Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest'ultimo non preservo me stesso.

(José Ortega y Gasset)

Qualche tempo fa mi soffermai sul tema dell’agricoltura, rispolverando un piccolo volume dal titolo I miti dell’agricoltura industriale. L’industrializzazione dell’agricoltura come causa della fame del mondo, pubblicato a Firenze nel 1977 dalla Libreria Editrice Fiorentina.

Già all’epoca era profonda la critica da parte di molti studiosi della materia, scienziati, agricoltori consapevoli di quel sistema di agricoltura, in piena espansione, basato su grandi apporti chimici, standardizzato per l’intero mondo agricolo occidentale ed esportabile nei Paesi in via di sviluppo. Ebbene, 43 anni dopo tale data c’è un grido dall’allarme che forse si ispira proprio a quel prezioso lavoro: un nuovo decalogo a cui si appellano ben 3600 scienziati1 per fermare la crisi climatica e la perdita della biodiversità del pianeta.

La comunità scientifica detta le dieci azioni chiave che la futura Politica Agricola Comunitaria (PAC) dovrebbe mettere in atto per dare una svolta ad una grave situazione di depauperamento della fertilità dei suoli (ormai meri supporti fisici per le piante con una ridotta percentuale di sostanza organica), di inquinamento di acqua, aria e suolo, dovuto a fitofarmaci, diserbanti - come il glifosato - e concimi chimici. A tutto questo va aggiunto che nell’ultimo cinquantennio c’è stata una scarsa attenzione al rispetto dei cicli naturali dei componenti più importanti del paesaggio quali: siepi, alberature e praterie che venivano e vengono ossessivamente ridotte con potature, abbattimenti, falciature spesso inutili, sconquassando tutto il sistema ecologico e la facendo scomparire insetti predatori, uccelli, macro e microfauna.

In questi mesi è in corso il dibattito sul prossimo periodo di finanziamento della PAC (2021-2027), in parallelo alle discussioni sul bilancio post 2020 dell’Unione Europea, incluso quanto andrà all’agricoltura e a quali condizioni.

Non dimentichiamo che la PAC è una politica di finanziamento agricolo (presente in Europa dal Trattato di Roma del 1957!) con un budget di 58,4 miliardi di euro all’anno, a partire dal 2019, vale a dire il 36% del bilancio totale dell'Unione Europea.

Gli ultimi due quinquenni di finanziamento, pur avendo sostenuto misure di incentivo rivolte al cosiddetto “green”2 in agricoltura, tra cui sostegni a chi introduce siepi campestri, chi pratica agricoltura integrata (mirata cioè alla riduzione dell’uso di fitofarmaci), contributi all’agricoltura biologica, dall’altra parte non è mai stato fatto divieto all’uso di molti pesticidi e diserbanti, i maggiori responsabili dell’inquinamento e delle gravi conseguenze sulla salute di molti abitanti che risiedono nelle zone ad agricoltura intensiva.

Le misure agroambientali-climatiche, i pagamenti per l'agricoltura biologica e i siti Natura 2000, costituiscono solo 3,5 miliardi di euro del budget totale e sono risultate efficaci a detta dello studio a cui qui si fa riferimento.

Quindi secondo molti ricercatori si è trattato di una politica “schizofrenica” che ricompensa i virtuosi con misure cosiddette di eco-condizionalità (nel gergo tecnico) con premi alla produzione ma non limita o impedisce l’inquinamento dovuto alla maggioranza degli imprenditori agricoli che usano pesticidi e diserbanti. Sono almeno 240 gli scienziati italiani, in aggiunta a quelli di 36 paesi, a dichiarare che l'attuale PAC è tra i fattori principali che hanno condotto all'odierna emergenza climatica e alla perdita della biodiversità, oltre ad aver fallito sugli obiettivi socio-economici per le aree rurali.

Gli studiosi assicurano che “è proprio dalla futura PAC che si può e si deve ripartire per trovare una soluzione a queste crisi ambientali. La ricetta per la transizione ecologica dell'agricoltura prevede una PAC che smetta di finanziare pratiche distruttive, ponendo immediatamente fine ai sussidi alla produzione e sopprimendo gradualmente i pagamenti diretti basati solo sul possesso della terra, aumentando al contempo, in modo significativo, il sostegno alla transizione degli agricoltori verso un'agricoltura più sostenibile e rispettosa della natura.”

Ma cosa significano effettivamente questi due termini? Per troppi anni (dal 1992 esattamente) si parla di sostenibilità ambientale e di biodiversità, come concetti da tenere in massima considerazione in tutti i protocolli, disposizioni di legge e misure programmatiche dei governi ma che poi rimangono sulla carta e non viene messo a punto un reale cambiamento.

