Le domande non sono mai mancate, le risposte spesso sì. Anche perché quelle evasive, palesemente errate e/o volte a riempire il silenzio -semplicemente-non contano!

Dai bambini, con la loro ripetuta richiesta del perchè, così diversa dalle nostre interazioni con i motori di ricerca, se siamo comuni mortali dotati di smartphone, oppure con l’”intelligenza artificiale”, nel caso ci ritenessimo più evoluti e quindi desiderassimo affrancarci dalla “stupidità naturale”, che ovviamente riguarda gli altri e solo loro… Tutto ciò è talmente importante e gravoso da far impallidire Simon Sinek, il cui “perchè” al confronto sembra non aver “inventato” o “scoperto” nulla… Ma anche a noi adulti le “curiosità” non mancano, così come le risposte. Queste, infatti, latitano. I bei tempi, infatti, quelli in cui ad ogni domanda corrispondeva una ed una sola risposta, sono definitivamente tramontati.

Se qualcuno, non io, lo preferisce, tali risposte -chiare e univoche- sappia che, purtroppo, sono rimaste tali solo quelle nei telequiz, dove peraltro la scelta, in modo del tutto casuale, avviene tra più opzioni, una peggio dell’altra ma tutte credibili! Anzi, i concorrenti non sono più tenuti ad essere esperti di qualcosa, poco importa l’argomento, erano accettati gli argomenti più bizzarri – che quindi potevano destare maggiore interesse- mentre oggi il caso la fa da padrone. Al posto delle persone preparate di un tempo -in questa sede non ci interessa il senso di tale conoscenza, generalmente solo nozionistica- abbiamo un -o il?- vuoto. Come altro definire la scelta dei concorrenti tra le diverse risposte possibili, delle quali una è naturalmente quella corretta, una è stravagante mentre le altre sono più o meno credibili?

Nessuno sprechi tempo ed energia -nemmeno gli psicologi ed i sociologi- nel cercare di darsi la risposta o per trovare un senso, tutto ciò è, infatti, completamente superato dall’evoluzione, davvero poco darwiniana, di tali spettacoli: l’assoluta casualità. I concorrenti candidati alla televincita sono, infatti, chiamati a scegliere, letteralmente “a scatola chiusa” tra le diverse opzioni, che si distinguono per il solo numero identificativo. Scatta a questo punto la razionalità che vorrebbe imporsi sul suo contrario, come se fosse possibile giustificare una risposta rispetto all’altra basandosi sul collegamento tra questi numeri e fatti avvenuti.

Con buona pace degli statistici, non si può non far notare come basare la scelta sul numero di un giorno -che come noto, a seconda dei mesi, varia da 28 a 31- pur se caro a qualcuno è illogico, per non dire di peggio, se le opzioni sono solo venti. Prova provata consiste nell’assoluta casualità del risultato! Forse chi punta sulla data di matrimonio e non ottiene soddisfazione dovrebbe divorziare… Meglio fece solo chi, da morto, non volle rivelare ai propri eredi i numeri da giocare… beffandoli ma soprattutto privandoli di una vincita certa...

Fatto spazio attorno a tale reminiscenza, possiamo “quasi liberamente” (o liberatoriamente?) ragionare sulla complessità delle cose, che -purtroppo?- non consente più risposte univoche, banali e chiare.

Ripartendo dai fondamentali, come sembrerebbe essere la cosa più sensata da fare, se non l’unica, non possiamo che iniziare dal principio di non contraddizione. Semplice fino alla banalità, è in realtà tutto ciò che ci rimane, forse addirittura necessario e sufficiente a dirimere la questione che ci siamo posti in apertura. Non è troppo diverso dal verificare la coerenza, anche se ciò riguarda aspetti fattuali che il discorso -e quindi le semplici domande- potrebbe non avere…

I maestri del passato innegabilmente sono stati capaci di influenzare l’intero mondo di cui facevano parte, lasciando un’eredità giunta fino noi che, inconsciamente, ancora ci comportiamo così. Il principio di non contraddizione è, infatti, uno dei principi fondamentali della logica classica e quindi della filosofia occidentale. Secondo questo non si possono affermare assunti che siano in contrasto. Banalmente la medesima cosa non può essere allo stesso tempo in un modo e nel suo contrario, ad esempio alta e bassa, lunga e corta e così via, dato che tali affermazioni ed i loro opposti non possono essere entrambi veri.

