Noi umani siamo dotati di una funzione inconscia che ha lo scopo di trasformare le impressioni sensoriali e le emozioni grezze/aurorali in immagini per poter poi accendere il pensiero.

Questa attività davvero singolare, direi artistica, avviene, però, senza che noi ce ne accorgiamo, silenziosa, quasi in punta di piedi, ed è stupefacente scoprire questo artista delle immagini che è in noi e che disegna, dipinge, colora gli accadimenti di incontro o scontro con la realtà per renderli pensabili.

Questo lavorio di trasformazione in immagini che instancabilmente, sia di giorno che di notte, a nostra insaputa metabolizza la realtà sensoriale ed emozionale, favorisce l’insostituibile passaggio dal non-mentale al mentale, rendendo gli stimoli interni ed esterni, sensoriali ed emotivi, eventi mentali o fatti psichici.

Questa imprescindibile funzione di trasformazione corrisponde al processo del sognare, il sogno infatti ci racconta per immagini la nostra esperienza del vivere, e le immagini che sono come fotogrammi di quel film che nel sogno creiamo, costituiscono anche i mattoncini di base che servono per la memoria e l’apprendimento, perciò per tutte le operazioni di pensiero cosciente, ma servono anche per creare l’inconscio differenziandolo dalla consapevolezza, contribuendo quindi a formare un pensiero ordinato.

Per cui, il funzionamento principe della vita mentale è il “sognare”, inteso come un profondo lavoro di trasformazione che lega emozioni e percezioni sensoriali, rendendole adatte alla formazione della prima pellicola di pensiero, e che è alla base della crescita personale e del rapporto con la realtà.

D’altra parte, anche nella letteratura tante opere mettono il sogno in primo piano e lo dichiarano come personaggio principale della storia, per esempio, La realtà del sogno e Sogno, ma forse no di Pirandello, La vita è sogno di Calderòn de la Barca, Il sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij, Doppio sogno di Schnitzler, ma anche Heine con la sublime In sogno ogni notte ti vedo… o l’appassionata Il Dio dei sogni mi portò in un enorme castello.

E la Divina Commedia non è forse il viaggio onirico di Dante in tre regni improbabili nella realtà, ma profondamenti veri per lui che ha vissuto il sogno? E vissuti come emotivamente veri da noi che lo leggiamo? Ma il sogno lo ritroviamo anche nella musica: Mendelssohn col Sogno di una notte di mezza estate, Tchaikovsky col sogno preadolescenziale di Clara nello Schiaccianoci, e poi Il sogno d’amore di Liszt. Per non parlare del dolcissimo pezzo per piano di Schumann intitolato Sogno, ma quanti altri…

E l’aspetto onirico non può mancare nelle arti visive dove ogni quadro o statua racconta una storia, la storia di quell’autore, il suo mito personale, il proprio sogno dove però è possibile trovare espresse parti di noi. Il sogno inteso come mito personale diventa nella straordinaria capacità di trasformazione degli artisti, un mito sociale, del resto la psicoanalisi non è germinata da un mito? Dalla storia di Edipo, versione sociale del sogno appunto, Freud prenderà l’avvio per conoscersi e per conoscere il funzionamento della psiche umana. Tornando all’espressione visiva sarebbero a migliaia i lavori da citare dove, forse, le più evidenti manifestazioni oniriche si possono riscontare nei simbolisti, nei surrealisti. Ma come dimenticare Goya coi suoi Caprichos o il mondo stralunato di Bosch senza avere la sensazione di entrare in un sogno stravagante? Per non parlare dello splendido ed inquietante dipinto di Füssli intitolato appunto L’incubo.

Nel mondo dell’arte, la genialità degli autori ha saputo rendere con le parole, con la musica o con le immagini la misteriosità degli accadimenti psichici, in particolare ha saputo dare forma condivisibile all’informe, realizzando una costruzione simbolica tramite un sogno privato che, concretizzato nell’opera d’arte, si è tramutato in sogno collettivo che dà al genere umano la possibilità di rispecchiarsi, di riconoscersi e di vivere all’unisono l’emozione rappresentata.

