Pensare a ciò che sembra oggi essersi perso può essere utile per ritrovarlo. Ed è per questo che ho pensato di scrivere proprio in questo momento un articolo sul tema dell’umanità.

Che cos’è l’umanità se non la capacità di vedere e riconoscere nell’altro le caratteristiche comuni a tutti, dunque anche al soggetto che osserva. L’umanità ha molto a che fare infatti con la capacità empatica, quella particolare attitudine a percepire le emozioni, positive o negative, dell’altro, anche senza che alcunché sia espresso attraverso le parole.

Se riesco a percepire, con una buona approssimazione, quello che l’altra persona, o anche un intero popolo, sta vivendo, sta passando, sta sperimentando sulla pelle dei soggetti più fragili, allora riesco anche a far mio quel sentimento, a percepire che sta succedendo qualcosa nell’animo dell’altro che, per quanto possa essere diverso da me, è un essere umano.

Ecco, l’umanità è questo: un gioco di specchi, nel quale ciascuno riesce a vedere, ma anche a sentire, quello che sta succedendo all’altra parte. Si tratta di una capacità in parte innata ma che può essere anche coltivata nel corso della vita, nell’infanzia in particolare, ma anche nel corso della vita adulta.

Quello che a noi interessa di più in questo momento è di capire come sia accaduto che, in varie parti del mondo, si siano progressivamente abbandonati o comunque ridotti i principi basilari del vivere comunitario, in particolare può essere interessante e soprattutto utile comprendere come sia avvenuto tale passaggio, ma anche come sia possibile che oggi alcuni fenomeni di un’atrocità estrema vengano percepiti come giusti, come normali, o come una logica conseguenza di aggressioni precedenti, presunte o reali che siano.

Il procedimento di comprensione di ciò che apparentemente è assurdo risulta molto simile all’analisi del fenomeno, apparentemente inspiegabile, del nazifascismo e delle persecuzioni tristemente note. Sorge quindi spontanea una domanda, opposta alle considerazioni precedenti sul concetto di umanità: come è possibile che l’umanità, con l’empatia ad essa collegata, venga meno? Come può avvenire che una persona non comprenda, non senta, non percepisca l’assurdità di ciò che avviene nel corso delle guerre, delle aggressioni alla popolazione civile, delle stesse modalità aggressive, dell’abbandono dei capisaldi della democrazia e della diplomazia?

Il fenomeno che andrò a descrivere ha un nome ben preciso: si chiama disumanizzazione. Quello che avviene, in circostanze particolari, è un progressivo abbandono delle capacità empatiche di percepire l’altro come un essere che è tale e quale a noi, con sentimenti ed emozioni che potremmo provare, pressoché identici, anche noi.

Ad un certo punto, forse per frustrazione, per rabbia, o per una prolungata esposizione a situazioni – soprattutto stimolazioni visive – legate alla violenza, all’aggressione ed al sopruso – le doti di umanità si affievoliscono fino a scomparire. Allora l’altra persona viene per così dire “disumanizzata”, cioè perde, agli occhi di chi osserva, le connotazioni umane, divenendo quasi un essere inanimato, lontano, estraneo a sé.

Ci si dimentica allora che l’umanità è una sola, che l’essere umano è uguale in tutti i corpi in cui si declina, l’umanità è come un grande essere vivente, che ingloba tutti, andando al di là delle differenze e delle specificità di ognuno.

Questo è l’essere umano: un esempio, una singolarità arbitrariamente presa da un insieme indiviso, un tassello di un puzzle, unico ma al contempo parte di un tutto.

E questo tutto si chiama umanità.

Umanità è la consapevolezza di essere parte di un tutto, un tutto dove gli altri sono come noi, sono anche parte di noi, in un insieme dove tutto risulta complementare e interconnesso, dove ogni elemento risuona con e attraverso tutti gli altri. Ebbene, se si ha questa consapevolezza si percepisce che fare del male ad un altro equivale a fare del male a tutti e anche a noi stessi. Si sente che arrecare un danno ad un elemento, che può essere un essere umano, un animale o la natura stessa, significa arrecare un danno a tutto il sistema. Il processo di rispecchiamento nell’altro, nel mondo esterno a noi, avviene allora automaticamente, in maniera immediata, diretta. E in questo caso la percezione del danno che si sta arrecando risulta immediata, naturale, diremmo quasi ovvia.

Questo processo di rispecchiamento, di empatia, di umanità, non è altro che l’acquisizione della consapevolezza della connessione generale dell’universo. Se si ha questa consapevolezza allora tutto diviene chiaro, l’aggressione, il sopruso, il danno inferto, la sofferenza procurata, acquistano immediatamente le connotazioni di disumanizzazione, perché rappresentano l’uscita – innaturale – da un ordine generale e naturale, quello del rispetto dell’altro.

Auspichiamo che tutti i capi di governo mantengano o raggiungano questo grado di consapevolezza. Nel frattempo ciascuno di noi può, nel suo animo e nei suoi processi di pensiero, lavorare a stimolare e rafforzare il fondamentale sentimento di umanità che ci deve sempre accompagnare nel corso della nostra intera esistenza.