Tutte le particelle oltre ad essere sé stesse sono anche lo spazio che intercorre tra loro. Essendo la stessa cosa, non hanno bisogno di comunicare né di connettersi tra loro, perché non sono mai state disgiunte. E le particelle sono informatissime. Ognuna è una versione del tutto che tutte le informazioni in sé contiene. Macrocosmo e microcosmo coincidono. E se tutto è collegato, perché tutto è Uno, non c’è separazione tra Noi e Dio”.

(Vittorio Marchi, fisico, ricercatore, autore, divulgatore della potenzialità della macchina umana)

Un fiume nasce, e prende un nome. Ma cos’è quel nome? E’ l’acqua che scorre o il tragitto percorso? Sono forse le pietre sul fondo che piano piano rotolano da montagna a valle o è l’acqua che li trasporta? L’acqua senza il suo percorso non è un fiume, solo acqua. Una strada che scende fino al mare, senza l’acqua non è un fiume. Esattamente come il fiume, noi siamo sia l’acqua che il suo percorso. Siamo allo stesso tempo la materia fluida, con la sua forza e il suo peso, ma anche il cammino, che è allo stesso tempo ciò che dà la forma all’acqua e la forma che l’acqua ha dato al suo percorso.

Noi ci muoviamo nel mondo adattandoci ad esso e allo stesso tempo lasciando un segno del nostro passaggio. Prendiamo cose da una parte e le spostiamo da un’altra. Cambiamo la forma degli oggetti con i quali entriamo in contatto, modifichiamo l’ambiente in cui viviamo, a volte prendiamo a volte depositiamo, a volte con impeto furibondo, a volte con un morbido scivolare. Ci sono momenti in cui acceleriamo e ci lanciamo nel vuoto, altri momenti in cui possiamo acquietarci, allargarci, distenderci e rallentare. A tratti siamo torbidi e scuri e turbolenti e rumorosi, pieni di detriti e distruttori, e in altri momenti invece silenziosi e pacifici, invitanti e accoglienti, così calmi da diventare trasparenti, così trasparenti che chi ci osserva con attenzione può vedere in profondità e al tempo stesso il riflesso del cielo sulla superficie.

Come noi, il fiume nasce quando viene alla luce, alla sorgente, l’acqua sgorga arrivando da chissà dove, e in un punto si manifesta, esce dal ventre della terra come noi da quello della nostra mamma, e prende il proprio nome. Ma entrambi esistevamo anche prima. Senza forma e senza nome, solo un’essenza, un potenziale, e poi una probabilità che si manifesta. Appena nati siamo piccoli e fragili, per diventare grandi e forti, famosi o sconosciuti, pieni di vita o pieni di veleni, dipende da ciò che incontreremo lungo la via, in base a ciò di cui ci nutriremo, con chi e con cosa entreremo in contatto. Come l’acqua del fiume che non sa dove le capiterà di passare, così noi non possiamo sapere cosa accadrà durante il nostro percorso, quali città incontreremo, quante alluvioni e quante siccità, quante volte la nostra vita cambierà umore o direzione.

Il fiume nasce, ad un certo punto, e muore, in un altro punto. Così dicono. In mezzo a quei due punti ci sono il tempo e lo spazio, l’acqua li percorre e li attraversa dando loro un senso. Come il fiume noi prendiamo il nostro nome quando diventiamo materia in quell’intervallo di tempo e di spazio. Con quel nome possiamo scavare la roccia e scolpire paesaggi, far dischiudere le uova di rana e dissetare i cervi, far diventare rotondi i sassi, fertile la terra e devastare le città. Trasportiamo i semi dei salici e i cadaveri dei cinghiali, i rottami, i rifiuti, le scorie che altri ci rovesciano dentro. Condividiamo il nostro percorso con la vita e con la morte intorno a noi, ed ogni cosa è importante, ogni grande opera e ogni piccolo gesto che noi compiamo è significativo, creiamo il nostro percorso e il percorso ci modella. A volte basta essere lì, per cambiare la vita di qualcuno, per dissetare chi è assetato. A volte la nostra irruenza colpisce con violenza eccessiva ciò che di delicato ci vive accanto.

