Sono stata invitata dalla Scuola superiore di grafologia di Roma al Convegno del 7 Novembre Scrittura & Grafologia ed è stata l’occasione per riflettere sul tema. Non essendo esperta di grafologia anche se affascinata dalla materia e dai relatori che hanno partecipato all’incontro - mi sono concentrata sulla scrittura.

Essa è un mezzo di comunicazione relativamente recente rispetto alle incisioni rupestri dell’Homo Sapiens. Le pitture rupestri più antiche del mondo trovate in Indonesia, si possono far risalire a un’epoca compresa tra i 35.000 e i 44.000 anni fa, mentre la scrittura nasce circa 5.500 anni fa in Mesopotamia.

Essa per esprimersi necessita di un linguaggio, ossia una serie di simboli che trasmettono informazioni con identico valore per gli individui di uno stesso ambiente socio-culturale.

E nell’atto della scrittura ognuno di noi trasfonde le sue emozioni, le sue paure, i suoi limiti, la sua apertura o la sua chiusura mentale, come gli esperti grafologi rilevano. Attraverso di essa si fa chiarezza nel proprio mondo interiore affrontando le proprie ombre. Tutti scriviamo, o abbiamo scritto, e il gesto dello scrivere - così come il segno lasciato sulla carta - è il nostro segno distintivo, il percorso fisico e metafisico che ci ha condotto alla realtà del momento.

Lo scrittore utilizza la scrittura come principale strumento di comunicazione.

Cosa vuole trasmettere ai suoi lettori?

Principalmente non si preoccupa di scrivere per gli altri, ma sperimenta le infinite parti di sé, indaga i suoi conflitti inconsci, osserva le sue zone d’ombra e di pari passo effettua una lettura dei significati possibili della vita, del cosmo, di altri universi, dei mondi visibili e di quelli invisibili. La narrazione è un metodo di psicoterapia individuale e può esserlo anche di psicoterapia collettiva. Infatti, il percorso che spesso traccia uno scrittore può fornire una via per la conoscenza di sé anche ai suoi lettori, ognuno in maniera diversa poiché il significato della scrittura arriverà ad ogni lettore filtrato dai suoi bisogni e dalla sua personalità. Rivelando a ognuno la propria realtà, la scrittura conduce quindi ad un disvelamento del libro del mondo anche per chi legge.

Quando gli scrittori sono guidati dall’ispirazione, la narrazione trasmette una lettura multilivello della realtà. A volte l’opera si costruisce interamente nel campo della fantasia e della magia. Chi scrive fiabe come me si situa in questa dimensione, racconta le storie completamente connesso alla natura e alla profondità di sé perché nella fiaba sono racchiusi valori che la rendono completamente ecologica. Per la presenza di tutta quella pletora di elementali della natura che popola l’universo fiabesco: fate, janas, gnomi, folletti, nanetti, silfidi, ondine, ninfe, naiadi, driadi, salamandre, troll e così via. Insomma di tutte quelle creature del "Piccolo Popolo" che nascono da uno dei quattro elementi costituitivi della Natura (Terra, Acqua, Fuoco, Aria). Narrare una fiaba entrando in contatto con gli spiriti della natura, personificando le piante, i luoghi, gli animali, le pietre e gli oggetti, aiuta il lettore a non considerare l’ambiente e l’Uomo stesso come qualcosa di inutile, ma un luogo vivo che alimenta la vita, da rispettare e da preservare. La fiaba, inoltre, pone al centro del sistema l’uomo, la relazione con il migrante, ossia l’eroe disposto a partire per un viaggio, il viandante che esplora nuovi territori per ritrovare equilibri che nel suo territorio originario si sono perduti.

L’interazione poi con un illustratore – come è capitato a me soprattutto con Niccolò Pizzorno, illustratore del mio ultimo libro Mammoy (Editrice ‘dei Merangoli’, 2019) - che traduce la verità narrata nella sua personale interpretazione grafica, traccia spesso un romanzo nel romanzo, una fiaba nella fiaba, un valore aggiunto al pensiero espresso soltanto attraverso il linguaggio della scrittura. Questi artisti sono spesso bravissimi ad infondere nell’opera la loro visione del mondo accrescendo anche l’abilità dello scrittore grazie al loro talento interiore.

In passato scrivevamo esclusivamente per via grafica. Oggi scriviamo soprattutto con la tastiera perdendo il contatto con la penna, con la mano e con quella parte del cervello collegata al movimento della scrittura.

Talvolta uno scrittore può essere solo ‘scrivente’, altre volte anche ‘parlante’. Uno scrittore parlante riesce a spiegare anche oralmente quanto l’opera nasca da una serie di pensieri, collegamenti, letture, informazioni, sensazioni, da un coacervo di elementi multitasking che spesso giunge dall’inconscio.

