Nel panorama delle discipline demo-etno-antropologiche del Novecento italiano, Ernesto de Martino1 occupa un ruolo centrale per aver indagato i fenomeni culturali considerati “al margine” con strumenti rigorosi e innovativi. Tra le sue opere più significative, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo (1948) rappresenta un punto di svolta nella comprensione della magia non più come residuo arcaico o patologico, ma come tentativo umano di far fronte alla crisi dell’esistenza e della presenza nel mondo. In questo testo, de Martino inaugura una lettura della magia come “tecnica culturale” volta a garantire la stabilità dell’“esserci”, ossia della capacità dell’uomo di affermarsi come soggetto consapevole e attivo in un orizzonte spesso minaccioso.
Questo articolo si propone di offrire un’analisi sintetica ma approfondita del testo, ricostruendo il contesto storico e teorico in cui esso è stato concepito, esaminandone i concetti fondamentali e discutendo l’eredità che Il mondo magico ha lasciato all’antropologia e al pensiero contemporaneo.
Contesto storico e culturale
Il mondo magico nasce nel secondo dopoguerra, in un’Italia attraversata da profondi sconvolgimenti culturali e politici. La crisi delle ideologie, la disgregazione delle certezze tradizionali e la necessità di ripensare il ruolo dell’uomo nella storia costituiscono lo sfondo teorico su cui si muove il pensiero di de Martino. Egli avverte con urgenza la necessità di comprendere i fenomeni culturali non occidentali senza ridurli a mere “sopravvivenze primitive”, come spesso aveva fatto l’etnologia ottocentesca, ma restituendo loro una piena dignità storica e filosofica.
In questo senso, la magia, da sempre marginalizzata nei discorsi scientifici occidentali, viene rivalutata come forma culturale significativa: «non tanto superstizione da superare, quanto risposta funzionale a determinate crisi della vita individuale e collettiva» (De Martino, 1948, p. 12). De Martino si inserisce così in un clima culturale che, da Lévy-Bruhl a Malinowski, cerca di superare l’eurocentrismo e di comprendere le logiche interne delle culture “altre”.
La sua prospettiva è però originale: la crisi di presenza, secondo l’autore, non è un problema delle “culture primitive”, ma una possibilità universale dell’esperienza umana. L’uomo, infatti, è sempre esposto al rischio della perdita di sé – un rischio che la magia cerca di neutralizzare attraverso il rito, l’evocazione, la parola magica. Il pensiero magico, in questo quadro, diventa una modalità per affermare la propria “presenza” nel mondo, un modo per scongiurare l’annullamento esistenziale. È in questa direzione che si sviluppa l’intero impianto teorico del libro, che andrà successivamente ad alimentare anche le opere più mature dell’autore, come La terra del rimorso e La fine del mondo.
Struttura dell’opera e concetti fondamentali
L’opera Il mondo magico si articola in tre grandi sezioni, corrispondenti a una progressiva chiarificazione teorica del fenomeno magico. Nella prima parte, de Martino affronta “il problema dei poteri magici”, interrogandosi su come la magia sia in grado di influenzare, trasformare o controllare la realtà secondo la logica delle culture che la praticano. Qui emerge con forza l’idea che la magia non sia una forma di pensiero “pre-logica”, come aveva sostenuto Lévy-Bruhl, ma una modalità razionale e sistematica di risposta a crisi concrete dell’esistenza.
Il fulcro teorico del libro risiede, tuttavia, nella seconda parte, intitolata significativamente Il dramma storico della presenza. È qui che de Martino introduce il concetto cardine di “presenza”, intesa come la capacità del soggetto di essere pienamente in atto nel mondo, di dominare le situazioni critiche senza essere travolto da esse. Quando questa presenza vacilla – di fronte a lutti, malattie, pericoli, cambiamenti – l’individuo rischia di “uscire da sé”, di cadere nella confusione o nel disorientamento psichico. È in queste zone di confine, in cui l’esserci è messo in discussione, che interviene la magia come dispositivo simbolico e culturale capace di ristabilire l’equilibrio.
