A dispetto di quello che comunemente si crede, sembra che anche le mosche possiedano una coscienza, addirittura che provino emozioni. Si tratta ovviamente di facoltà percettive limitate ma non per questo meno importanti, soprattutto se sommate alle caratteristiche peculiari di questa specie. Ne è convinto il prof. Schnapp dell’Università di Zurigo, etologo di fama mondiale, tra i maggiori esperti di questo genere di insetti, che non perde occasione per sottolineare la straordinarietà di ogni mosca, già in grado di volare pochi istanti dopo la nascita e subito maestra nell’arte di infastidire le persone che cercano di riposare in giardino dopo pranzo. Un altro aspetto interessante di questo insetto volante riguarda la sua mobilità: ogni mosca pur non avendo una reale percezione della vastità del mondo, secondo l’emerito studioso svizzero, sa, in potenza, di potersi trasferire ovunque, anche a migliaia di chilometri di distanza– datele il tempo di arrivare, aggiunge il prof. Schnapp – e lei arriverà.
Se però misterioso resta il motivo che rende le mosche creature nomadi è invece stato ampliamente dimostrato che tutti gli esemplari di questa specie hanno nel loro DNA informazioni chiare rispetto a due luoghi geografici: il primo è un tabù, ogni mosca sa che non deve mai puntare a nord, col rischio di finire in Scozia dove le mosche, per tradizione, vengono usate come esca nella pesca al salmone; il secondo è il Sud, meta che ogni mosca sogna di raggiungere almeno una volta nella vita, meglio se si tratta di un paese africano, là dove gli odori intensi abbondano così come le macellerie a cielo aperto, la mecca per ogni mosca. Ma come noi umani anche gli insetti nascono un po' dove capita e quando ciò succede in Svizzera, paese risaputamente pulito e sterilizzato – la sopravvivenza delle mosche è messa a dura prova. L’unica soluzione in quei casi è affidarsi all’olfatto e puntare verso gli alpeggi e così sembra che faccia la maggior parte delle mosche native elvetiche. Lassù la musica cambia perché tra mucche, stalle e formaggi odorosi ci sono le condizioni per stare bene.
Ma l’alpeggio è in quota, l’aria è frusta e anche d’estate, di notte, il rischio di congelamento è reale. Per questo motivo, passata la sbornia da sterco di vacca, monta la preoccupazione di trovare un ricovero per la stagione invernale. L’esemplare tipo che il prof. Schnapp ci invita ora a osservare è una giovane mosca di pochi giorni (normalmente questi insetti possono vivere tra i 10 e i 20 giorni) che ha trovato rifugio in una scuola, un posto ideale, un edificio ampio con grandi finestre che permettono di godere la vista delle montagne e delle nuvole senza rischiare di essere trascinati via dal vento e con vasti corridoi e androni dove il proprio ronzio si amplifica e rimbomba che sembra che passi un aereo. La nostra mosca è piena di energia, non ha coscienza della durata della sua vita per questo passa le sue ore a fantasticare. Con la sua vista portentosa (sei volte più sviluppata di quella umana) ha già notato che ogni mercoledì arriva una donna con un piacevole sentore di sudore umano e salsiccia affumicata nei capelli.
Quello che non sa è che quella donna si chiama Olga, ha 32 anni e viene dall’Ucraina dove sarebbe rimasta volentieri con il suo amato Sergej se Putin non le avesse distrutto la casa con un missile costringendola a scappare all’estero. La Croce Rossa internazionale li ha raccolti insieme in un campo profughi, assegnandoli successivamente alla Svizzera e quella è stata la loro salvezza, nel giro di pochi giorni si sono ritrovati in un paesino di montagna del cantone Appenzeller dove Olga è stata assunta alla scuola locale come “Putzfrau” e questo è diventato motivo di speranza per tutti in famiglia. Era successo così che in uno di quei mercoledì nei quali la mosca svolazzava impunita nei corridoi della scuola era apparsa lei, la Olga, con un rumoroso aspirapolvere che subito aveva coperto il gagliardo ronzio. La mosca incuriosita era allora planata in direzione della donna, pensava furbescamente che quell’incontro le avrebbe portato qualcosa di buono. La donna, nel frattempo, aveva liberato gli infissi delle finestre delle aule da un fitto intreccio di ragnatele e si apprestava a dare una aspiratina anche alle mensole vicino alla cattedra dei maestri.
Quel lavoro le piaceva, si sentiva utile e in qualche modo importante. Il responsabile delle pulizie della scuola, tal Jonas, le aveva subito dato grande fiducia promettendole presto una promozione, importante – diceva - era essere sempre puntuale e accurata, quindi non solo eliminare le ragnatele ma anche fare bene la polvere, soprattutto togliere le mosche morte, quelle si erano la grande ossessione di Jonas e Olga non voleva deluderlo, anzi, si era dimostrata più che puntigliosa anche in quella mansione specifica.
