-Ehi! Ma cosa diavolo sta facendo?
-Sto prendendo la giacca di…
-Cosa? Ruba la giacca a un morto?
-Veramente io non sto rubando nulla... a lui la giacca non serve più.
-Ma lei chi è mi scusi? È un parente? Qual è la sua auto? Ma cosa cazz...! Guardi che chiamo la polizia!..

[Suono di telefono]

Pronto? Ah, ciao Ezio, sono qui in autostrada... hai già saputo? Ecco, si, è successo un casino indescrivibile, un tamponamento a catena qui sulla A4, ci sono almeno venti auto coinvolte e molte vittime. Abbiamo appena estratto dalle lamiere un bambino e una coppia di anziani, sono qui davanti a me, morti. È terribile, un vero delirio. Abbiamo grossi problemi, le ambulanze non riescono a passare… scusa un attimo, sto parlando con un tipo qui …. ti dico, una scena assurda, te la devo raccontare... perché… un uomo sulla settantina, prima l’ho beccato che stava spogliando una delle salme… No, non era uno sciacallo, è vero a volte in queste situazioni capitano anche quelli, ma questo qua no, sembrava più un nonnetto, ecco si, immagina un nonnetto... l’ho anche ammonito, ma lui niente, mi ha guardato con degli occhi stranissimi, maligni… Ecco era qui dietro questo camion - aspetta scusa che controllo - e… Cazzo mi ha fregato! Si è preso la giacca! S’è pigliato la giacca del morto...ti rendi conto? Si è preso la giacca del morto e se ne è andato... No...non ci credo...

Quella fu la prima volta che sentii parlare di lui. A quell’epoca facevo anch’io servizio come autista di ambulanza. Il Caso aveva voluto che quella sera io non fossi riuscito a raggiungere il luogo dell’incidente. Per questo motivo la storia del ladro di giacche fu per me, all’inizio, solo il curioso racconto di un collega. Un racconto che però, ricordo, non mancò di inquietarmi, alimentando allo stesso tempo la mia fantasia.

Un mese dopo, impegnato come ogni lunedì alla guida dell’ambulanza nel traffico cittadino, udii una voce.
-Mi ha rubato la giacca! Quel bastardo mi ha rubato la giacca!!
Feci appena in tempo a rallentare e notai un vecchietto allontanarsi a passo svelto tra la folla. Indossava una giacca di lino chiaro visibilmente più grande della sua taglia e procedeva spedito in direzione del centro. Fermai il mezzo e collegai immediatamente quell’episodio alla storia del mio amico tant’è che mi venne subito da urlare. E urlai, urlai con tutta la forza che avevo in corpo e la mia voce echeggiò così forte nella strada che anche il tipo con la giacca ad un certo punto si voltò. In quel preciso istante, con il mio telefono, riuscii a immortalare la sua immagine.

La sera stessa, davanti a una pizza e a una birra, volli mostrare la foto al mio amico. Lui davanti a quel’ immagine trasalì: era lui, non c’erano dubbi, la stessa forma della testa, l’incipiente calvizie, soprattutto quello sguardo strano. Con quell’indizio in mano ci sentimmo stranamente forti. Crebbe ancora di più desiderio di scoprire l’identità di quel conturbante personaggio. Nei giorni che seguirono concentrammo le nostre ricerche nel quartiere dove era avvenuto l’avvistamento. Stampammo anche alcune copie della foto distribuendole a tutte le persone conosciute.

La fortuna fu dalla nostra, non passò molto tempo prima di riuscire a incontrarlo di nuovo. Per caso lo vidi affacciarsi a un portone. Anche quella volta io ero di servizio e stavo guidando. Il viso era il suo. Rimasi a osservarlo dallo specchietto retrovisore, sembrava impegnato ad accudire alcuni gatti. Cercai di memorizzare più elementi possibili per poter localizzare in futuro la casa e mi sorpresi nel ritrovarmi così teso e concentrato nella mia indagine. Sentivo che volevo a tutti i costi svelare il mistero di quell’uomo ma al tempo stesso capivo di non avere argomenti per affrontarlo. Che cosa avrei mai potuto chiedergli nel momento in cui me lo fossi trovato di fronte?

