Carissime, da tre giorni vi scrivo pensieri complessi e frasi lunghe con qualche “che” di troppo. Oggi è il 7 maggio, piove e scrivo in terrazzo perché qui a casa, nell’appartamento sopra la mia testa, ci sono bambini che giocano a calcio. A parte l’umidità, è anche freddo, quindi penso di sbrigarmi. Ho insegnato più di trent’anni; prima Storia dell’arte al Liceo Classico, poi Discipline Pittoriche in pianta stabile -di ruolo- al Liceo Artistico. Una volta in pensione, ho realizzato diversi Eventi con student* dei due licei. E così ho continuato a camminare insieme a loro nei sentieri della storia delle donne e in questi sentieri ci siamo distes* per ascoltare il respiro della Terra. Ne cito alcuni che mi vengono in mente ora: “L’eleganza dell’essere distes*, 2023, Biennale mosaico contemporaneo, “Gli alberi erano Dei”, Lido di Dante, 2013, “Giuliana Anicia è qui”, spiaggia libera di Marina Romea, 2012. E tanti altri. Ma i lavori più significativi per il progetto in atto li ho realizzati al Mama’s club, qui a Ravenna. Il meglio riuscito sicuramente è “ Ravenna, vita di donne tra passato e presente”, che poi ha preso il titolo “Concerto a più corpi”.
Vi parlo del mio lavoro perché in questo campo ha preso forma, prima il pensiero, poi il desiderio forte di realizzare un testo scolastico riguardante la storia delle donne. Per fare un esempio riprendo un evento di questi giorni dibattuto in rete, nei quotidiani e nelle trasmissioni televisive perché riguarda molto da vicino il progetto di cui desidero parlarvi. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha messo, in conferenza stampa, tutti i paletti che una scuola è tenuta a rispettare se proprio vuole fornire, oltre alle normali attività curricolari, anche corsi di educazione affettivo-sessuale. Se ne parla ampiamente nel primo numero della newsletter di maggio della Casa delle Donne di Ravenna, che evidenzia l’assenza di consapevolezza non già dei genitori, ma del governo. Una sorta di “Vade retro” sembra il reale significato della linea adottata.
Ma la scuola, dove dovrebbero realizzarsi i corsi di educazione affettivo- sessuale, come sta? A me sembra stia male, anche senza i paletti del Ministro. I corsi di educazione affettivo-sessuale per potere funzionare dovrebbero conversare con soggetti aventi pari opportunità. Com’è possibile che ciò accada, se si dà per Assoluta una Storia che in realtà appartiene solo agli uomini? E qui entra in campo il grande inganno. Bambine, adolescenti e ragazze continuano a studiare la loro assenza. Una visione parziale data per assoluta produce nella nostra mente devastazioni enormi, per la semplice ragione che gli studenti sono, nell’educazione scolastica, gli unici soggetti presenti.
A loro -i ragazzi- può prendere forma un super ego che vede nell’altra la sconosciuta, colei che come pensiero e azione non esiste e quindi spetta a loro farsene carico. Ci avviciniamo alla “cosa di mia proprietà”. E se la patria chiama, diventano contemporaneamente carnefici ed eroi. Nelle studenti, può prendere forma, invece, il vuoto dell’assenza che disorienta e richiede un lavoro molto complicato per ricostruire la propria identità.
Ne sono cosciente da quando, negli anni ‘80, insegnavo alle e agli studenti la storia delle donne. È da tanto tempo che le donne hanno ricostruito la loro storia e pubblicato libri: femministe, filosofe, storiche, studiose di ogni ordine e grado, ma questi testi non sono entrati nelle scuole primarie e secondarie come materia di studio. Sì, in qualche testo scolastico sono presenti figure di donne eccezionali, ma prive della strada che tutte le altre hanno costruito prima e contemporaneamente a loro, per condurle fin lì. Ecco perché sostengo sia necessario partire dalla cancellazione di un falso assoluto, con la realizzazione di un testo scolastico sulla storia delle donne, occultata da sempre dalla formazione canonica. Solo in questo modo avviene l’incontro di due parzialità -la coscienza che si è in due-.
