle antiche cronologie per una migliore comprensione della successione degli eventi del passato. Appassionato studioso di Zecharia Sitchin, Nunzi, si spinge anche allo studio delle lingue antiche per evitare interpretazioni e traduzioni affrettate e superficiali.
In questo modo è diventato esperto in materia ed è incessantemente invitato da molte webTv indipendenti per parlare dell’argomento (Facciamo Finta Che, Il Punto di Vista, Le ali del brujo, arcoiris.tv, Syusy Blady, Occhio alla storia, TVCITY, ecc.).
Il mito degli dèi Anunna somiglia ai miti presenti in molte culture antiche e tutti questi segni e racconti colmi di mistero e di magia, con radici comuni, sono capaci di incantarci e suscitare curiosità circa il nostro legame profondo con l’origine della nostra stirpe umana.
Esiste, quindi, un pantheon di divinità nella tradizione sumera che fanno capo al dio del cielo An, il quale ha due figli. Essi scendono sulla terra e si dividono i poteri tra il padre (An) e i due figli Enlil ed Enki. La vicenda è incentrata su queste tre divinità e sulla loro discendenza, che costituiscono il gruppo delle “Sette divinità che determinano il destino” dette anche i Grandi Anunna. A servizio di questi, esiste una classe di divinità di minore importanza identificati con il generico termine Anunna.
Al di sotto di essi c’è un terzo gruppo ancora meno importante, gli accadici Igigi, ridotti in condizione di semi-schiavitù dagli altri. Gli Igigi, stufi di essere coloro che faticano per servire i loro superiori, decidono di ribellarsi e chiedono alle divinità di trovare una soluzione alla loro stanchezza. L’Assemblea dei Grandi Anunna prende in considerazione la loro richiesta e stabilisce di creare una classe di altri schiavi, non divini, con il compito di sostituire gli dèi nei loro compiti quotidiani.
Questi servi sono “gli uomini dai capelli neri” che, come vedremo in seguito, costituiscono la nostra umanità e che sono stati creati ad opera di uno di questi dèi, il dio Enki, in collaborazione con alcune divinità femminili, mediante interventi genetici su un ominide esistente. Dopo varie ibridazioni di questo tipo, sulla terra convivono gli dèi e gli umani con vario livello di sviluppo: gli ultimi esemplari creati rappresentano l’Adam Kadmon e i suoi discendenti, un’umanità civilizzata creata a immagine e somiglianza degli dèi, dalla quale nasceranno i Patriarchi.
La regalità sarà attribuita a questi ultimi che regneranno ognuno per un certo numero di anni, anni divini computati in Sar (dove 1 Sar = 3.600 anni) fino a giungere al Patriarca Noè, durante il regno del quale si verificherà il diluvio universale, a cui egli e i suoi discendenti sopravviveranno.
Il lavoro di Nunzi si incentra proprio sulla cronologia dei descritti eventi: a partire dall’arrivo di questi dèi avvenuto intorno al 465.000 a.C. e fino al momento del grande diluvio, ossia all’incirca a 36.500 a.C.; la datazione è la vera novità di tutto il libro, essendo la datazione del diluvio attualmente vigente pari a 11.000 anni fa, ci sono 25.000 anni di vuoto del tempo. In estrema sintesi questo rappresenta il Mito degli Anunna o Annunaki, ma si tratta davvero solo di un Mito?
Nella sua opera Nunzi cita un particolare interessante: ancora oggi in Libano, a Ba'al-Bek, esiste una grande piattaforma fatta con massi megalitici che potrebbe sembrare una grande pista di atterraggio antidiluviana. Questo fatto potrebbe far ipotizzare che le vicende narrate nel Mito possano avere davvero radici storiche. Ora facciamo alcune domande all’autore che ci fornirà ulteriori dettagli sulla questione.
Come mai hai sviluppato interesse relativamente a questa materia?
Le più importanti scoperte avvengono per caso, ammesso che il caso esista. E così in una di quelle calde giornate di inizio estate in cui non sai bene cosa fare, mia madre, bibliotecaria, portò a casa uno strano libro Il libro perduto del dio Enki, di Zecharia Sitchin.
