Attorno m’urlava la strada assordante.
Alta, sottile, in lutto, nel dolor regale, una donna passò,
alzando con superba mano e agitando,
la balza e l’orlo della gonna;
agile e nobile, con le gambe statuarie.
Ed io le bevevo, esaltato come un folle, nell’occhio,
cielo livido presago d’uragano,
dolcezza che incanta e piacere che dà morte.
Un lampo... poi la notte!
Bellezza fugace,
il cui sguardo m’ha ridato vita a un tratto,
nell’eternità solamente potrò rivederti?
Altrove, lontano, troppo tardi, mai forse!
Perché ignoro dove fuggi, e tu dove io vada,
o te che avrei amato, o te che lo sapevi!

In queste due quartine e due terzine di versi endecasillabi, è racchiuso uno dei rimandi poetici più intensi all’amore fugace, quello sognato, che avrebbe potuto essere e non è stato, tra il poeta e una bella donna amata, incontrata in un istante per caso per strada e poi mai più rivista. L’incrocio di un attimo, di sguardi ricambiati in cui bere l’infinito, e poi il nulla. L'affascinante malinconia della caducità che afferra e stringe in un giogo implacabile l’amore scalpitante.

Si tratta della lirica A una passante (À une passante, Ndr), pubblicata per la prima volta sulla rivista L’Artiste nel 1855, in seguito inclusa nella raccolta I fiori del male (1857), la più celebre del poeta. Con la personificazione iniziale della strada, urlante per il vociare frenetico della gente, si apre il componimento: nel caleidoscopio sibilante di un boulevard parigino, una donna longilinea vestita a lutto, solenne come una teofania, appare d’improvviso agli occhi del poeta: con l’elegante superbia di un gesto fugace della mano, avviluppa lo sguardo dell’uomo attorno alla sua gamba di statua, rivelata dal movimento dell’orlo della gonna.

Lo snocciolarsi di metafore e analogie che segue, racconta di questo lampo, foriero di meraviglia e terrore al tempo stesso, che è l’incontro con la donna: il colpo inflitto in un istante rivela la consapevolezza di un amore in potenza, ricambiato in un incrocio di sguardi, che lì stesso muore; gli occhi di lei sono un “cielo presago d’uragano” da cui il poeta beve forsennato la fusione sublime di piacere e dolcezza che lei emana. L’amore di un istante, però, rimane impresso nella memoria dell’uomo, ridandogli vita ed eternandosi nel ricordo: basta l’intensa passione di un attimo a riempire il vuoto di infiniti giorni monotoni e spenti; per il poeta è linfa vitale, come nettare divino.

Il chiasmo finale, “Perché ignoro dove fuggi, e tu dove io vada”, riempie l’intera lirica di quella velata malinconia che ammanta ogni amore impossibile, ammaliante forse proprio per questo: perché contiene in sé il segreto profondo della voluttà della morte. Amore e morte che continuano a incrociarsi, fugaci come due amanti, per inanellarsi in fluttuanti danze acrobatiche e nebulose. “O te che avrei amato, o te che lo sapevi!”: l’apostrofe finale trafigge e lascia attoniti, ultimo colpo del duello regale con gli strali di Venere.

Altri autori, nel tempo, hanno abbracciato questa tematica, intonandola diversamente a seconda delle proprie personalissime corde: tra loro ricordiamo, ad esempio, Fabrizio de Andrè con Le passanti contenuta nell’album Canzoni del 1974. Le sette strofe della canzone, pregne della malinconia più poetica e veritiera, analizzano diverse storie e diversi punti di vista: quello del poeta che rimpiange una donna subito perduta ma per la quale sarebbe valsa la pena spenderci un secolo in più; quello dell’innamorato che immagina il sorriso a lui dedicato sul volto di una bella passante o il futuro con una compagna di viaggio per poco ammirata e mai conosciuta; quello dell’uomo che desidera una donna altrui. Tutti dolcissimi fantasmi incastonati a costellare il cielo dei momenti più tristi, per ricordare a ogni viandante attimi di felicità potenziali che si sono lasciati andare e perduti per sempre.

Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.
A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.

Il testo è tratto da Les Passantes (1972), canzone di Georges Brassens, musicista e poeta, autore di racconti e testi adattati a melodie popolari, che a sua volta si è ispirato all’omonima poesia di Antoine François Pol, vissuto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. La musica della canzone di Brassens, che differisce dalla poesia francese solo per la mancanza di una strofa nel testo e per qualche cambiamento della metrica, è di Jean Bertola.

Tra i più recenti richiami a questo tema, inoltre, troviamo un singolo del 2005 di James Blunt, cantautore, musicista ed ex militare britannico. You’re beautiful, pubblicato il 30 maggio come terzo estratto dal suo primo album Back to Bedlam. A quanto dichiarato dalla stampa, senza che ci fosse una smentita da parte del cantante, fu dedicata a Dixie Chassay, un’ex-fidanzata di Blunt. Il cantante, che la rivide un giorno per caso in metropolitana mentre camminava accanto al nuovo compagno, ha in realtà dichiarato in un’intervista all’Huffington Post che a suo parere niente di romantico aleggiava attorno a questo brano.

Infastidito dal fatto che, dopo molti anni, la sua fama fosse ancora così strettamente associata quasi solo a questa canzone, Blunt ha sottolineato quanto il lato romantico della vicenda non fosse da esaltare: la realtà era ben più cruda, in quanto raccontava solo un ragazzo sotto l’effetto di stupefacenti che guardava ossessivamente una donna in metropolitana passeggiare accanto al proprio uomo.

Dal momento che la bellezza dell’arte sta proprio nel riuscire a mutare negli occhi e nel cuore di chi la guarda a seconda della sua propria essenza ed esperienza, ognuno di noi potrà farsi una propria opinione sul brano in questione. Che sia il delirio maniacale di un drogato o lo slancio più profondo di un innamorato, non è importante sapere: la fusione della sua melodia, della metrica e delle parole è riuscita perfettamente a catturare e a smuovere le corde più profonde dell’anima di moltissimi ascoltatori. Di seguito il testo:

My life is brilliant

My life is brilliant
My love is pure
I saw an angel
Of that I'm sure
She smiled at me on the subway
She was with another man
But I won't lose no sleep on that
'Cause I've got a plan

You're beautiful. You're beautiful
You're beautiful, it's true
I saw your face in a crowded place
And I don't know what to do
'Cause I'll never be with you

Yeah, she caught my eye
As we walked on by
She could see from my face that I was
Fucking high
And I don't think that I'll see her again
But we shared a moment that will last till the end

You're beautiful. You're beautiful
You're beautiful, it's true
I saw your face in a crowded place
And I don't know what to do
'Cause I'll never be with you
You're beautiful. You're beautiful
You're beautiful, it's true
There must be an angel with a smile on her face
When she thought up that I should be with you
But it's time to face the truth
I will never be with you”

Concludendo, dopo esserci immersi per un istante in un delirante mondo di sogno, dove immaginare di essere con chi non si può è lecito e concesso, è il momento di svegliarsi e fronteggiare la realtà: unica bussola grazie alla quale riusciamo a non perderci nella frenetica giungla dell’esistenza. Per ogni volta che si vorrà evadere in un altrove troppo perfetto o proibito che non si ha il coraggio di raccontare, però, ci sarà sempre l’arte: che sia quella figurativa, che sia letteratura, poesia o musica, poco importa; sarà sempre il posto più confortevole in cui ci è concesso perderci.