È un inizio; ma è indispensabile, prima di qualsiasi altra esperienza, colmare questo vuoto, perché altrimenti non ci saranno pari opportunità. E quando parlo di inizio non intendo l’inizio di una storia nuova, si continueranno a recuperare e ad elaborare pensieri ed immagini che altre donne prima di noi e in questo momento hanno già scritto e stanno scrivendo. L’aspetto rivoluzionario sta nella consapevolezza della parzialità del nostro pensiero. Così si compie un ribaltamento, che rivela il due. La Storia che fin qui abbiamo studiato a scuola non è la somma di due voci distinte, di due punti di vista sul mondo, ma è l’espressione di un unico punto di vista dato per assoluto. Ciò crea una sorta d’incapacità del pensiero umano di conoscersi nella dualità uomo/donna e di conseguenza la differenza la si vive piuttosto nella forma di una passione. “…così a ciascuno accade di essere donna o uomo a seconda del corpo che ha. Ma sarebbe più giusto dire: che è.”
Il manuale dovrà seguire tracce semplici con suggerimenti e indicazioni per approfondire i temi trattati. Ho pensato alle Herbarie perché in questo nostro tempo riappropriarci, come ho già detto, del respiro della Terra, mi sembra più che mai un richiamo indispensabile. Anche il tempo non seguirà concetti astratti -non esiste il tempo, esistono i tempi- e nel testo penso a riferimenti continui tra passato e presente. Queste sono le ragioni che creano un percorso circolare. Un testo scolastico in grado di tracciare il millenario nomadismo delle ribelli e delle disubbidienti che ci hanno indicato e ci indicano la via da percorrere come fece la giovane schiava che invita Pentesilea - e tutt* noi - ad andare con lei nelle caverne presso lo Scamandro e mettere in atto le sue parole: "Tra uccidere e morire c'è una terza via, vivere”.
Ora vi chiedo la disponibilità di un confronto per realizzare insieme alle donne interessate il libro di testo.
Un po’ di Storia, a cura di Elisabetta De Notaris e di Cesare Albertano
All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, sull’onda dei sussulti culturali e politici iniziati nel decennio precedente, comparve un corso all’Università di Paris-Diderot dal titolo provocatorio, formulato sotto forma di domanda: «Le donne hanno una Storia?». Era stato il modo attraverso il quale ricercatrici come Michelle Perrot, Pauline Schmidt e Fabienne Bock avevano delineato un campo di studi e di conoscenza allora pressoché sconosciuto. D’altra parte, la seconda generazione delle Annales aveva già rinnovato le prospettive di osservazione e di analisi della storia, coinvolgendo la storia economica e sociale anche per dar voce ai soggett* che erano stat* esclus* dalla tradizione storiografica, ma la ricerca storica era rimasta una disciplina tendenzialmente asessuata.
L’interrogativo di quelle giovani studiose aveva invece messo a fuoco la questione dell’invisibilità delle donne nella storia e aveva posto le domande sui tempi, sui luoghi e sulle modalità della loro esclusione, dunque sulla loro oppressione. Questo rese necessario una profonda analisi delle differenze tra i sessi al fine di consentire una visione più completa della storia.
I tempi della ricerca e le ricadute concrete nella società sono fenomeni lenti e complessi, faticosi e difficili. Negli anni Novanta la casa editrice italiana Laterza pubblicò la monumentale Storia delle donne in Occidente in cinque volumi, curata proprio da Michelle Perrot e da Georges Duby che tuttora costituisce uno spartiacque fondamentale nella ricerca storiografica. Dopo quella coraggiosa scommessa, l’opera venne editata anche in Francia dalle Edizioni Plon. Il successo fu grande e rappresentò da allora il punto di riferimento sulla storia della rappresentazione delle donne e sulla storia dei rapporti tra i sessi attraverso i secoli, nato da un imponente lavoro di équipe formatosi oltre dieci anni prima e che coinvolse una settantina di ricercatrici e di ricercatori che indagarono su un panorama tanto composito e complesso come quello delle donne.