Anche quella mattina aveva iniziato il suo turno di slancio. Fatalità volle che la nostra mosca si fosse a un certo punto appoggiata a terra per prendere fiato e proprio in quel momento la Olga l’avesse vista e pensandola morta l’avesse hooverata di slancio. Pensate quel povero insetto, passato dagli spazi aperti degli androni al buio e soffocante sacco di un aspirapolvere. Non aveva idea la povera mosca di dove si trovasse, continuava a tossire, ogni volta che decollava picchiava contro qualcosa. Superato lo spavento iniziale aveva congegnato un piano per salvarsi – ecco un altro esempio dell’intelligenza di questi insetti – aveva capito che risalendo velocemente dal tubo di aspirazione avrebbe potuto raggiungere lo spazio esterno. Per ben tre volte e con tutte le sue forze aveva provato a decollare ma sempre nell’istante in cui la Olga aveva ripreso ad aspirare… e così la nostra mosca era finita risucchiata indietro dal vortice d’aria e dopo essere stata sbatacchiata sulle pareti del tubo di aspirazione era ricaduta nel buio del sacco di raccolta, ogni volta più stanca, con le ali doloranti e incollaticce a causa della sporcizia, fino a quando, stremata, si era arresa.
Tra gli studenti più promettenti del prof. Schnapp c’era un certo Hans Froeschl, un giovane proveniente dalla Renania che fin da piccolo si era interessato agli insetti, in particolare alle mosche. A dispetto dei suoi coetanei che le eliminavano, lui da bambino le mosche quasi le venerava, osservandole ad ogni occasione e preoccupandosi di non molestarle. Hans all’epoca dei suoi studi divideva un piccolo appartamento con Eva, la sua ragazza, e Jurgen, un ragazzone muscoloso, suo compagno di corso e anche lui appassionato di insetti. Per lunghi mesi la vita del terzetto era stata gaia, tra studi e pomeriggi trascorsi sulle sponde del lago, mescolando tuffi e osservazioni naturalistiche, avevano diviso tutto, anche la bella terrazza all’ultimo piano dove ogni weekend invitavano gli amici a bere birra e grigliare salsicce. Poi però era giunta quella maledetta mattina in cui Hans, rincasato prima del previsto, aveva trovato la sua bella avvinghiata al nerboruto Jurgen e la visione era stata non solo scioccante ma anche catartica perché da quel momento nella sua vita tutto era cambiato.
Il giorno successivo Hans era andato dritto dal Rettore e aveva chiesto di cambiare corso. Quando poi si era trattato di decidere cosa fare si era ricordato di una pubblicità colorata che promuoveva un nuovo prodotto topicida e al diavolo le mosche, aveva firmato e deciso di diventare allievo del Prof. Katz, professore emerito di etologia ed esperto mondiale di roditori. Oggi Hans Froeschl è un rinomato ricercatore, i risultati del suo lavoro appaiono regolarmente nelle riviste scientifiche internazionali e il suo ultimo libro “Il mio amico topo” è diventato un best seller nel giro di pochi mesi. Scrive Froeschl: “La famiglia della specie Apodemus Sylvaticus, roditore comunemente chiamato topo di campagna, è governata dagli esemplari più anziani, a partire dai genitori ovviamente, ma anche i nonni fanno la loro parte. Le mie osservazioni più recenti hanno potuto appurare che, oltre alle regole basiche di sopravvivenza, è in quella fase che vengono trasmessi gli elementi identitari propri della specie e pare proprio che siano i nonni, forti della loro esperienza, a formare i futuri topi”.
Grazie al linguaggio semplice e accattivante di Hans Froeschl oggi è facile immaginare quello che avviene nella profondità delle tane, a volte sembra addirittura di sentirli i dialoghi tra i topi anziani e gli ultimi arrivati: “ogni volta che vi trovate all’aria aperta guardatevi le spalle, dietro ogni cespuglio ci potrebbe essere un gatto – insiste il topo dal pelo sale e pepe con gli occhiali da presbite, parlando alla piccola platea immobile e attenta. Il gatto è e sempre sarà il nostro più grande nemico, quindi occhi e orecchie aperte, passare incautamente di fianco ad un sasso stranamente peloso potrebbe esservi fatale. Evitate le scorribande notturne per quanto piacevoli possano apparire e non di meno le prime luci dell’alba, quella è l’ora della volpe, un incontro, inutile dirlo, senza ritorno. Meglio quindi annoiarsi un po' di più rimanendo al sicuro a casa e limitarsi nelle sortite a cielo aperto solo nei giorni di vento – così i predatori sono confusi e non possono affidarsi all’olfatto – o quando piove.