Devo dire che mi incuriosì, non ne avevo mai sentito parlare, lo presi in mano, lo sfogliai e poi lo lasciai lì con l’intenzione di leggerlo. Ma mia madre lo riportò in biblioteca e non ebbi il tempo di far la lettura. Eppure, quel nome, quel titolo, mi torturavano anche durante il sonno, era come se qualcosa mi spingesse a sapere di più su quel mistero. Dopo le vacanze, quindi, ordinai l’opera e cominciai a leggerla svogliatamente. Era un testo difficile, pieno di date e rimandi, lo lasciai di nuovo per un po', finché un bel giorno presi una penna e un taccuino e cominciai a leggerlo annotando tutto ciò che doveva essere ricordato. E non ho più smesso fino a quando non ho terminato la lettura di tutta l’opera di Sitchin che già solo dai titoli si può comprendere quanto sia ciclopica, misteriosa e infinitamente interessante.
Lo scrittore azero nato a Baku nel 1920, poi naturalizzato statunitense, è autore di ben 16 volumi: Il pianeta degli dèi; Le astronavi del Sinai; Guerre atomiche al tempo degli dèi; Il codice del cosmo; Gli dèi dalle lacrime d'oro; Gli architetti del tempo; L'altra Genesi; La Bibbia degli Dèi; Il libro perduto del Dio Enki; L'ultima profezia; Il Giorno degli Dèi. Il passato è il nostro futuro; Quando i giganti abitavano la terra; Le cronache terrestri rivelate - I segreti del passato sono la chiave del futuro; Il re che rifiutò di morire; Le cronache degli Anunnaki. Chiunque dovrebbe leggerli per imparare a ragionare oltre gli schemi.
Cosa c’è in Libano, a Ba'al-Bek, di così straordinariamente legato agli Anunna?
Nel suggestivo sito di Ba'al-Bek è collocata una piattaforma in pietra gigantesca (88 m x 48 m): nessuna tecnologia moderna è in grado di trasportare e posizionare megaliti così enormi. La piattaforma è formata da tre immensi blocchi di pietra che costituiscono, quello che si chiama oggi τρίλιθον (trilithon), un muro di pietre di dimensioni davvero straordinarie, tagliate e messe in posa con una precisione millimetrica: si tratta dei tre blocchi megalitici più pesanti che siano mai stati costruiti.
Nelle sue pubblicazioni Sitchin ritiene che nell’area, da sempre comunque sacra, di Ba’al-Bek, che è traducibile come il luogo del “Signore della Fenditura/della Valle”, Enlil fece realizzare una piattaforma per l’“arrivo dai cieli” sulla Terra di molti altri Anunna. Sempre secondo l’autore azero la grande costruzione di Ba’al-Bek sarebbe l’unica opera antidiluviana oggi superstite.
È bene precisare che il sito templare di Ba’al-Bek è situato vicino a quella che una volta era una immensa foresta di cedri sul versante occidentale dei Monti anti-Libano, in direzione nord-est-sud-ovest, presso la Valle della Bekaa.
Accoglibili o meno le ipotesi avanzate dall’autore azero, si può mettere in luce una informazione comprovabile tramite la letteratura e direttamente connessa con la localizzazione dell’area sacra. Nell’Epopea di Gilgamesh si fa esplicito riferimento al primo viaggio che l’Eroe compie con il suo fidato compagno Enkidu. I due si recano alla foresta dei cedri, una località che nella Mesopotamia è localizzabile dove precedentemente affermato e nei pressi di Ba’al-Bek, si legge «Che Enkidu vada davanti a te; egli conosce la via della Foresta dei Cedri». I due protagonisti dell’Epopea sanno che in quell’area si trova una delle dimore degli dèi e che nella foresta dei cedri dimora il feroce Khumbaba servo di Enlil e guardiano dei sacri alberi. Il luogo e la sua sacralità erano perciò già note, nel tempo del mito, all’Eroe Gilgamesh che è anche uno dei sovrani della “sempre mitica” prima dinastia della città di Uruk».
Nei testi sumeri vengono citati gli A.Nun.Na.ke, chi erano dunque?
Con A.Nun.Na.ke o Anunna si fa riferimento al gruppo delle divinità del pantheon mesopotamico, gli dèi della tradizione mesopotamica noti nelle altre tradizioni con molti nomi come, ad esempio, Neteru o Elohim rispettivamente nella tradizione egizia o ebraica.