Alle spalle di questo importante progetto di ricerca bisognerebbe comunque segnalarne un altro, curato dallo stesso Duby e sempre in più volumi, che trattava la Storia della vita privata dall’Impero romano fino ai nostri giorni e che fornì notevoli spunti al progetto successivo. Si trattava però solo di spunti perché, senza negare il legame intrinseco e secolare tra le donne e la dimensione privata, al nuovo progetto di ricerca guidato dalla Perrot interessava descrivere soprattutto il legame tra le donne e la dimensione pubblica. In altre parole la novità stava nell’obiettivo di ripercorrere i motivi cruciali per i quali la storia pubblica le aveva escluse.
Dagli anni Novanta ad oggi il dibattito e la ricerca non si sono affatto spenti, ma la ricaduta nella manualistica scolastica, non sempre sincronica rispetto alle nuove frontiere della ricerca, e soprattutto nella coscienza civile diffusa hanno avuto un appannamento. Sono molti gli elementi di disillusione politica che ne hanno rallentato il cammino in questi ultimi trent’anni e non sono mancati errori di prospettiva che ne hanno impoverito il tenore. Quella storia delle donne è diventata spesso una storia delle rappresentazioni e dei discorsi maschili riguardo le donne tale da far dimenticare le donne in quanto soggetto. Pochi anni fa la Perrot, ormai diventata professoressa emerita sempre di quella Università parigina che fu una delle fucine degli anni Sessanta e Settanta, ancora una volta corse in aiuto per uscire dall’impasse sostenendo che si poteva analizzare la differenza dei sessi solo attraverso cambi di prospettiva e decostruzioni appropriate. Lo studio delle biografie e degli avvenimenti aveva rivelato molti limiti, così come lo studio di individui o eventi eccezionali, mentre sarebbe stato auspicabile studiare le «strutture» e recuperare nuovi soggetti storici, più ribelli e dimenticati. La chiave è questa: capovolgere le prospettive attraverso la consapevolezza della loro parzialità.
D’altra parte il recente movimento del #metoo può a tutti gli effetti rappresentare un esempio del capovolgimento di prospettiva e una rideterminazione del ruolo delle donne, a fronte dell’invisibilizzazione e del silenziamento forzato dei fenomeni che lo sottendono: protestare contro le violenze, le più subdole, vuol dire rideterminare il proprio ruolo e reimpossessarsi della propria voce e del proprio corpo in quanto soggetti.
A distanza di cinquant’anni da questo dibattito che ha coinvolto intere generazioni e che ha attraversato intere generazioni cosa rimane? Ancora oggi la sopraffazione fisica e psicologica è presente in tutta la sua drammaticità e ancora una volta ha origine dalla sopraffazione culturale. Non si riesce a spiegare altrimenti la permanenza dei fenomeni di violenza di genere, ma anche la lentezza nell’evoluzione legislativa della fonte delle cosiddette pari opportunità. Dunque bisogna ancora oggi rafforzare la dimensione culturale a partire dalle scuole.
Pur non potendo disconoscere di essere in fase evolutiva rispetto agli assunti storico-filosofici tradizionali e a fronte di leggi più attente al problema, tuttavia non si può che constatare la mancanza di uno sguardo strutturale e complesso della storia delle donne in ambito manualistico nei testi di storia in uso delle scuole. Questo progetto ha pertanto come obiettivo quello di fornire strumenti agili di riflessione storica, spendibili in ambito didattico nella scuola secondaria, per integrare un’offerta culturale ancora troppo generica e sempre bisognosa di nuovi orientamenti e rinforzi.
Questa è una lettera inviata alle amiche della Casa delle Donne di Ravenna.