Chi ha avuto la fortuna di incrociare a scuola questi temi dovrebbe ricordare gli scritti di Aristotele e forse pure il “A non è non-A” di Parmenide. Altri, di formazione matematica, hanno affrontato e fatti propri gli stessi temi sintetizzandoli con la formula “A = A”, dato che una cosa è uguale a sé stessa mentre una differente non può che essere diversa e non vi è una terza possibilità. La forza di tale assunto ha dello straordinario, anche oggi che sembriamo aver rimosso ogni principio a base del nostro operato.

Vero che successivamente altri maestri del pensiero hanno introdotto logiche “meno lineari” che tendono a mettere in discussione l’assolutezza del principio, ammettendo pure la coesistenza di elementi incoerenti senza che ciò comporti il collassare del discorso. Analogamente, vi fu chi affermò “Mi contraddico? Ebbene sì, contengo moltitudini”. La celebre frase è del poeta Walt Whitman, il cui successo è stato tale da finire riportata sulle tazze per la colazione, quasi come se il nostro problema fosse quello di assumere la colazione per metà dolce e per metà salata, contemporaneamente continentale e britannica… Beata cultura!

Quindi, tornando a noi? Le risposte agli interrogativi che ci vengono posti di continuo, ma soprattutto a quelli che ci poniamo da soli, possono essere orientate da qualcuno dei principi su cui si è argomentato? La risposta è scontata, certo che sì. Non è possibile, se non siamo comici professionisti o dilettanti comici involontari, esimerci dal dare risposte coerenti: alla domanda, ai contenuti della risposta e, se possibile, pure a noi stessi. Non è facilissimo ma neppure impossibile. In fondo basta partire da una sufficiente, se non buona, analisi del quesito, cui aggiungere una ragionata risposta, senza il timore del suono della campanella, non siamo al telequiz!

E l’incoerenza di cui si è detto? È ammessa, di certo, però ad un livello superiore rispetto a quello ordinario. Il rischio, infatti, è, come troppo spesso riscontriamo, che possa essere utilizzata per giustificare qualsiasi cosa… soprattutto quello che ci fa comodo, cui vogliamo dare una giustificazione plausibile, ovviamente oltre -ed anzi contro- ogni logica!

Semmai, più che discutere su coerenza ed incoerenza, andrebbe acquisito, e quasi messo a verbale, come in un mondo tanto complesso e complicato il dare risposte semplici, comprese quelle a domande apparentemente superficiali o comunque non tali da scalfire la protezione superficiale che sembra circondare persone, fatti e cose, magari pronunciando un quasi banale “sì” od un “no” rischia di non essere, come vorrebbe sembrare, “semplice e chiaro” ma soprattutto di non considerare la moltitudine dei fattori in campo.

È questo il motivo per cui, essendoci di fatto impossibile classificare un numero di casi tanto elevato da rasentare l’infinito, risulta pressoché impossibile accedere a qualche elenco, più o meno esteso, di risposte codificate tra cui scegliere quella più adatta. Che fare perciò? Premesso, ammesso che serva, come l’arrabbiarsi, disperarsi, imprecare o altro non serva alla causa, non rimane che prendere atto di come il riferirsi a casi che, per quanto simili o comunque raggruppabili in famiglie omogenee, presentano specificità più o meno macroscopiche, la risposta a quesiti non del tutto banali non può che considerare l’enorme numero di variabili in campo per giungere a definire, prima di scendere nello specifico dettaglio, con un solo termine: dipende.

Sempre di più sono i fattori in campo, tanto che quesiti e problemi apparentemente simili, se non identici, richiedono soluzioni taylor made, banalmente specifiche, perché rivolte a risolvere il singolo caso, cui danno una risposta non riutilizzabile in altre situazioni, pur se apparentemente simili.

Il lavoro da svolgere è pertanto sempre più ampio, anche per una risposta che fino a poco tempo avremmo ritenuto banale. D’altro lato è anche vero che gli strumenti a nostra disposizione sono in costante aumento, nel numero ma soprattutto nella capacità di aiuto. Il riferimento, come è ovvio che sia, è all’intelligenza artificiale, strumento capace di fornire analisi e risposte del tutto specifiche in tempo quasi reale ed a costi irrisori se non nulli.

