Ieri dovevo andare con l’amica Patrizia Poggi a Milano per la lectio magistralis di Flavio Caroli sull’ultimo suo libro dal titolo Come in uno specchio. Il diario segreto di Sofonisba Anguissola. Diverse erano le ragioni per andare. Prima tra tutte, il titolo del libro.
Era il 1988, quando andai a Torino invitata dall’Associazione Sofonisba Anguissola per realizzare una personale. Arrivai un giovedì sera d’inverno con tre rotoli di scotch in tasca, equivalenti, in lunghezza, a 132 metri di trasparenza. A Torino deve tirare un’aria particolare perché in questa città hanno operato e operano persone davvero singolari. Quel tipo di persone che hanno la caratteristica di capire “un attimo prima” ed “andare sempre un po’ più a fondo”.
E così è stato anche quell’incontro. Le torinesi, l’ho capito subito, facevano parte di quel foltissimo gruppo di persone insolite. Dirò di più: loro, insieme a Donatella Franchi, formavano un gruppo davvero geniale. Una dichiarazione di tale portata va, per sua natura, svelata e per farlo ritorno a quell’aria particolare che si respira a Torino per costruirvi attorno solide basi scientifiche, altrimenti risulterebbe, appunto, una tesi campata in aria.
Allora per via dell’aria -l’aria è l’unica cosa che le abitanti e gli abitanti di Torino condividono- le probabilità d’incontrare l’eccezionalità sono inversamente proporzionali alle altre città.
A Torino, per via dell’aria, l’eccezione è la regola.
A Ravenna per incontrare due persone con le quali condividere affinità elettive posso impiegare anche trent’anni: prima ci si sente nominare, poi ci si osserva da lontano, e infine la somma degli eventi minori compie il miracolo.
A Torino ci sono solo dovuta arrivare.
Il viaggio Ravenna - Torino era molto intricato, forse l’aria torinese non gradisce l’aria assai pericolosa che tira qui a Ravenna - non vuole residui di aria ravennate. E lì, in stazione, c’era ad attendermi una ragazza con niente di superfluo, bella di suo, fiera e determinata. Sono stati sufficienti tre minuti -a Torino- e già iniziavo ad immergermi nell’altrui genialità.
Caterina Furchì, questo è il nome della misteriosa figura, mi portò in quel regno che comprendeva, oltre lei, Gabriella Montone, Cristina Saurin e Milli Toja.
Di fronte alla genialità, che dire? Nulla.
Al massimo, se ti riesce, contraccambi. Tra me e la genialità alla quale stavo assistendo, così ben organizzata, lucida, raziocinante e autosufficiente, c’erano vuoti profondi. Il loro -esserci- non faceva una piega, non un’incrinatura, non un attimo di smarrimento e tutto con una semplicità e una tranquillità sconvolgenti. Erano in procinto di ribaltare il senso e le regole del luogo dell’arte e contemporaneamente con quell’esserci così, -in quel modo- riuscirono a sciogliere i miei muscoli e i miei pensieri rattrappiti. Avevo ritrovato il mio territorio; erano trascorse appena due ore e già altre vite sconosciute mi comprendevano. Non c’è da meravigliarsi, quando il genio ti prevede e ti comprende ti tranquillizzi e contraccambi come puoi. Così hanno fatto le torinesi dedicando a Sofonisba Anguissola il nome dell’associazione e così ho fatto io con loro. Anche in quell’incontro, gli eventi minori mi vennero incontro: i tre rotoli di scotch trasparente, frutto di solitarie quotidiane sperimentazioni lungo le pareti dello studio, mai furono tanto necessari. Infatti diventarono il punto d’unione tra me e le geniali torinesi, poi care compagne di viaggio.
Il giorno dopo infatti mi lasciarono sola alla Galleria delle Donne di via Fabro e io iniziai a srotolare i miei 132 metri di scotch trasparente. Quando ritornarono, il mio lavoro, dal niente, per loro, era realizzato.
Un po’ di Storia.