Rimasi accanto al suo portone per due ore senza notare nessuno. Stremato da quell’attesa mi trasferii in un bar di fronte, continuando a controllare da lì i movimenti nella strada. Proprio mentre stavo sorseggiando l’ennesimo caffè notai qualcosa con la coda dell’occhio. In una frazione di secondo appoggiai la tazzina, pagai il conto e sotto lo sguardo incuriosito dei presenti, mi precipitai fuori. Fortunatamente la donna che in quel momento stava aprendo il portone non notò il mio affanno né volle sapere le mie intenzioni e si limitò a farmi passare. Ero riuscito a entrare!

Di fronte a me si aprì un mondo sconosciuto: mi ritrovai in un ampio cortile sul quale si affacciavano appartamenti da tre lati. Al centro c’era una costruzione bassa di quelle normalmente utilizzate per laboratori o magazzini. Rimaneva il problema di come localizzare la casa del vecchio, oltretutto non potevo rimanere a lungo a ciondolare nel cortile perché avrei insospettito i condomini. Tentennai per un tempo che mi parve infinito. Poi, proprio nell’attimo in cui avevo deciso di arrendermi, lo vidi sbucare di fronte a me. Così reale che faticai a credere ai miei occhi.

L’uomo indossava un giaccone di piuma sportivo, pantaloni di fustagno e ciabatte da doccia. Lo vidi armeggiare con un bidone della spazzatura e dei sacchi di plastica. Si accorse subito di me e dopo aver alzato lo sguardo rimase a scrutarmi per qualche secondo, poi si voltò e tornò dentro.

Il mio cuore batteva all’impazzata: finalmente avevo scoperto il suo covo! Sentii il desiderio irrefrenabile di chiamare il mio amico per dargli la notizia ma trovai la linea occupata, così rinunciai. Nel frattempo, decisi di muovermi e cominciai ad attraversare il cortile sperando che...
-Cerca qualcuno? Udii una voce di donna provenire da un balcone in alto.
-Sto andando dal signor… signor...Risposi con un sussurro sentendomi già perduto.
-Ah, ok - mi interruppe la mia interlocutrice. Sa al giorno d’oggi c’è in giro tanta brutta gente, per questo è bene vigilare, sapere chi gira nel condominio.
-Ha ragione! Risposi ostentando sicurezza e allungando il passo, senza voltarmi. Giunto alla porta, non esitai a tirarla verso di me e ad aprirla con un gesto deciso, quasi fosse casa mia. Una volta dentro però, mi resi conto di aver esagerato e sentii un brivido gelido corrermi lungo la schiena. Ma cosa stavo facendo? Cosa sarebbe successo se avessi incontrato il padrone di casa? Troppo tardi. Non potevo più tornare indietro.

Osservai il posto dove mi trovavo, la stanza era avvolta nella penombra. Sulla parete sinistra c’era uno specchio racchiuso in una grande cornice dorata. Subito sotto un piccolo tavolo caoticamente organizzato con carte e fotografie di montagna. Sulla destra invece notai una piccola balaustra a protezione di un vano scala. I gradini che scendevano erano ricoperti di moquette. Una flebile luce proveniva dal piano di sotto. Udii anche delle voci soffocate, lontane. La mia curiosità vinse qualsiasi paura: decisi di scendere a vedere. Con mia grande sorpresa, giunto in fondo alla scala, mi ritrovai in un immenso magazzino di vestiti. La prima impressione fu quella di visitare il reparto costumi di un teatro. Decine e decine di giacche di tutte le fogge e a perdita d’occhio occupavano tutto lo spazio. Vidi giacche da generale di cavalleria, smoking dai colori sgargianti, giacche da lavoro, giacche in gomma da barca a vela, una infilata senza fine di giacche scure e poi altre chiare, alcune in stile circense, addirittura una leopardata. Ma dove ero finito? Cos’era quel posto?