Quale peso i sumeri attribuivano alla triade An, Enlil, Enki?
Si tratta delle divinità principali del sistema sumero accadico e mesopotamico. An, e i suoi due figli principali Enlil ed Enki, hanno il compito della determinazione dei destini. Tutta la storia o se preferiamo chiamarlo mito degli Anunna, narra le vicende legate a queste divinità e, in particolare, al rapporto conflittuale tra i due figli di An, operanti sempre sotto la vigile osservazione da parte del padre.
L’importanza di queste tre divinità, nelle quali è identificabile la prima triade divina, era così significativa che il più importante compendio astronomico/astrologico scritto in Mesopotamia di derivazione neo-assira, il MUL.APIN, nel nominare 66 stelle/costellazioni le ripartisce in tre “sentieri”: il sentiero di Enlil, composto dalle 33 stelle/costellazioni più settentrionali; il sentiero di An, composto da 23 stelle/costellazioni, e il sentiero di Enki, composto dalle 15 stelle/costellazioni più meridionali.
Come è possibile riconoscere le medesime divinità che compaiono con nomi diversi nella mitologia sumera che annovera circa trecento divinità?
Esiste un elenco delle antiche divinità mesopotamiche redatto nel periodo medio babilonese e forse perfezionato nel periodo cassita tra il 1300 e il 1100 a.C., in sumero e in accadico, ossia l’An=Anuum, composto da sette tavolette nelle quali, oltre alle principali divinità suddette, sono incluse più di 300 divinità e di ognuna di esse vengono citati i diversi nomi attribuiti nella tradizione. Queste tavolette descrivono le relazioni familiari tra le differenti divinità, nonché delle loro corti e sfere di influenza. Le prime quattro tavolette espongono le relazioni delle divinità più importanti An, Enlil, Ninhursag, Enki, Nanna/Sin, Utu/Shamash, Ishkur/Adad e Inanna/Ishtar e le loro corti.
Per quale motivo il rapporto tra i due fratelli Enki ed Enlil è così conflittuale?
Il conflitto nasce dal rapporto col padre An: Enlil è più giovane ma è nato dalla sposa ufficiale di An, mentre Enki è il primogenito di An ma è nato da una concubina del dio del cielo, la dea Namma. Esiste una legislazione non scritta del mondo divino, che Sitchin definisce la Legge del Seme, presente anche in molte antiche tradizioni, nella quale, pur accettando il concubinato, si penalizza per la successione al trono divino la primogenitura qualora derivasse da una concubina, privilegiando anche un fratello minore ma figlio di una sposa ufficiale. Il conflitto tra Enlil ed Enki, sfondo dell’intera vicenda degli Anunna, è determinato pertanto da questa antica regola di successione.
Nel Poema Enlil e Ninlil, si parla della regola a cui sono soggette le divinità, qual era questa norma?
Questo poema è una ierogamia ma anche una teogonia, in quanto descrive sia il matrimonio tra Enlil e Ninlil, che la nascita di alcune divinità. Esso ci fa comprendere come il codice di leggi non scritte del mondo delle divinità sia inviolabile e ad esso non possono venir meno nemmeno le divinità più importanti. E una di queste norme è quella per cui una divinità non può unirsi a un’altra divinità senza vincolo matrimoniale. Quando Enlil, come racconta il mito, si unisce alla giovane dea Ninlil in assenza di vincolo matrimoniale, i cinquanta Grandi dèi e i Sette dèi che decidono i destini, si riuniscono nella città di Nibru per giudicare il suo operato. Enlil viene condannato ad un temporaneo esilio dalla sua città e nel suo peregrinare viene seguito dalla dea che poi diverrà sua sposa Ninlil.
Hai molta simpatia per il dio Enki, perché?
Il dio Enki letteralmente “signore della terra”, è il figlio primogenito di An e della dea delle acque primordiali Namma, informazione riscontrabile oltre che nelle opere di Sitchin anche in diversi testi di derivazione mesopotamica come il già citato elenco delle divinità An = Anuum o come nel poema ud reata (o poema di Enki e Ninmah). Enki è la divinità delle “acque profonde”, le dolci acque del sottosuolo, l’abzu. A testimonianza di ciò, del suo ruolo e della sua importanza per la terra di Sumer nel “sigillo cilindrico di ad-da” Enki è raffigurato con due corsi d’acqua il Tigri e l’Eufrate che fuoriescono dalle sue spalle.