Per quanto riguarda la pioggia, esiste un detto “fare la fine del topo” e si riferisce alla situazione in cui ci si trova bloccati in un buco senza più riuscire ad uscirne a causa di un allagamento, pericolo oggettivamente presente tutte le volte che piove molto e l’acqua raggiunge le nostre tane più profonde, normalmente considerate le più sicure – fino a prova contraria lo sono – certo non quando piove, quindi alle prime gocce vi consiglio sempre di correre verso i ricoveri di superficie. Altra situazione rischiosissima è rappresentata dai giorni della mietitura, quando il contadino arriva con i macchinari per raccogliere il frumento, il farro e le altre granaglie. È comprensibile quanto grande sia la tentazione per ognuno di voi di uscire allo scoperto e far man bassa di chicchi abbandonati, ma io vi dico ocio e lo ripeterò mille volte, perché in quei frangenti i pericoli si moltiplicano.
La distrazione causata dall’euforia per l’abbondanza di cibo fa crollare drasticamente il nostro istinto di conservazione e il pericolo non è solo rappresentato dal pesante mezzo agricolo in movimento ma dai rapaci, sì avete sentito bene, i rapaci, queste creature volanti aggressive e insidiose che fino all’ultimo non si sentono arrivare e quando ci sono addosso è troppo tardi. Ci sono stati dei topi, pochi, che si sono salvati dagli artigli dei falchi, anzi visto che oggi ce n’è uno accanto a me, ciao Geremia, lascio a te la parola così potrete capire veramente cosa si prova quando si viene ghermiti dagli artigli di un falco.
Nella semioscurità della tana si fa avanti un vecchio topo spelacchiato con una vistosa benda nera a coprire l’occhio destro e quando il brusìo eccitato dei piccoli s’acquieta, lui subito comincia a raccontare: Ero come voi, la stessa età, la stessa voglia di scoprire il mondo e ahimè la stessa scellerata incoscienza. Per questo non ho ascoltato le raccomandazioni dei miei genitori e al primo tremar di suolo ho messo il muso fuori dalla tana, anzi di più, sono proprio uscito nel campo aperto, con l’adrenalina in corpo ho cominciato ad abboffarmi di mais e a correre a destra e a manca incurante dei pericoli. E proprio quando avevo intravisto il grande macchinario rosso-arancio allontanarsi in fondo al terreno e mi sono sentito al sicuro ecco qualcosa di appuntito e fastidioso ha preso ad agganciarmi alla schiena e subito ho visto il mio esile corpo proiettarsi verso il cielo. Un’ombra scura mi toglieva la vista in alto e se non fosse stato per quella stretta pungente sul collo tutto il resto sarebbe stato solo pazzescamente bello, vertiginoso, incredibile. Soprattutto la vista del mondo da lassù, quale spettacolo indescrivibile, mi pregustavo il momento in cui avrei potuto raccontare tutto ciò ai miei amici.
Ma qualcuno aveva altri programmi, io non lo avevo capito, me ne sono accorto dopo una elegante planata quando sono stato depositato in una rudimentale vasca di rami secchi e foglie e mi sono ritrovato in compagnia di strani esseri grandi come me ma buffamente agghindati di piume bianche e con bocche spalancate e urlanti. La libertà ritrovata, seppure in quel contesto bizzarro, mi aveva messo di buon umore tant’è che ho voluto subito anch’io partecipare agli schiamazzi di quella festa e mi sono messo a squittire a più non posso, purtroppo qualcuno non ha gradito, la grande ombra scura è ritornata e mi ha beccato varie volte sulla testa e la vista mi si è improvvisamente oscurata, a quel punto ho avuto un lampo di lucidità e mi sono aggrappato ai rami riuscendo a nascondermi e non so come a raggiungere il limite superiore di quella strana struttura circolare, dal quale mi sono lanciato istintivamente nel vuoto. Il resto l’ho dimenticato. Mi hanno raccontato che uno scoiattolo mi ha raccolto svenuto ai piedi di una grande quercia e che amici topi successivamente mi hanno curato e nei mesi successivi aiutato a tornare a casa. Mi è andata bene. Volare è bellissimo ma, credetemi, non è cosa per topi, per cui, non fate come me, non rischiate. State a casa”.
– Ho visto un topo in cucina!
La voce familiare della madre era risuonata in viva voce all’interno del furgone proprio nel momento in cui Liam aveva concluso il suo turno di lavoro e si stava rilassando finalmente un po'. Secondo i suoi piani, se tutto fosse filato liscio e il traffico non avesse fatto scherzi, quello sarebbe diventato il giorno giusto per fare un salto in palestra e poi, perché no, vedere Sophie.