Con cautela continuai a muovermi nella stanza passando in rassegna tutti quei capi di abbigliamento curiosi fino a quando udii le voci diventare sempre più forti e capii così di essere giunto in fondo, in prossimità della stanza illuminata. Rimasi immobile, in ascolto.
-Lasciami andare, ti prego.
-Fratellino, mi dispiace che sia finita così.
-Non voglio morire… abbi pietà.
-Ti ho portato qualcosa per proteggerti dal freddo... caro mio... spero che non sia troppo tardi.
-Tu sei malato... tu sei completamente pazzo.
-Avrei fatto qualunque cosa pur di salvarti. Qualunque cosa.
-E allora perché mi hai legato? Perchè mi tieni qui nudo da giorni?
-La sofferenza e le ferite ti hanno fatto perdere la ragione, mi dispiace così tanto vederti così.
-Maledetto!
-Prova a infilarti questa giacca almeno prova a tenerla sulle spalle.
-Noooo!
-Povero mio... lasciati abbracciare.

Turbato ma anche incuriosito da quella conversazione surreale mi avvicinai sempre di più e feci appena in tempo a gettare uno sguardo fugace all’interno della stanza e a notare il vecchio di schiena con un giaccone imbottito tra le mani. Di fronte a lui, un uomo completamente nudo, legato mani e piedi al muro. Mi voltai spaventato con l’intenzione di darmela a gambe, ma inciampai. L’aguzzino, nell’udire il rumore, si voltò di scatto ed esclamò a gran voce:
-Chi è là?

Lo vidi per un attimo affacciarsi alla porta, in quei pochi secondi avevo già percorso a ritroso metà della lunghezza del magazzino. Vedendomi all’inizio della scala il vecchio cominciò a urlare:
-Ehi! Ficcanaso! Ladro! Ti faccio vedere io!

Fece il gesto di inseguirmi ma io, lesto, risalii al piano superiore, riagguantando la porta d’uscita. Un istinto misterioso mi spinse in quel momento ad alzare lo sguardo... e in quella frazione di secondo vidi una foto appesa al muro. La staccai e me la infilai in tasca. Un attimo dopo fui fuori. Nonostante ciò, continuai a correre attraverso il cortile, diretto verso il portone. Solo lì, pensai, avrei potuto considerarmi salvo. Mi voltai e lo vidi un’ultima volta, fortunatamente lontano, una piccola figura immobile e muta sulla porta. Aveva evidentemente rinunciato all’inseguimento. Rabbrividii pensando a quello che avevo vissuto là dentro. Quando mi mescolai alla folla in strada mi parve di rivivere. Piansi per la tensione accumulata e solo dopo essermi sfogato tirai fuori dalla tasca la foto. Con mia sorpresa insieme all’immagine del vecchio scoprii quella di un’altra figura e non ebbi difficoltà a riconoscerla subito: si trattava del famoso stilista Giorgio Balzani. Nella fotografia sorridevano abbracciati. Ma che ci facevano quei due lì insieme? Il mistero cominciava a farsi sempre più intricato.

Telefonai al mio amico mal celando tutta la mia ansia. Lui capì e si offrì di raggiungermi. Per cautela optammo per un’altra zona della città.

-Sei stato grande – mi disse dopo aver ascoltato il mio racconto concitato – io non avrei mai avuto il coraggio di entrare in quella casa. Gli raccontai ogni dettaglio e fummo inizialmente tentati di chiamare la polizia, se non altro per salvare quel povero uomo segregato, poi stranamente desistemmo, preferendo approfondire le nostre ricerche, magari raccogliendo altre informazioni sul conto del vecchio grazie ai nuovi indizi, al collegamento con lo stilista Balzani e a quella loro curiosa amicizia.

Ci rilassammo bevendo birra fino a tardi, alla fine della serata riuscimmo anche a parlare d’altro ma forse fu solo per finta. In realtà entrambi sapevamo bene di essere posseduti da quella storia tanto quanto determinati, con la volontà di risolvere quel mistero.

-Mi spiace ma il signor Balzani è in riunione.
Dopo aver tentato di mettermi in contatto con lui innumerevoli volte conoscevo a menadito la voce della sua segretaria e il laconico messaggio con cui iniziavano e terminavano le nostre conversazioni. Ma non volli arrendermi mai.

