C’è un unico mondo invisibile che secondo la filosofia alchemica precede e anima il mondo che chiamiamo reale: è “l’Unus mundus”, un solo mondo.

“Precedere” però non è esattamente il verbo più adeguato ad esprimere quanto questo tipo di realtà è tesa a identificare.

Nel 1952 Carl Gustav Jung, grazie alla collaborazione con il Nobel per la fisica Wolfgang Ernst Pauli, giunge a teorizzare l’esistenza psichica dell’Unus mundus come somma di eventi acausali che rientrano nell’ambito della cosiddetta “sincronicità”. Non di sola tridimensione sarebbe fatto l’universo psichico, come del resto quello fisico, cioè di eventi causali, di spazio e di tempo, ma anche di una quarta dimensione silente e imperscrutabile tesa ad unire le tre in un tutto armonico.

Il concetto di Unus mundus che Jung ricava dal De tenebris contra naturam di Gerhard Dorn rinnova il millenario dibattito sull’apparente opposizione tra la fede in un universo tripartito, che trova alimento nel trinitarismo di matrice cristiana, e l’idea di un Cosmo tetrapartito, più vicino agli assiomi del naturalismo alchemico.

Secondo il padre della psicologia del profondo, che con sapienza rara ha ricucito lo strappo dottrinario tra Cristianesimo, filosofia della natura e coscienza, proprio l’Unico mondo teorizzato dagli alchimisti getterebbe luce sull’enigmatico motto risalente a Maria l’Ebrea e per il quale “dal terzo procede l’uno come quarto”.

Il concetto di un mondo invisibile ma sincronicamente presente e permeante tutte le cose è un portato del pensiero filosofico che si perde nella notte dei tempi ed anima visioni religiose e scientifiche come quelle dei sacerdoti di Zoroastro, i cosiddetti “magi”.

Non è filologicamente chiaro il perché nel testo apocrifo della Rivelazione dei Magi il termine con cui vengono designati i tre sapienti che si mettono in cammino per trovare il Re Bambino venga fatto derivare proprio dal “silenzio” con cui questi misteriosi sacerdoti erano usi pregare.

Tuttavia, tanto lo straordinario racconto dei vangeli apocrifi quanto quello canonico di Matteo e delle fonti classiche ci consegnano il ritratto di sapienti che ad un culto dell’attenzione silenziosa devono pur essere stati votati in quanto “suscitatori del fuoco”, abili misuratori del tempo e primi teorici di una dottrina dell’immaginazione in senso atomistico, la dottrina degli éidõla.

Quest’ultima, secondo quella che sarà poi la nota formulazione del filosofo Democrito, descrive un cosmo interamente formato da particelle infinitesime che, come un flusso costante, vengono emesse dagli elementi, dagli oggetti e dagli stessi individui in forma di “éidõla”. Queste, che hanno finito per rappresentare il senso deteriore di “idoli” e della connessa “idolatria”, erano concepite come forme riflesse che nello spazio-tempo traducono le forme perfette derivate da un altrove, un unus o quarto mondo appunto, e che Platone ha identificato con le “éidē”, le immagini archetipiche che risiedono invece imperiture fuori dal tempo.

Quando un essere umano si “specchia”, egli è destinato dunque a vedere l’éidõlon di sé stesso, la copia temporale e transeunte di un altro sé stesso che risiede fuori dal tempo: la sua immagine eterna.

Non è dal racconto canonico di Matteo che sappiamo che i Magi erano in numero di tre e detentori di un titolo regale, ma dal Vangelo dell’Infanzia armeno. Questo, insieme ad altri apocrifi, ci offre un’importante variante cronologica della nascita di Cristo da collocare non il 25 dicembre, bensì il 6 gennaio. Il Natale, come testimoniano le molte tradizioni legate alla cosiddetta Epifania, giorno della “manifestazione”, è una festa del Fuoco, del Tempo e del suo Superamento: la festa della nascita di un Bambino che incarna il Tempo d’Oro che ha reso possibile la sua discesa sulla Terra.

I Magi, sapienti astronomi che seguono il corso di una stella solo a loro visibile, nella drammaturgia spirituale dell’alchimia incarnano allora i tre volti del tempo lineare e sono stati perciò più volte rappresentati nell’arte come un vecchio canuto, un uomo maturo e un giovane imberbe, a loro volta figure delle tre porzioni del tempo: il passato, il presente e il futuro, ciascuno recante un dono metallico o vegetale nella forma dell’oro, dell’incenso e della mirra.

Il loro viaggio attraverso una mappa tridimensionale dura nove mesi, tempo necessario alla gestazione di un essere umano, e cerca il proprio compimento nello stesso modo in cui l’illusione - direbbe Albert Einstein - della successione lineare del tempo aspira a raggiungere la visione di un Tempo d’Oro, di un Tempo, cioè, fuori dal Tempo.

È così che i tre re, figure delle tre età dell’uomo esteriore sono a loro volta figure dei tre spazi dell’uomo interiore: il suo intimo spirito, la sua anima sfuggente ed il suo corpo. Una volta giunti al cospetto del Re Bambino, essi possono quindi trovare la loro unità nella contemplazione di uno specchio, o Unus mundus, che rovescia l’immagine franta del tempo tripartito e la restituisce all’interezza dell’unità originaria.

In questo prospetto di filosofia spirituale, in cui i Magi sono le forze misteriose del tempo lineare, a nulla serve la giovinezza, la maturità o la vecchiaia se giovane, adulto o vecchio non serbano dentro di sé l’immagine trascendente di un Bambino che dà loro ogni senso e compimento come un ospite muto che siede alla mensa della propria anima, come un fuoco che in questa stessa mensa non si estingue o come immagine che non è soggetta al logorio del tempo. Tre più uno fa uno.

Ciò su cui tutte le fonti concordano è che i Magi, incalzati da Erode, per rivelare il punto esatto in cui era nato il Re Bambino, fuggono per tornare nella loro patria e mantenere il “silenzio”.

Il Vangelo dell’infanzia arabo siriaco ci narra che essi, una volta giunti a casa, avrebbero acceso un fuoco sacro. A loro, secondo la leggenda raccolta da Marco Polo, il Bambino avrebbe consegnato una pietra come guida nel viaggio di ritorno. Essa, una volta gettata in un pozzo, avrebbe attirato un prodigioso fuoco caduto dal Cielo. Secondo il Vangelo dell’infanzia armeno, non solo oro, incenso e mirra avrebbero donato i tre saggi, ma anche il primo libro dell’umanità, un libro muto, scritto da Adamo e consegnato alla sua discendenza.

Della pacata ponderatezza dei tre uomini che, come pazienti misuratori del tempo e abili suscitatori del fuoco, sono stati seguaci dell’astro che li ha guidati verso il Tempo aureo, resta la formula che nel Medioevo si usava per fermare la corsa di un cavallo imbizzarrito:

Caspar te tenet/Balthasar te ligat/Melchior te ducat.
(Gaspare ti trattiene/Baldassare ti lega/Melchiorre ti conduca)

Anche noi, in questa notte, auguriamo a tutti i Magi, siano essi imberbi, maturi o canuti, musulmani, cristiani, ebrei, buddisti, induisti o scintoisti, di mettersi in viaggio per cercare il Bambino e l’Unus mundus.

Auguriamo loro di trovare il Tempo d’Oro e, come i sapienti dell’Oriente incalzati da Erode, di mantenere il silenzio sul luogo in cui Esso dimora come ospite muto dell’anima. Interrogati non rispondete. E se vi inseguono, correte.