– Ho visto un topo e non era piccolo, aveva ripetuto l’anziana donna con tono allarmato tanto da spingere il figlio Liam a cercare subito il modo di rassicurarla. Ma no, dai, mamma, le aveva risposto e poi, subito dopo, come è possibile? La casa è super pulita, e poi oggi non è martedì? Ah, non è venuta la donna? Ho capito. Ma da quanto non viene? Da un mese? Scusa mamma, ma perché non me l’hai detto? Sono cose importanti.
Quella loro conversazione surreale era andata avanti così ancora per qualche secondo, poi si era bruscamente interrotta. Liam allora l’aveva prontamente richiamata e questa volta, senza preamboli, la madre aveva preso a piagnucolare descrivendo più volte il suo incubo casalingo e a Liam questa volta era montato dentro un aceto terrificante, un misto di rabbia, tenerezza e compassione. Era come se si fosse reso conto per la prima volta di una situazione grave, lui che nei mesi precedenti aveva preferito illudersi che le cose si sarebbero sistemate da sole, mentre il dottore era stato chiaro, la demenza della madre avrebbe presto preso il sopravvento e quello era ciò che di fatto stava avvenendo.
Non mancava in Liam un forte senso di colpa, si ricordava delle volte che aveva sbuffato quando la madre chiamava, di quando davanti al suo capo, in azienda, aveva chinato la testa accettando straordinari assurdi mentre avrebbe voluto scappare, sì, si vergognava di ammetterlo, avrebbe voluto raggiungere la madre sola, cucinarle qualcosa, stare con lei qualche ora, magari anche prendendola in giro così, giusto per ridere un po'. Non ci era mai riuscito e ora era tardi, il male oscuro se la stava prendendo la sua tenera mamma, era finito il tempo delle loro conversazioni accese anche se affettuose, ora c’erano solo le storie dei topi immaginari e mille altre ossessioni quotidiane, restava solo quello.
Così Liam era rimasto in bilico su quella linea sottile, indeciso come sempre sul da farsi, avrebbe potuto, come altre volte, lasciar suonare il telefono e pensare unicamente a se stesso, guardare dall’altra parte, in fondo quella era la sua vita, la madre aveva fatto la sua… oppure avrebbe potuto andare nella direzione opposta, fare dietro front col furgone e andare da lei, e vaffanculo la palestra e Sophie avrebbe capito e l’indomani avrebbe affrontato anche quello stronzo del suo capo, che ci provasse quello a umiliarlo ancora, che ci provasse. Ora c’era la questione del topo da risolvere. Corroborato dai germi di quei nuovi pensieri ma ancora pieno di rabbia e paure, Liam aveva infine svoltato verso la tangenziale e alla vista della lunga coda di automobili ferme, non aveva battuto ciglio.
In quel medesimo istante, a poche centinaia di metri di distanza, Alex si stava recando al lavoro alla guida del suo furgone. Sembrava partita male la sua giornata con quel terribile scazzo al risveglio tra lui e Julia che da quando aspetta il bambino non è più la stessa, spende soldi in cazzate e ha manie di grandezza. Anche quel progetto di comprare casa non è che piaccia granché ad Alex, tutti quei debiti, possibile che la vita si riduca a lavorare per pagare una cazzo di villetta a schiera, magari con un vicino che ti rompe i coglioni? No, no, Alex in quel momento aveva più che mai la sensazione di aver sbagliato qualcosa, lui che pochi anni prima aveva raggiunto Capo Nord con la sua moto e sognava una vita avventurosa. Ora si sentiva in trappola. Era lunedì, aveva davanti a sé una dura giornata di lavoro, centinaia di pacchetti da consegnare entro sera guidando come un pazzo da una parte all’altra della città.
Che lavoro di merda che si ritrovava a fare e non l’aveva neppure scelto lui il suo lavoro, era stata Julia a spingerlo verso quel posto o forse no, era stato un consiglio della madre, sì proprio lei, ma poi anche sua sorella aveva fatto pressione, insomma il solito, insopportabile affollamento di femmine che nella sua vita avevano sempre deciso al posto suo, mentre lui non era mai riuscito a fare un passo vero, autonomamente, sempre impegnato a inseguire pensieri astratti e sogni, molti sogni e mai nessuno realizzato. Che nervi! Ci mancava anche il traffico bloccato e una mosca che non voleva andarsene, visibilmente intenzionata a farlo uscire definitivamente dai gangheri, maledetta!
Ci fu poi un momento, della durata di una manciata di secondi, in cui il furgone di Liam si affiancò a quello di Alex e i due si guardarono e a Liam, nel vedere Alex esasperato dai suoi falliti tentativi di schiacciare la mosca, venne da ridere e pur ignorando ognuno i sentimenti e drammi dell’esistenza dell’altro ci fu un bagliore tra loro, quasi si rispecchiassero e per un istante si riconobbero, al punto che quando la coda riprese a muoversi si fecero un cenno con la mano per salutarsi.