Quindi l’Abzu sarebbe la dimora di Enki?
Abzû è il luogo delle acque sotterranee. Nella mitologia babilonese, Enūma eliš, Abzû è identificato come luogo delle acque primordiali e personificato come sposo di Tiāmat e progenitore degli déi. Nella più ampia tradizione mesopotamica invece Abzû è il luogo in cui dimora la divinità Enki, in quanto divinità delle acque dolci sotterranee che nascono nel sottosuolo e che in seguito emergono sulla terra. Nel poema Enki e l’ordine del mondo si definisce “Enki, il re dell’Abzu” e questo termine indentifica anche il tempio, la casa, della divinità “mio Abzu in Eridug” situata nella città di Eridu.
Questa dimora di Enki, secondo la tradizione mesopotamica, era posta al confine con il punto in cui si raccoglievano i defunti, noto come Arali. Per tale ragione Enki è anche una divinità ctonia e alcuni studiosi ritengono che nel nome stesso di questa divinità “signore della terra” il termine ki, terra, debba essere inteso come “ciò che è in basso”, in antitesi ad an, il cielo o “ciò che è al di sopra”. Tra i due inoltre è situata la divinità Enlil che è signore dell’aria.
La dimora di Enlil, invece, si chiama Eden, un posto dove il dio poteva passeggiare tra i suoi giardini, che relazione esiste con il celebre luogo biblico?
Nel vocabolario mesopotamico il termine eden significa: “pianura, steppa, campo aperto”. Se pensiamo a un possibile riferimento alla terra tra i due fiumi, il dominio di Enlil, possiamo ipotizzare la connessione con quanto descritto nel secondo capitolo del Libro della Genesi. Nel testo biblico il giardino dell’Eden è tracciato in ben sette versetti e viene localizzato tra i due corsi d’acqua: il Tigri (ḥiddeqel) e l’Eufrate (p̄ərāṯ). In sumero i due fiumi (sumerico Id) venivano rispettivamente indicati con i seguenti nomi “fiume Id.Idigna” e “fiume Id.Buranun”. Il giardino, gan, della divinità Yahweh Elohim è situato all’interno dell’Eden quel medesimo luogo dominio di Enlil.
Per redigere la tua opera hai consultato, oltre che tutte le opere di Sitchin, anche una serie di testi poetici, opere mitiche, documenti, ci spieghi quali sono?
Dall’opera di Sichin emergono notizie importanti sulle origini dell’umanità, anche se si tratta comunque di una versione romanzata ricomposta anche con l’ausilio di numerosi fonti antiche. Io l’ho ripercorsa ricercando tutti i testi e i documenti citati e verificando tutte le traduzioni a disposizione sulle tematiche proposte da Sitchin, cercando di correggere le imprecisioni e ponendo in discussione le ipotesi non verificabili.
L’indagine ha preso le mosse dalle opere di Sitchin si è poi consolidata grazie agli approfondimenti condotti su documentazione specialistica ed in primis su quella avente ad oggetto le c.d. Liste reali sumere, elenchi recanti i nomi dei sovrani delle città e degli anni di regno da questi esercitati nei tempi antidiluviani e postdiluviani. Ulteriore documentazione, anche di derivazione non squisitamente mesopotamica – biblica ed extrabiblica – è stata analizzata con particolare riguardo ai possibili riferimenti cronologici presenti.
A supporto di una più attenta verifica cronologica delle ipotesi espresse dalla ricerca indipendente è stata condotta inoltre un’analisi del ciclo della precessione, un tempo ciclico che si ripete per periodi di 25.800 anni.
Cosa racconta di nuovo la tua analisi rispetto all’opera di Sitchin?
La mia personale indagine si propone lo scopo di far luce sulla cronologia relativa agli eventi del tempo antico se non antichissimo – si potrebbe dire di quel tempo in cui “gli dèi camminavano sulla Terra” – relegato ovviamente nel mito ma dalle sfumature storiche. Già l’autore, in diverse opere e in particolare nel Libro perduto del dio Enki ha più volte tentato di restituire ai suoi lettori chiari indirizzi sul “quando” gli eventi della lunga storia delle divinità potevano essere accaduti. La cronologia da lui fornita aveva ed ha come punto nodale, che è anche un limes storico ideale per larga parte delle antiche culture, l’evento noto come Grande Diluvio o Diluvio Universale.