Il rito magico, secondo de Martino, funziona come una “forma di controllo culturale della crisi”: attraverso formule, gesti, parole sacre, esso ricostruisce una narrazione del mondo in cui il soggetto ritrova la propria posizione e la propria forza. In questo senso, la magia viene ridefinita come “tecnica della presenza” – un sapere pratico e simbolico che consente all’uomo di “esserci” là dove la sua esistenza rischia di frantumarsi. Infine, nella terza parte dell’opera, de Martino analizza criticamente il trattamento riservato al magismo dalle principali scuole etnologiche. Egli denuncia la tendenza dell’antropologia classica a vedere nella magia una forma “infantile” del pensiero umano, proiettando su altre culture una visione evoluzionistica e gerarchica della storia. Al contrario, il suo approccio storicista e fenomenologico permette di leggere la magia come risposta specifica a esigenze esistenziali che appartengono all’intera umanità.
Contributi teorici e limiti dell’opera
Il contributo principale de Il mondo magico risiede nella sua capacità di riformulare radicalmente il concetto stesso di magia, sottraendolo alla marginalità epistemologica e riconoscendolo come una dimensione strutturale dell’esperienza umana. Ernesto de Martino, con uno stile filosofico-antropologico originale, propone una visione della magia non più come residuo patologico di un passato da superare, ma come risposta efficace a una crisi originaria: quella della “presenza”. In questo senso, la magia è una costruzione culturale dotata di logica interna, che permette all’essere umano di ricollocarsi nel mondo quando la sua esistenza rischia di dissolversi. Il rito magico, lungi dall’essere un gesto irrazionale, assume allora il valore di un atto “razionale nel suo contesto”, in quanto riorganizza il rapporto tra soggetto e realtà, tra interiorità e orizzonte simbolico.
Un altro aspetto di grande rilievo teorico è l’adozione di una prospettiva interdisciplinare. De Martino unisce all’analisi antropologica elementi tratti dalla filosofia esistenzialista, dalla psicologia, dalla storia delle religioni e dalla fenomenologia. La categoria di “presenza”, ad esempio, risente fortemente dell’influenza heideggeriana, ma viene tradotta in un’ottica storicista, dinamica e “drammatica”, tipica del pensiero meridiano italiano. Questa apertura teorica consente a de Martino di costruire una piattaforma concettuale ancora oggi attuale per comprendere il funzionamento simbolico delle culture.
Tuttavia, non mancano alcune criticità. Innanzitutto, il concetto di “presenza” risulta talvolta ambiguo e difficilmente definibile in termini operativi. La sua forza evocativa rischia di indebolirsi nella mancanza di una chiara distinzione tra dimensione psicologica, ontologica e culturale. Inoltre, sebbene de Martino critichi l’eurocentrismo dell’etnologia ottocentesca, il suo sguardo rimane in parte segnato da una concezione evolutiva della storia: il magismo viene collocato in una fase “arcaica” dell’umanità, rispetto alla quale l’Occidente moderno avrebbe compiuto un “riscatto della presenza” più maturo.
Infine, l’opera, pur fortemente innovativa, riflette ancora un’impostazione in parte idealista e filosofica, che la distingue da una moderna etnografia sul campo. In effetti, i dati empirici utilizzati da de Martino non derivano da osservazioni dirette (come avverrà nei suoi lavori successivi), ma da fonti secondarie e letterarie. Nonostante ciò, Il mondo magico segna una svolta fondamentale nel pensiero antropologico italiano, aprendo la strada a una concezione umanistica e storica della cultura, che avrà sviluppi importanti nella scuola demartiniana e oltre.