In una sola parola, la risposta sembra essere, quanto meno di primo acchito, sempre la stessa: “dipende”. Nulla a che vedere con la canzonetta tormentone che ne ha fatto uno slogan sulla bocca di tanti, ma vera e propria interlocuzione volta ad approfondire la risposta, guadagnando tempo, giustificando ulteriori domande di approfondimento, utili all’elaborazione della risposta vera e propria. Questa non sarà immediata ma ponderata ed anche per questo otterrà l’attenzione cui non siamo più abituati.

La cosa non è troppo diversa dalla corrispondenza di un tempo, che anzi richiama. I più datati ricorderanno quando ci si scriveva tra parenti, fidanzati, amici e non solo. I tempi erano assolutamente dilatati, non solo per l’efficienza del servizio postale, che non è mai stato velocissimo. Noi, infatti, leggevamo e rileggevamo con la massima attenzione ogni riga ed ogni parola ma anche il non scritto, quello che si poteva leggere tra riga e riga e tra le parole… A seguire rispondevamo, preparando la “minuta” o “brutta copia”, da leggere e rileggere più e più volte, fino ad essere certi di non sbagliare, nei contenuti e nei modi!

Oggi tutto è cambiato, pur se non sono passati troppi anni, Annibale coi suoi elefanti se ne era andato da tempo, eppure il confronto con l’oggi ci richiede di considerare distanze siderali, temporalmente simili alle ere geologiche…

Come avviene, infatti, la comunicazione oggi? Dal punto di vista degli intervalli e della durata, senza dubbio in tempo reale. Nessun momento trascorre, infatti, tra la domanda e la risposta, l’interazione è continua, senza soluzione di continuità. Io stesso sono stato ripreso più volte per non aver risposto a messaggi od e-mail inviatemi cinque minuti prima… e non si trattava di saluti o convenevoli ma sarebbe stato necessario rispondere con contenuti di spessore.

Se passiamo alla qualità dei contenuti, come è noto, scendiamo a livelli che ritenevamo impensabili se non impossibili. Del resto, se riduciamo il tempo dedicato come potremmo avere il trasferimento di qualcosa di valore? A nessun tempo di lettura della domanda o del messaggio in ingresso, men che meno ci dedichiamo alla sua analisi ed allo stesso modo -quindi con la medesima velocità- ci dedichiamo alla risposta, senza altro che la fretta di liberarci dell’adempimento, come potremmo produrre qualcosa che valga, anche solo la lettura da parte dell’interlocutore? Chi non crede a quanto sopra o pensa si stia esagerando, rifletta -per un solo momento (!)- sul fatto che i messaggi non vengono nemmeno riletti prima dell’inoltro ma inviati di getto, salvo poi correggerli con un secondo invio, asteriscando la parte da sostituire.

Qualcuno desidera parlare delle sigle? Non c’è tempo nemmeno per salutare, figurarsi se scriviamo le cose per esteso. Il livello è talmente alto che potremmo e dovremmo imparare da quei programmi televisivi in cui, quando in difficoltà (e noi lo siamo sempre) si poteva comperare una vocale! Lo scopo e l’utilità delle “faccine” è lo stesso, sintetizzare concetti, che però sono e restano ambigui… al massimo rendono i messaggi colorati: straordinario!

Quale perciò il richiamo del più volte citato suggerimento ed il senso del proporlo qui e ora? Semplice, se accettiamo non a livello teorico -come se fosse qualcosa da raccontare o su cui argomentare- ma fattivo l’importanza, che può diventare necessità, di non rispondere più d’impulso per dare a chi corrisponde -non chatta!- con noi parte del nostro tempo e delle nostre energie al fine di instaurare di nuovo la comunicazione! Farlo sempre, anche quando dobbiamo solo scambiare ridotte informazioni, ci pone in un’ottica diversa, quella di chi ha rispetto per gli altri, ma pure per sé stesso.

Rasenta la banalità ma utilizzare come un gioco il “dipende” può davvero fare la differenza, “costringendoci” a riflettere, anche quando siamo di fronte alla scelta tra un “sì” od un “no”, perchè se la prima risposta, quella interiore, non necessariamente da esplicitare, è -appunto- “dipende”, la seconda non potrà che essere migliore. Non si dica che non c’è tempo o simili fandonie, evitare di tornare sui propri errori è, quantitativamente, un vero e proprio risparmio e, qualitativamente, molto di più!