Per eventi minori di grande portata -anche gli eventi minori, sommandosi tra loro, a Torino diventano di grande portata- Milli decise, intorno al 1987, di aprire il suo studio per trasformarlo in luogo di frontiera, luogo aperto all’esperienza delle altre. Trasportò le sue sculture in cantina e fece dono del suo studio ad altre artiste s/conosciute.
Capì, un po’ prima di tutte noi, che era ora di distogliere lo sguardo dalla propria opera. Un genio.
Era presto, era tardi, era possibile un’operazione che comprendeva solo artiste, tanto rischiosa da essere confusa con “il ghetto”?
Con il coraggio della preveggenza partirono. All’inizio Milli e Caterina, poi seguirono quasi subito anche Cristina e Gabriella. Dalla Libreria Librellula di Bologna, dove avevo presentato un manoscritto, diedero loro l’indirizzo di Donatella Franchi e il mio.
Risposi subito, era quello che ci voleva. Quasi un miracolo per me, che ero costantemente fuori luogo. Fuori luogo nella scena di un’autorappresentazione solitaria e mortifera, inadeguata ad accogliere quel silenzio carico di rumore che mi portavo addosso. Il silenzio carico di rumore da balbettio confuso, per quella via si trasformò in breve in un concerto a più voci.
In quel tempo avevo deciso di non fare più mostre in quei luoghi deputati all’arte dove l’opera, per essere vista, necessita di elementi esterni forti. Un apparato di sostegno precostituito dall’ordine patriarcale formato da: codificazione (la parola scritta, la più totalizzante, universale ed estrema possibile) e sacralità del luogo (il museo, che concettualmente si può anche smantellare, basta che in realtà rimanga solidamente in piedi). Queste due regole, e altre ancora, garantiscono allo sguardo, sempre immobile su sé medesimo, la visione dell’opera. Lo sguardo così addomesticato vede ciò che dall’esterno gli viene ordinato di vedere. Vedere senza questi presupposti è pura chiaroveggenza ed è ciò che ha voluto vedere Milli. Il suo desiderio realizzato -aprire lo studio- coincide con lo sguardo mobile di colei che in piena libertà e autonomia sa riconoscere l’altra da sé e nell’altra, di nuovo, si riconosce e si ritrova. Milli, aprendo lo studio alle altre, ha compiuto il gesto grande e rassicurante della madre quando decide di “mettere al mondo il mondo”.
E tra le altre, sono ritornata al mondo anch’io.
Un eventuale non esserci non era stato neanche preso in considerazione dagli eventi minori.
Da Percorsi di Navigazione 2:
“Ecco quello che accadde.
Ci furono le mostre alla Galleria delle Donne di Torino, nel 1988, di Mariella Busi De Logu, e di Donatella Franchi. L’incontro fu eccezionale. Rientrava in quel campo dell’eccezionalità che a volte investe le donne: il considerarsi reciprocamente. Questa assunzione di reciproca considerazione fece sì che la parola di Mariella divenisse importante per noi e per Donatella, la nostra per Donatella e Mariella e quella di Donatella per noi e per Mariella.
Da ciò nacque la forza che generò L’arte e la politica, il primo numero della rivista Percorsi di Navigazione.
E dalla sicurezza di tenere in pugno qualcosa di molto importante nacquero il giornale Lucrezia Borgia e le quattro mostre di Ravenna che Mariella organizzò in un agosto dei più afosi mentre noi e Donatella, in vacanza nel Kent, inseguivamo le tracce di Virginia Woolf e Vita Sackwille-West… Questo è quello che accadde.
Queste sono le cose che (miracolosamente) accadono.”
Allora ieri dovevo proprio essere a Milano ad onorare Sofonisba Anguissola, anche lei compagna di viaggio, e Flavio Caroli, che da anni, con la sua carica poetica, ce la fa rivivere. Ma non sono riuscita a partire. Mi sono accorta improvvisamente che ero impedita da dolori e medicinali vari. Mi sono sentita vecchia; poi i sensi di colpa hanno preso il sopravvento e così, distratta dai miei pensieri negativi, ho lasciato aperto il rubinetto del lavandino e ho allagato la casa.















