Beato, l’Angelico, che, ovunque egli sia, come si dice oggigiorno di chi è morto, assapora una popolarità da divo.

Guido di Pietro (Vicchio di Mugello 1395 circa - Roma 1455), detto Guidolino, divenuto domenicano da adulto con il nome di Giovanni da Fiesole, poi Angelico per lo stile celestiale della sua pittura, beato a voce di popolo prima che la Chiesa lo proclamasse tale, nel 1982, pontefice Giovanni Paolo II, ovunque egli sia, non si seccherà se accenniamo un breve ritratto di Carl Brandon Strehlke, curatore dell’esposizione con Angelo Tartuferi, per il Museo di San Marco, e Stefano Casciu, direttore regionale Musei nazionali Toscana.

Si staglia sul blu azzurrite, sul blu lapislazzuli, sull’oro dell’Angelico, con la figura alta dell’americano elegante, quello alla Hollywood che dava certezze, non turbamenti, e fa conferenze, visite guidate, accoglie presidenti della Repubblica, parla con la BBC, con RAI Radio3, finisce sul New York Times e su ogni giornale del globo, riceve i meritati elogi, come fa sempre: con un brio spontaneo, coltivato per fronteggiare le avversità, culminante in una caratteristica risata che, se conosciuta, si vorrebbe sempre risentire. Carl Brandon Strehlke, curatore emerito del Philadelphia Museum of Art, è illustre, illustrissimo e simpatico, simpaticissimo.

Nel catalogo edito da Marsilio Arte, chiarisce subito il ruolo dell’Angelico: “Nel 1970, in un meraviglioso saggio intitolato Il beato propagandista del Paradiso, Elsa Morante si chiedeva: ha partecipato Guido di Pietro, alla rivoluzione? Si riferiva alla rivoluzione delle arti durante il Rinascimento. In questa mostra intendiamo affermare che sì, Fra Giovanni vi ha partecipato”.

“Racconto un po’?”.

Magari.

Nel 2019 ho fatto quella mostra al Prado che ha avuto un certo successo. Arturo Galansino, il direttore di Palazzo Strozzi, che ha iniziato la sua carriera al Louvre e che conosco da quando era un giovanotto, mi ha chiesto se pensassi possibile una mostra di Beato Angelico a Firenze.

Ci abbiamo lavorato oltre quattro anni (140 opere, settanta prestatori n.d.r) ed è stato divertente anche perché Palazzo Strozzi ama molto collaborare con altre istituzioni fiorentine, per Donatello e Verrocchio con il Bargello, in questo caso con San Marco dove c'è la parte curata da Angelo Tartuferi sugli esordi di Angelico, oltre ai libri miniati.

Una delle opportunità è stata quella di portare alcune opere di San Marco nello spazio molto più grande di Palazzo Strozzi e di esporle in un altro contesto, accanto a prestiti nazionali e internazionali. L’aspetto che mi interessa, in questo movimento di pochi metri, è che alcuni fiorentini, anche persone coinvolte nel mondo dell’arte, chiedono: "Questo dipinto da dove viene?”.

E viene dal Museo di San Marco…

Quindi la mostra è un po’ un successo: prova che proponendo un percorso diverso, si riesce a far apprezzare le cose in una nuova maniera. Quando vengono visitatori da fuori, i fiorentini non pensano di portarli a San Marco. Ed è un peccato perché è un luogo bellissimo e anche molto particolare. Angelico personalizza gli affreschi delle celle dei confratelli, ognuno è just for you, non come un immenso affresco di una chiesa destinato alla schiera dei fedeli.

I francesi adorano San Marco. C'è qualcosa fra i francesi e il blu del Beato Angelico… Ovviamente sono mie impressioni, non ho le cifre.

L'altra cosa che dimostra il successo della mostra è che sono tutti estasiati, hanno una reazione spirituale. Una persona, che conosco appena, all’uscita, è rimasta senza parole. Un’altra mi ha citato la poesia Sufi, esempio mistico splendido. Spesso mi parlano dei silenzi di Angelico. I visitatori sono talmente numerosi che di silenzio ce n’è poco (ride n.d.r.). Forse andando a San Marco si immagina il silenzio del convento, la vita dei frati, la loro pratica di preghiera. Certo non chiacchieravano mentre passavano al lume di candela davanti all’Annunciazione per la Liturgia delle ore.

Io sono un po’ perplesso perché penso all’Angelico pittore, lo osservo da un punto di vista più pratico, storico: la ricostruzione delle pale smembrate, gli importanti restauri eseguiti. O il suo farsi domenicano: credo che ci fossero ragioni religiose ma anche di carriera artistica.

Questa reazione mi fa piacere, ma la trovo difficile da spiegare.

Hai fatto un’ipotesi?

Non ci riesco. Sai, io sono proprio troppo di educazione puritana.