Sitchin, come larga parte della ricerca indipendente, aveva inquadrato questo evento intorno all’11.000/10.500 a.C. Secondo i miei studi – che hanno preso le mosse oltre che dalle opere di Sitchin, dalle fonti rese note e consultate dallo stesso Sitchin e da ulteriore documentazione a corredo -, è ipotizzabile una nuova data per il citato evento che fu il Diluvio Universale prossima al 36.500 a.C.
Retrodatare il Diluvio Universale, per quanto possa apparire solo un mero gioco matematico, un gioco necessitante comunque della dovuta attenzione, nei fatti dischiude ad un nuovo ed alquanto consistente periodo storico, sino ad ora mai preso in considerazione nemmeno dalla ricerca indipendente. Riconsegnare al mito e forse anche alla storia, la storia più antica, un arco temporale di circa 26.000 anni, potrebbe in futuro supportare le indagini nei diversi campi e le analisi già oggi in fieri.
Nel tuo libro citi un poema teogonico e cosmogonico in lingua accadica, l’Enūma eliš, perché ritieni che questa teomachia sia così importante?
Il testo dell’Enūma eliš, 7 tavolette, 2092 versi, appartenente alla tradizione religiosa babilonese è di certo copia di testi più antichi. Pur non essendovi precisi riferimenti cronologici all’interno dell’opera, questa, secondo Sitchin, potrebbe raccontare di un evento all’origine dell’attuale composizione del sistema solare. Sitchin ritiene che il nome delle principali divinità celesti presenti all’interno del testo nel numero di 12 siano in realtà da identificare con gli attuali Corpi celesti (sole e luna inclusi) costituenti il nostro sistema solare con una ulteriore particolarità – sarebbe stato noto ai redattori dell’opera il nome di un ulteriore 12° pianeta identificabile con il nome di Nibiru o Marduk. L’Enūma eliš riveste comunque, accoglibili o meno che siano le ipotesi formulate da Sitchin, un’importanza chiave per meglio comprendere alcuni dei fatti e degli eventi che condussero alla “vittoria” e relativa celebrazione della divinità Marduk, divinità poliade della città di Babilonia il cui culto si consolidò nel corso del 1800 a.C.
Possiamo approfondire la conoscenza del dio Marduk?
Il nome significa “vitello del sole” ed è la divinità più importante del pantheon mesopotamico nel corso del periodo babilonese e più diffusamente conosciuta come Bel. Il culto di Marduk assume chiari tratti enoteistici in quanto la divinità si qualifica come prima tra le altre nell’opera Enūma eliš, un testo di celebrazione del suo ruolo.
Il poema teogonico, Gotterkonigtum più noto come La Regalità nel Cielo, di che cosa si occupa?
È un testo tramandato dalle popolazioni hurrite, anch’esso copia di testi più antichi. Esso descrive le vicende e gli scontri che in tempi ancestrali si verificarono tra le prime divinità. Il primo di questo antichi dèi era Alalu. Il testo è particolarmente interessante poiché indica al lettore il periodo in cui Alalu regnava nei cieli, 9 anni – da intendersi come anni divini o shar corrispondenti ciascuno a 3600 anni. Alalu regnò quindi nei cieli per circa 32.400 anni.
Mentre il computo del tempo in periodo diluviano si dispiega in anni, possiamo approfondire questi calcoli del tempo nel periodo antidiluviano che avvengono in una unità di misura detta shar, pari a 3.600 anni? Vale a dire che un sovrano che abbia regnato 10 shar, avrebbe condotto il suo regno per ben 36.000 anni, ci spieghi meglio?
I documenti prima menzionati e principali oggetto di analisi, le Liste reali sumere e in primis le Liste WB 444 e WB 62, unitamente alle informazioni derivanti dalla cronaca dello storico Berosso, il Babylonica, pervenuteci per il tramite di autori successivi, descrivono i nomi dei sovrani, i nomi delle città in cui regnarono e gli anni di regno per ciascuno di questi. È stato interessante notare che, nel rispetto dell’ordine di misura sessagesimale appartenente all’antica tradizione sumerica, per quanto concerne il periodo antidiluviano il valore numerico sorprendente e principalmente utilizzato dai redattori per indicare gli anni di regno di ciascun sovrano è il shar (o moltiplicatori/frazioni di questo) che letteralmente significa anche “numero 3600”.