Pensando a una nuova strategia mi venne in mente Ester, la ragazza di Jan, il mio amico francese. Lei aveva lavorato a lungo nella moda, chissà, forse avrebbe potuto aiutarmi. Feci un giro di telefonate. Era passato un po' di tempo. Jan ed io eravamo stati grandi amici in passato. Ci eravamo conosciuti a un corso di arrampicata libera a Chamonix. Mi aveva colpito il look scombinato e fuori tempo di quel ragazzo. Ma era un ragno. E noi altri, palestrati e attrezzati con il vestiario tecnologico più all’avanguardia, riuscivamo appena a stargli dietro. Lui, tutto magro, vegano e yogini, ci batteva sempre. E con quel suo stile seduceva tutte le ragazze. Così aveva conosciuto anche Ester. Dopo quel week-end quei due non si erano più lasciati.

La risposta di Ester non tardò ad arrivare. E superò le migliori aspettative. Ester, da alcuni anni, lavorava nientemeno che nel team creativo di Balzani. Non fu difficile per lei, a quel punto, accordarmi una data per un incontro.
-Avrà pochissimo tempo perché in queste settimane abbiamo una sfilata a… - mi disse Ester.
-Basterà – risposi io, interrompendola.

-Sì, buongiorno sono Balzani, lei è l’amico di Ester? Sì? Piacere... Mi perdoni, sarò da lei in un attimo, devo prima rispondere a questa chiamata... e…
-Prego… prego…

[Un’ora più tardi]

-Eccomi, mi scusi, non mi piace far aspettare le persone ma ci sono giorni in cui le cose non vanno come uno vorrebbe e allora tutto diventa caotico e faticoso. Ma ora sono qui. Cosa posso fare per lei, signor... signor…
-Sono Ezio Saletti.
-Ecco, sì, signor Saletti mi dica cosa…
-Mi piacerebbe che mi aiutasse a identificare la persona con lei in questa foto [porgendogli la foto rubata al vecchio].
-Ma è Salvatore Biasi! Ci conosciamo da più di dieci anni…. e... mi scusi, ma lei è un poliziotto?
-Oh no, non si preoccupi non sono della polizia… volevo solo…
-Ma che simpatico quel Biasi! È da un po' che non ci sentiamo. Biasi è un mito nel mondo della moda, sa? Negli ultimi anni ha raccolto una infinità di giacche bellissime, è un grande appassionato. Ha tantissimi pezzi rari come la prima giacca reversibile di Mucci, prodotta negli anni ‘60, la rara giacca blu di Yves Saint Germain, addirittura il prototipo del giaccone Mars di Jacque Bournet. Per molti studiosi nel campo della moda Biasi è un riferimento importantissimo, ineguagliabile. Una fonte inesauribile di ispirazione… glielo dice uno che...
-Mi sorprende quello che mi racconta.
-Davvero? E perché? Non mi dica che non lo sapeva? Evidentemente non fa parte di questo mondo. Comunque, tornando alla foto, si tratta di uno scatto fatto da un amico comune durante la mia visita al suo magazzino.
-In via Tortona al 9…
-Esattamente. Ci sono stato diverse volte. Biasi sempre squisito… Pensare a tutto quello che ha passato... sì, insomma, la tragedia vissuta in montagna…
-Ah! Anche di questo non so nulla… mi racconti, la prego.
-Una storia veramente straziante. È successo anni fa, Biasi non ne ha mai fatto un segreto, ma sentirla raccontare da lui fa venire i brividi. E non parlo del freddo... anche se anche quello deve essere stato terribile…
-Che cosa è successo esattamente?
-Erano in alta montagna, lui e il fratello, mi sembra si chiamasse Ivo. Entrambi esperti, saldamente legati uno all’altro, in cordata. Improvvisamente dalla cima si sono staccati dei roccioni, Ivo è stato strappato dalla roccia e scaraventato nel vuoto, Salvatore istintivamente ha cercato di bloccare l’appiglio ma lo scarto è stato troppo violento e anche lui è andato giù. Si sono ritrovati così di nuovo insieme 50 metri più in basso, vivi. Ivo però aveva entrambe le gambe fracassate, schiacciate da enormi macigni e non poteva assolutamente più muoversi. Arriva la notte, tira un vento gelido, Salvatore conforta come può il fratello in preda a dolori lancinanti. Cercando di ripararsi dal vento e dal freddo alla meno peggio. I soccorsi tardano ad arrivare a causa delle condizioni atmosferiche avverse. All’alba, la terribile decisione: Ivo convince Salvatore a indossare il suo duvet e ad allontanarsi per cercare aiuto o forse avere una chance di salvezza in più. Sarà l’ultima volta che i due fratelli si vedranno, Salvatore, dopo una marcia forzata di 9 ore con la neve ad altezza vita, raggiunge il villaggio giù a valle e dà l’allarme. Ma è troppo tardi: corpo di Ivo non sarà mia più ritrovato e…
-Ora capisco...
-Che cosa mi scusi?
-L’ossessione per le giacche… intendevo dire che...
-Ma certamente, usare il termine “ossessione” è quasi un eufemismo in questo caso, ma l’amico Biasi sa di essere malato, lo dice apertamente. Tutta la storia sarebbe solo penosa e triste se non ci fosse quest’altro aspetto, questa spinta positiva verso il collezionismo. Un tentativo di cura della propria anima ferita indubbiamente.
-Signor Balzani le ho rubato fin troppo tempo, io non so come ringraziarla…
-Ma cosa vuole... quando si tratta di omaggiare un amico, anzi, sa cosa le dico, se lo dovesse rivedere me lo saluti caramente. Io sono sempre in viaggio e non ho più il tempo di andare a trovarlo. Chissà quante giacche nuove avrà aggiunto alla sua collezione… chissà che spettacolo. Ma ora la devo proprio lasciare. Mi ha fatto piacere, sa? Ah, quel Biasi, che personaggio che personaggio….