E cosa succede all’acqua del fiume bevuta da un cane? Diventa cane. Come quando ci prendiamo cura di qualcuno, e gli doniamo la nostra energia, quando lo abbracciamo, quando facciamo l’amore, quando nutriamo l’altro, ne diventiamo parte. Si può disegnare il corso del fiume, ma non si può segnare il confine dell’acqua. Cosa succede quando piove? L’acqua del fiume si mescola con l’acqua del cielo e la pioggia diventa fiume. Tutto ciò con cui noi entriamo in contatto entra a far parte di noi, in noi si scioglie, come ciò che mangiamo, o le emozioni che proviamo, i pensieri che ci attraversano. Dopo la pioggia il fiume è cambiato? Porta sempre lo stesso nome, ma non sempre mantiene lo stesso percorso. A volte non cambia niente, a volte cambia tutto.

Se lo osserviamo da vicino con attenzione, scopriamo anche che l’acqua non scorre tutta alla stessa velocità. In ogni punto del suo cammino c’è una parte della sua forma fluida che corre più velocemente, spedita e sicura, e ci sono invece tratti, ai margini, o in corrispondenza di ostacoli, dove si formano ristagni, gorghi, a volte addirittura dei movimenti controcorrente, dei ritorni, dei ripensamenti, situazioni che richiedono allo scorrimento un secondo tentativo. Così anche nella nostra vita, ci sono parti di noi che scivolano da una giornata all’altra con facilità, e altre che invece faticano, aspetti della nostra personalità brillanti e produttive, e al contempo facciamo i conti con le nostre debolezze, fragilità, incompetente, resistenze. Ma siamo sempre noi, come il fiume, è sempre lo stesso fiume. E lo scorrere è comunque inarrestabile, così come il continuo mutamento.

L’acqua evapora e piove, congela e scongela, scava, affiora, si infiltra, si mescola, si sporca e ripulisce e in quel dato punto e in quel preciso momento diventa un’entità, un individuo, e da quel punto e quel momento, per quanto lungo o breve, tortuoso o lineare, avventuroso o pacifico che sia il suo percorso, ad un certo punto e in un certo momento, diventa mare, smette di essere fiume, muore. Cosa succede al fiume quando arriva al mare? Perde il suo nome, ma l’acqua non è perduta. Disciolta nel mare è sempre la stessa acqua. Come l’acqua del fiume non sa quando arriverà al mare, così noi non conosciamo né il punto né il momento in cui smetteremo di portare il nostro nome e ci scioglieremo in un mare che è fatto della stessa acqua di tutti gli altri fiumi, di tutti i laghi, di tutte le nuvole e tutte le piogge, la stessa acqua che c’è dentro i pozzi, nei tombini, nel succo di un acino d’uva, nel sangue del leone.

Rimarremo nelle cartoline, e il nostro nome sui cartelli dei ponti, nelle fotografie dei viaggiatori, nei ritratti dei pittori, nei ricordi delle domeniche d’agosto, nella terra fertile, e anche nelle crepe del terreno sul quale non siamo più passati, nella farina che abbiamo macinato, nella potenza che abbiamo impresso alle turbine, nelle brocche che abbiamo riempito e nelle farfalle che abbiamo dissetato. Ogni cosa che abbiamo sfiorato ha scambiato qualcosa con noi. Energia che abbiamo preso e che abbiamo dato. E che sta dentro a tutte le cose, e che si trasferisce da una cosa all’altra. Acqua che ha cambiato nome e cambiato forma, ma rimane sempre la stessa acqua. Che diventa succo, o pioggia o mare.

A Yoshi, che quando aveva 9 anni mi chiese “com’è che esiste la gente?” Ed io pur conoscendo la risposta, allora, non gliela seppi raccontare.