Conclusione
Il mondo magico di Ernesto de Martino rappresenta un’opera fondativa per lo studio del rapporto tra cultura, crisi e soggettività. In un contesto storico segnato dalla disgregazione delle certezze moderne, de Martino elabora una visione della magia come strumento simbolico e rituale con cui l’uomo tenta di salvaguardare la propria “presenza” di fronte al rischio del nulla, dell’assenza, del crollo esistenziale. Questo approccio, al tempo stesso filosofico, antropologico e storico, ha il merito di restituire profondità e dignità a fenomeni spesso considerati marginali o irrazionali, superando il pregiudizio evoluzionista che li collocava ai confini del pensiero occidentale.
Pur presentando alcuni limiti – come la vaghezza teorica di certi concetti o l’assenza di un’indagine etnografica diretta – l’opera anticipa questioni oggi centrali nelle scienze umane: il rapporto tra individuo e contesto, il ruolo dei simboli nella gestione dell’angoscia, la funzione del rituale come spazio di rielaborazione collettiva delle crisi. In un’epoca segnata da nuove forme di “assenza di sé” – pensiamo al disagio psichico, alla solitudine digitale, alla perdita di orientamento sociale – la lezione demartiniana appare quanto mai attuale.
Rileggere Il mondo magico oggi significa interrogarsi su quali “magie” moderne l’uomo metta in atto per continuare a esserci, per non dissolversi nel vuoto di senso. E significa anche recuperare una visione della cultura non come sistema statico di norme, ma come “dramma storico della presenza”, in cui l’umanità si inventa continuamente, si perde e si ritrova.
Note
1 Ernesto de Martino è stato uno storico delle religioni ed etnologo meridionalista italiano (Napoli 1908 - Roma 1965). A lui si devono un'interpretazione storicista delle manifestazioni religiose e alcune innovative ricerche nel Meridione basate sull'osservazione partecipante e sul lavoro di équipe interdisciplinari. Allievo di A. Omodeo, fu prof. di storia delle religioni nell'univ. di Cagliari. La sua interpretazione storicista delle manifestazioni religiose, basata su di una formazione filosofica di diretta derivazione crociana, è in netta opposizione alle varie teorie di matrice funzionalista ritenute viziate da un'impostazione naturalistica. De M. cercò anche di avviare una "storiografia delle società inferiori", che permettesse un approfondimento della conoscenza della civiltà moderna mediante il confronto con quelle tradizionali. Egli individua il prodursi del sacro nel superamento dei "momenti critici dell'esistenza", ovvero delle crisi in cui, specie per quel che riguarda il mondo etnologico, è minacciata la presenza stessa (intesa come centro operativo del pensare e dell'agire umani). Tale superamento viene operato mediante l'iterazione rituale di un modello mitico originario, che sottrae quei momenti alla loro storicità. Coniugando la tradizione storicista con istanze di matrice etico-sociale marxista, l'opera di De M. costituisce una sintesi affatto originale nell'etnologia italiana, che ha ispirato e continua a ispirare numerosi studiosi nei campi limitrofi della demologia, dell'etnomusicologia e dello studio della religiosità popolare. Tra le sue opere sono: Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941); Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo (1948); Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958); Sud e magia (1959); La terra del rimorso (1961); Furore simbolo valore (1962); La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali (post., 1977).
2 Bisogna rilevare che questo testo ebbe più importanza all’estero che in Italia. Furono soprattutto i testi successivi ad attirare l’attenzione del mondo accademico italiano, che di fatto non ha mai capito in pieno la portata rivoluzionaria, nell’ambito degli studi demo-etno-antropologici, del “mondo magico” di De Martino.
Bibliografia
De Martino, E., Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino 1948 (rist. ed. 2022).
De Stasio, B., Abracadabra, conosciamo il mondo magico, La Testata Magazine, 2022.
Limatola, D., Il «dramma storico della presenza» nel «Mondo magico» di Ernesto De Martino. Concetto e genesi, IRSAF, 2018.
Pàstina, R., Le realtà magiche. Commento al II° capitolo de Il Mondo Magico, Rivista Sperimentale di Freniatria, 2006.