Lo ammetto: lasciai l’atelier dello stilista Balzani più confuso di prima. Dopo quell’incontro due cose continuarono a ronzarmi nella mente, la prima era il racconto indelebile dell’esperienza del mio collega sull’autostrada, la volta che vide Biasi - ora aveva un nome! - rubare la giacca a un morto… e poi l’altra, quella vissuta personalmente, la vista dell’uomo legato alla parete, le sue urla disperate...

Ben presto però altre domande cominciarono ad affollare i miei pensieri: perché non ero andato alla polizia? Quando pensavo a ciò venivo colto da una angoscia terribile e ripetevo dentro di me: Avrei potuto salvare quel malcapitato... avrei potuto salvarlo”. Ma poi realizzavo quanto avrei rischiato e come mi sarei messo nei guai... anche solo dovendo giustificare la mia ingiustificabile intrusione nella casa-magazzino del Biasi... E il furto della foto? C’era il rischio serio di venire preso per un ladro.

E poi, ancora, mi tornarono in mente frammenti dei dialoghi tra quei due, la sotto. Avevano tutta l’aria di una messa in scena a scopo, una specie di psico-dramma... anche se l’uomo appeso non sembrava fingere... E poi, francamente, non potevo escludere che quello a cui avevo assistito potesse essere stato un altro genere di incontro, quello cioè tra due persone adulte consenzienti, una coppia insomma con gusti sessuali particolari… A quel proposito, un amico della polizia postale tempo fa mi mostrò l’esistenza di cose che non avrei mai immaginato.

Ma anche solo il furto della giacca del morto... anche quello mi sembrava troppo... Vidi il mio amico la sera stessa. Dopo avermi ascoltato a lungo anche questa volta, mi convinse ad aspettare. Nei giorni successivi scovò negli annali dei Club Alpino un trafiletto con la notizia della tragedia vissuta dai due fratelli Biasi. La storia ricalcava con notevole precisione il racconto del Balzani omettendo però il particolare della giacca, l’episodio dell’uomo morente che regala la propria giacca al fratello per dargli una speranza di salvezza…

Il colpo di scena giunse, inaspettato, due settimane dopo. Di passaggio al bar, vidi per caso un titolo nel giornale: “Nell’antro del mostro, decine di vittime ritrovate sepolte nel magazzino di un noto collezionista di moda. E poi più in piccolo, sotto: “Salvatore Biasi, l’amico dei grandi stilisti ricercato per omicidio plurimo e occultamento di cadavere…”, “Recuperati 37 corpi mummificati ma si teme che nello scantinato le vittime siano molte di più…”.