La scrittura che raggiunge i maggiori vertici della poesia è solo in parte frutto di una strutturazione del testo e di un’idea di cui sono state tracciate le indicazioni per comporre l’opera. Spesso essa viene modificata strada facendo per il suggerimento di un amico-lettore, per una sincronicità che si coglie nel corso del lavoro, perché a un tratto risulta interessante sviluppare parallelamente un altro tema o anche per suggerimento degli editor e delle case editrici. Per essere coinvolgente lo scrittore dovrebbe affidarsi al flusso interiore, alla capacità di leggere il contesto, al piacere di narrare. Nell’atto dello scrivere si raggiunge spesso una sorta di piacere erotico, si entra in catarsi con la storia raccontata e con la parte sublime del messaggio trasmesso. Quanto tutto fluisce con intensità ci sono momenti nei quali è possibile l’estasi, la piena visione di sé, la connessione totale con l’energia del mare, del cielo, delle piante, della natura, del paesaggio, del cosmo intero. A me questo è capitato spesso ma soprattutto nelle mie fiabe con i personaggi di Catorchio, Cletus e Kalika.

La comunicazione dello scrittore vero non è mai solo razionale e nemmeno retorica, fatta cioè di uno scritto perfetto nella composizione e nel rispetto delle regole grammaticali e magari anche con uno stile elegante e raffinato, ma senza la capacità di affidarsi al proprio materiale inconscio e al libro del mondo che abbiamo sempre davanti agli occhi, si produrrà un libro ben costruito, ma non un’opera d’arte.

Nasce talvolta un capolavoro se il libro trasmette dei messaggi universali interessanti per diverse categorie di lettori. E può essere scritto da un giovane scrittore o da un’autodidatta, non necessariamente da un intellettuale, anzi spesso lo scrittore esperto non arriva all’anima delle persone che leggono ma solo al loro intelletto. Ci vuole soprattutto la capacità di accogliere i personaggi, che sono parti differenti di chi scrive che devono essere integrate – come nelle fiabe, il principe e la principessa, ossia il maschile e il femminile, le due sorelle, i due fratelli –, quella parte diabolica che rappresenta l’ombra da affrontare.

Noi siamo stati educati dai film americani nei quali la società è immersa in un mondo irreale e, di solito, i protagonisti della vicenda conducono una vita perfetta, fatta di un quotidiano scontato e legato all’avere piuttosto che all’essere. Durante i periodi più difficili della mia vita ho trovato più verità in opere come Anna Karenina o Scene da un matrimonio di Bergman.

Anna Karenina è un personaggio complesso, pieno di distruttività. Indipendentemente dalla passione che la travolge e dalle scelte che effettua il personaggio – poco in linea con le convenzioni sociali dell’epoca –Tolstoj in questo romanzo esamina la realtà vera della coppia, che sia quella tra Anna e Karenin, tra Levin e Kitty, oppure la passione travolgente tra Anna e Vrònskij. Sono tutte realtà possibili, nessuna è migliore dell’altra, nessuna deve essere sottoposta a giudizio, ogni personaggio ha la sua ragion d’essere e la sua verità interiore. Si tratta di attivare quell’osservatore interiore che sa guardare sia il buono e giusto sia il diabolico e ingiusto, ma anche l’eccesso e le sue conseguenze. Quanti di noi leggendo l’opera si sono schierati a favore di Karenin? Oppure siamo stati tutti in ansia per Anna, seguendone i palpiti, le difficili scelte, il tormento e gli intensi pensieri? Forse l’avremmo voluta salvare, avremmo voluto che il suo amore trionfasse. Qualsiasi cosa noi avessimo voluto o non voluto, è lei che resta indelebile nelle nostre menti e nel cuore.

Avete mai letto Oblomov di Goncarov? Anche in questo caso, come si può non essere a fianco di Oblomov e della sua proverbiale pigrizia? È questa la sua grandezza, la consapevolezza di una grande immensa pigrizia, una pigrizia che ci fa venire voglia di prenderlo per mano e assisterlo. La sua pigrizia non è sterile, ma una sorta di ozio creativo illuminato che avvolge il corpo in una lunga meditazione spensierata.

Uno scrittore deve essere in grado di creare personaggi complessi capaci di portare all’estremo ogni loro pregio o difetto.

Del resto, che cosa è buono o cattivo? Chi stabilisce il limite? Chi può definire chiaramente i contorni del bianco e del nero?

Un vero scrittore osserva i personaggi solo per curiosità e non per stabilire colpe, responsabilità, giudizi e pene.

Ogni storia è un viaggio, ogni personaggio è un eroe che compie un movimento, e tutti questi personaggi, tutti questi viaggi, tutti questi incontri non fanno altro che comporre quell’essere dentro di noi che i grafologi sono capaci di individuare scrivendo di ogni firma un resoconto della sua personalità e della sua essenza, un vero e proprio viaggio nella sua realtà interiore.