In particolare, Bill Viola ha avuto l’intuito di mostrare con le sue installazioni il processo della nascita del pensiero, cioè il transito, il passaggio da sensazione od emozione grezza in immagine e poi in racconto. Le sue installazioni, infatti, si connotano per una lentezza nel movimento, che può sembrare esasperante, ma che rappresenta al ralenti il tempo necessario di questa trasformazione, una sorta di processo digestivo che avviene in noi, a livello inconscio e che, se presenta intoppi di qualsiasi natura, li segnala con i più svariati tipi di malessere psico-fisico.

Secondo Goriano Rugi: “È la lentezza della coscienza, quindi, che ci rende umani, che fa del pensare non la risposta automatica di un androide, ma il distillato di una storia, che porta con sé i profumi della memoria, e i segni, dolorosi, dell’assenza”; Paul Valéry scriveva ad un amico che tutta la psicologia sta “in quel ritardo… che avviene tra una cosa e … se stessa”, quello spazio che Lorena Preta definisce “lo spazio dell’attesa” suggerendo con questa bella definizione come la nascita del pensiero ripercorra il lento, maturativo processo della gestazione e del venire alla luce dell’essere vivente.

Bill Viola in The Greeting riproduce magistralmente questo movimento lento, ma estremamente significativo della tensione verso l’altro, rende percettibili dei piccoli movimenti che sarebbero altrimenti invisibili, dall’ondeggiare delle vesti, all’espressione del viso, dai gesti delle braccia all’incedere desiderante, un insieme di avvenimenti psico-fisici necessari, ma normalmente impercettibili che però sono funzionali all’evento, proprio come avviene nel processo di formazione e nascita del pensiero. Che questo evento abbia a che fare con la generatività lo dice anche il fatto che Viola prenda spunto dal quadro del Pontormo, La Visitazione, che racconta l’incontro tra Maria ed Elisabetta, due donne incinte, due donne che stanno portando al loro interno quel misterioso e stupefacente processo della gestazione, un evento eccezionale che avviene protetto, nascosto, all’interno del ventre materno di cui non si ha visione diretta della continua trasformazione in atto, ma che nella realtà accade realizzando un percorso di maturazione che naturalmente evolve. Simbolicamente le due donne gravide stanno per significare la gestazione del pensiero nel grembo-mente.

Bill Viola mostra proprio tutti questi micro-passaggi, le trasformazioni necessarie che avvengono nel grembo materno per dare vita ad un futuro neonato o nel grembo mentale per germinare un futuro pensiero.

L’artista incuriosito dagli avvenimenti intrapsichici ed interpersonali a cominciare dai propri, li studia dal punto di vista artistico e li traspone nelle sue sconcertanti installazioni, cercando di mostrare il nascosto, di rendere accessibile l’impensabile, di rendere manifesto il segreto dei movimenti psichici; in pratica le sue sequenze, che seguono un tempo dilatatissimo, il tempo della germinazione, sembrano riprodurre e il processo trasformativo del sognare la realtà e, soprattutto, ci aiuta a capirlo, a renderlo rappresentabile, quindi pensabile. Quindi l’opera d’arte non tanto da interpretare, ma da interrogare perché ci aiuti a significare la realtà, proprio come il sogno dà significato al reale.

Questa funzione del sognare, che avviene indipendentemente dalla nostra volontà e opera sia di giorno che di notte, ci permette di stare nella realtà assorbendone gli urti dolorosi e dando loro una forma, un’immagine proprio come avviene nei sogni notturni.

Questa incessante attività metabolizzatrice riguarda la possibilità di rendere possibile l’incontro col bello e col brutto della vita e come sibilano le streghe del Macbeth “il brutto è bello e il bello è brutto”, siamo al cospetto del sublime dove il meraviglioso e il terrifico coesistono, ed entrambi necessitano di essere pittografati per renderli accessibili alla mente.

E questo Bill Viola lo sa, infatti, le sue installazioni riguardano la condizione umana tout-court e, a partire dal dolore, tutte le emozioni sono rappresentate, raccontate come in un caleidoscopio di colori; nei suoi video assistiamo muoversi emozioni dando così l’idea della loro dinamicità, della loro personalità, della loro vitalità, ciò che si muove è vivo, l’inerte è morto, è senza anima, non patisce, né gioisce, non è.

In particolare, dà rilievo alle emozioni primarie quali gioia, dolore, collera, paura, che come controcanto si rispecchiano nei colori primari, è da lì che parte l’esperienza del vivere per poi declinarsi in mille altre possibili sfaccettature e declinazioni che compongono il misterioso, cangiante, sublime mosaico della vita.