Mi si gelò il sangue nelle vene. Nonostante ciò, per ragioni che non saprei spiegare, spinto da una curiosità morbosa e irrefrenabile, volli ritornare là.

Non fu una buona idea. Tra la folla assiepata davanti al numero 9 di via Tortona, nella confusione generale, tra macchine della polizia e ambulanze (?) fui avvicinato da una donna che mi prese per un braccio e mi disse:
-È riuscito a portarsi via tutto prima dell’arrivo della polizia... si è portato via tutto, fino all’ultima giacca... e ovviamente non si è fatto beccare… Ma io lo sapevo che quello là era marcio... dentro, lo avevo capito dal suo sguardo tutte le volte che mi capitava di incontrarlo in cortile...
-[Altra voce tra la folla] Chi è sceso là sotto ha detto che l’odore di morto è insopportabile…
-[Poliziotto] Per cortesia, lasciare libero il passaggio che deve passare il procuratore.
-Polizia! Urlò la donna accanto a me.
Sentii la sua presa sul mio braccio farsi più energica. E di colpo capii di aver già udito quella voce...
-Questo signore conosceva il mostro! Io l’ho visto gironzolare da queste parti varie volte… Polizia!

Alcuni agenti, nell’udire quella frase, cominciarono a farsi spazio tra la folla, ma io fui più lesto di loro, strappai la presa della donna e mi misi a correre. Riuscii ben presto a depistarli, sfruttando la confusione, alzandomi e abbassandomi e facendomi scudo della gente...

Giunsi a casa maledicendo la mia curiosità, con un’ansia spaventosa e il timore per gli sviluppi imprevedibili di quella vicenda... Vidi un pacchetto appoggiato alla casella della posta. All’interno trovai una camicia di fine lino color indaco con l’etichetta di Giorgio Balzani e un biglietto con la sua firma e la scritta: “per cortesia, riservatezza”. Trovai quel regalo e quelle parole tanto puntuali quanto sospette. Disvelarono dentro di me qualcosa di indicibile, la possibilità, molte volte immaginata, dell’esistenza di una torbida connivenza tra le ossessioni del Biasi e le pulsioni deviate di qualche importante nome nel campo della moda... sì, forse Biasi, grazie alla sua collezione di giacche aveva goduto per lungo tempo di protezioni altolocate…

Seguirono mesi di silenzio durante i quali anche i giornali smisero di interessarsi alla vicenda. L’ultimo articolo pubblicato – li raccolsi tutti – parlava di 42 corpi maschili ritrovati e di un mandato di cattura internazionale per Biasi. La notizia risvegliò in me un senso di angoscia che credevo di aver superato.

Ci fu poi un episodio ancora più inquietante. Fu la volta che ebbi la certezza di aver nuovamente incrociato il Biasi. Successe una sera d’inverno. Pioveva. Avevo invitato Alice, la mia nuova fiamma, a teatro. Al termine dello spettacolo, tra la folla che defluiva verso l’uscita, udii nettamente una voce esclamare:
-La mia giacca!
Mi voltai e vidi sfrecciare davanti a me un uomo di media statura con addosso un giaccone di pelle scuro. Dietro di lui, a breve distanza, un altro uomo, in camicia e cravatta, agitato e sbracciante, intento nell’inseguimento del primo.
-Fermati! Ladro!
Fu questione di attimi, l’uomo con il giaccone, impegnato a farsi largo tra la folla, si voltò e mi lanciò un’occhiata luciferina e in quel volto terribile e familiare percepii un sorriso beffardo che mi lasciò letteralmente pietrificato.