Secondo quanto emerge dall’analisi delle Liste reali, i primi sovrani, nel numero di dieci, nel periodo antidiluviano regnarono per circa 120 shar pari a circa 432.000 anni. Queste informazioni matematiche derivano dalle attente analisi condotte nelle opere dei migliori assiriologi T. Jacobsen, J. J. Finkelstein o S. Langdon nel suo The Weld-Blundell Collection. Vol. 2, Historical inscriptions: containing principally the chronological prism, WB. 444; ciò che rimane inesplorato d’altro canto è la possibilità, in parte analizzata da Sitchin, di applicare queste informazioni, ad oggi solo appannaggio del mito – e ritenute mero oggetto di fantasia – ad un ipotetico inquadramento cronologico.
Hai introdotto il nome di Berosso, chi era costui?
Egli è l’autore del Babylonica o Storia di Babilonia, una cronaca databile al 300 a.C. circa, la cui memoria è sopravvissuta grazie alle opere di compilatori successivi. Essa si inserisce tra la documentazione, in tale caso di derivazione greca, redatta con lo scopo di conservare la memoria di fatti ed eventi ancestrali. L’opera è di certa importanza poiché come le Liste reali restituisce nozioni sugli anni di regno dei sovrani antichi che governarono prima e dopo il Grande Diluvio. Berosso inoltre fornisce informazioni e fatti – per cui è maggiormente citato -, riguardo alla, o alle, figure degli Oannes (greco: ‘Ωάννης), il saggio uomo/pesce che, seguito da altri, apparve dal Mar Eritreo, in un luogo adiacente a Babilonia. Tutto il suo corpo era quello di un pesce, ma una testa umana gli era cresciuta sotto la testa del pesce.
Tu parli anche di un personaggio che accompagna le divinità principali che regnarono sulla terra nelle varie epoche, l’abgal o nunme, che ruolo rivestiva?
La pubblicazione ad opera di Johannes Jacobus Adrianus Van Dijk di un testo del periodo seleucide (300 a.C. circa), rinvenuto nel tempio Bìt Rès dedicato al dio An, nella città di Uruk e noto come Uruk List of Kings and Sages ed un documento noto come Bit Meseri, consentono di aggiungere un ulteriore tassello all’analisi dei sovrani del periodo antidiluviano. Attraverso la lettura di questa documentazione, sappiamo che alcuni dei primi sovrani elencati nelle Liste reali avevano al loro fianco un ab.gal o nun.me, un Visir, letteralmente un saggio. Il ruolo di ciascuno di questi saggi, sinteticamente indicato nel testo Bit Meseri ne definisce l’importanza sottostante anche alla luce dell’identificazione di ciascuno di essi con un nome specifico. Possiamo leggere ad esempio che il primo nun.me, Uanan, fu colui che eseguì “i piani del cielo e della terra”.
Infine, nel Poema di Atraḫasis, chi è l’eroe protagonista “sommamente saggio”, del Diluvio universale?
Il Poema di Atraḫasis tassello fondamentale della letteratura mesopotamica fornisce, tra le altre informazioni, nozioni delle imprese dell’Eroe tratto in salvo dalle divinità dal Diluvio Universale. Queste vicende sono del tutto simili, ma di certo più ampio respiro, a quelle che nel testo Biblico sono le imprese di Noè. I dettagli forniti nel Poema di Atraḫasis circa il rapporto con le divinità del protagonista (come il Noè biblico) e gli eventi che precedettero la richiamata catastrofe consentono di avere uno spettro maggiore in relazione alla vicenda ed anche rispetto alle possibili motivazioni della stessa, rendono più comprensibile il mito biblico.
Un messaggio per chi vorrà inoltrarsi in queste suggestive letture?
Fare luce sul passato, ci aiuta a far luce su questo presente confuso come una Babele. L’ordine, l‘organizzazione e le vicende rilevabili dalle letterature mesopotamiche ci offre una nuova visione della nostra realtà nella misura in cui l’umanità possa essere un prodotto del mondo delle divinità.