Pio XII nel 1955 inaugurò la mostra di Angelico al Vaticano e scrisse un discorso molto intelligente, trovando una spiegazione convincente per questo senso spirituale che io non sento. Si capisce che aveva guardato bene i dipinti del pittore sulle monografie, aveva lì la Cappella Niccolina, ma descriveva anche opere che non sono in Vaticano e, mi sono informato, scriveva di suo pugno i discorsi, poi li faceva leggere a dei preti o dei professori dell'Università Pontificia Gregoriana per controllare i fatti. Parla dei tempi difficili del Rinascimento, sicuramente erano difficili i suoi con la Seconda Guerra Mondiale, tra l’altro, era uno che alle 3 del mattino non dormiva ed è stato criticato per l’atteggiamento verso gli ebrei durante il Fascismo.

“I suoi racconti sono semplici e lineari, modellati quasi sullo stile degli Evangelisti – scrisse Pio XII–. I suoi personaggi rivelano sempre un'intensa vita interna, dalla quale i volti, i gesti, le movenze restano trasfigurati. Narrando o mostrando al popolo i divini misteri, egli si comporta da accorto «predicatore», qual era, cercando di suscitare un'immediata ammirazione con gli elementi descrittivi e decorativi, per poi parlare più pacatamente all'intimo dell’anima”.

A me è piaciuta molto l’idea di Pio XII: insomma Fra Giovanni fa un racconto diretto nel quale chiunque può mettersi dentro.

Con gli Amici della Musica di Firenze hai organizzato un concerto legato alla mostra.

Sì, ho un amore per la musica. Anche Beato Angelico lavorava per la musica miniando i grandi corali (esposti al Museo di San Marco). Doveva andare in coro con i suoi confratelli per tutte le Liturgie delle ore. Cantava i salmi da corali miniati da lui e davanti a pale d’altare anch’esse dipinte da lui.

Nel programma del concerto c’è una nuova commissione a Marko Nikodijevic, compositore serbo residente in Germania, per violoncello ed elettronica. Interpreti il violoncellista Francesco Dillon, amico di vecchia data, e lo stesso Nikodijevic.

Angelico nel suo tempo?

La più grande fonte per il primo Rinascimento, che ci spiega un po' che succedeva a Firenze negli anni del Quattrocento quando lavorava Angelico, è certamente Leon Battista Alberti che non cita il nostro artista ma, nel suo trattato De Pictura, spiega il processo della prospettiva, della composizione e menziona Masaccio morto prematuramente, però, prima che Alberti arrivasse a Firenze. Angelico dovette confrontarsi sul piano artistico con lo straordinario Masaccio del quale va considerato uno spirito artistico complementare.

Era inoltre in costante dialogo con gli altri grandi suoi contemporanei, Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti, Donatello, Luca della Robbia e Filippo Lippi, frate anche lui, ma più giovane e dell’ordine carmelitano. A Fiesole Angelico avviò una prolifica bottega che produceva pale d’altare non solo per la chiesa del suo convento ma anche per altre dell’ordine domenicano e per molti committenti esterni, sia laici sia religiosi.

In mostra ci sono ricostruzioni di pale d’altare smembrate da duecento anni.

Nel periodo napoleonico, tante delle pale d’altare di Angelico furono smontate e disperse. Uno degli scopi della mostra era quello di riunire numerose parti superstiti di quelle commissionate da Palla Strozzi per Santa Trinita, da Cosimo e Lorenzo de’ Medici per San Marco, dalla compagnia di San Francesco, detta “del Martello”, per Santa Croce e da committenti femminili: le suore domenicane osservanti per il convento di San Pietro Martire e la nobildonna Elisabetta Guidalotti per San Domenico a Perugia. Quanti studi per comporre il puzzle! Siamo stati fortunati, specialmente con la Pala di San Marco.

Oltre al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, hai accompagnato personalmente parecchi visitatori?

Sì, bello è andare con gli artisti. Due giorni fa ero con Ileana Florescu e Luigi Ontani. Il regista Mario Martone è venuto quando era a Firenze per allestire il Macbeth al Teatro del Maggio, con Ippolita Di Majo, sua moglie, storica dell’arte, e grande amica mia, e il regista siciliano Roberto Andò.

A loro la mostra è piaciuta molto ed essendo due registi e una sceneggiatrice, l'hanno guardata da narratori che devono pensare sempre a mettere in scena un episodio. Per me è stata un’esperienza singolare. Hanno osservato con attenzione soprattutto la predella dei Santi Cosma e Damiano sotto la Pala di San Marco. Le scene della Madonna e della vita di Cristo, infatti, sono più tradizionali, si riconoscono subito. Mentre per i santi, Angelico ha dovuto inventare come dipingere il racconto scritto. E hai presente Brian Donnelly KAWS?

L’autore dell’installazione site-specific nel cortile di Palazzo Strozzi.

Sì. Ha realizzato The Message, una specie di Annunciazione. Lui è un artista molto commerciale, lavora con Uniqlo, Roger Federer, fa graffiti, vive a Brooklyn. È diversissimo da Angelico! Non conosce l’Italia, è venuto tre volte per due giorni: per vedere lo spazio di Strozzi, andare a Venezia e a Murano dove ha incontrato un vetraio forse perché aveva bisogno di un aiuto professionale. Allora: Angelico ha conquistato anche lui. Vuol dire che fa veramente presa su tutti.