Gli interessi delle grandi aziende produttrici di concimi, sementi e fitofarmaci, con il loro enorme potere economico ostacolano questa inversione di rotta e ciò va a svantaggio dell’intera umanità. Nessuna misura, nessun incentivo da parte della politica, a partire dagli anni Ottanta, quando era già chiaro il danno ecologico planetario, per far riconvertire queste multinazionali a produzioni di concimi di origine organica e non più solo chimica a partire da un’unica fonte: il petrolio3.

L’Ecological British Council si dice preoccupato per gli attuali tentativi di stemperare l'ambizione ambientale della futura PAC e per la mancanza di proposte concrete per migliorarla nel progetto del Green Deal Europeo. Chiede quindi al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione di adottare 10 punti d'azione urgenti per fornire una produzione alimentare sostenibile, conservazione della biodiversità e mitigazione del clima. L’articolo di People Nature, a cui vi rimando in nota per eventuali approfondimenti, è di recentissima pubblicazione4 e riporta un’analisi molto puntuale del perché va rivista tutta la programmazione della politica agricola comunitaria, soprattutto perché sono risultate inefficaci moltissime misure, la maggior parte volontarie, riferite alle iniziative ambientali.

Se si continuerà a procedere in questa modalità, l’agricoltura, pur impiegando solo il 9 % degli occupati in Europa, rispetto al 26 % dell’industria e al 65% del terziario, sarà responsabile di gravi danni non solo ambientali ma metterà a repentaglio il settore sanitario, con un incremento di malati dovuti all’inquinamento. A questo proposito non sono da dimenticare gli effetti studiati sull’uomo dell’esposizione diretta ai fitofarmaci o al consumo di frutta e verdura trattati: forme allergiche per apparato respiratorio, cute e occhi, induzione di tumori, danni al sistema nervoso, alterazione dei geni con possibile trasmissione alla prole, diminuzione della fertilità o della funzione sessuale, immunosoppressione.

Non saranno sufficienti neanche questi appelli se non ci sarà una radicale inversione di rotta ormai necessaria. Sarebbe auspicabile che venissero immediatamente messi in atto due principi generali facilmente applicabili e condivisi da buona parte delle scuole di agro ecologia, di scienze ecologiche e di tutte le menti che da anni studiano il cambiamento climatico e la crescente riduzione delle forme di vita.

Cerco di schematizzare:
1) L’eliminazione di tutti i contributi alle aziende che praticano agricoltura convenzionale ovvero che fanno uso di prodotti come diserbanti e fitofarmaci o qualsiasi prodotto non ammesso dalla legislazione per l’agricoltura biologica;
2) tutti i contributi e i relativi bandi nei vai Piani di Sviluppo Regionali per i singoli stati Europei dovrebbero essere rivolti solo a coloro che:

  • mettono in pratica tutte le misure cosiddette agro-ambientali a tutela dell’ecosistema (piantumazione di siepi, prati, coltivazioni diversificate all’interno delle stesse aziende soprattutto quelle con superficie maggiori di 5 ettari) con un impegno non limitato ad un quinquennio ma almeno per un trentennio, pena la restituzione di tutto il contributo ricevuto;

  • praticano produzioni locali e di tradizione (recupero di vecchie varietà) oppure varietà ibride o comunque standardizzate e coltivate in tutti i paesi occidentali;

  • producono secondo il metodo biologico, biodinamico e comunque che non utilizzano sostanze dannose come si è detto in precedenza;

  • allevano allo stato brado e in forma biologica, con bassa intensità di capi per unità di superficie;

  • acquistano o gestiscono terreni rimasti in abbandono per più di 5 anni nelle zone di pianura, collina e montagna e intendono praticare sistemi di produzione biologici e risiedono in zone lontane da centri abitati in piccole comunità (come gli eco villaggi).

E soprattutto per le regioni che sono già in stato di grave crisi ambientale come la Pianura padana, o in alcune zone a coltivazioni intensive come in Spagna o nei Paesi Europei con situazioni di grave inquinamento ambientale, dovrebbe essere messo l’obbligo assoluto della pratica dell’agricoltura biologica. In Italia la prima area che ci viene in mente è la zona del Prosecco in Veneto, in Trentino e le aree per la produzione intensiva di frutta. Si eviterebbero così le inutili lungaggini burocratiche per ottenere i famosi Biodistretti, ma di questo parleremo in un altro capitolo…

1 L’elenco dei firmatari è visibile a tutti.
2I pagamenti diretti sono erogati principalmente per ettaro di superficie agricola e sono subordinati al rispetto di varie normative, compresi gli aspetti ambientali (ad esempio, "buone condizioni agricole ambientali" o GEAC, in "condizionalità"). Dal 2014, il 30% dei pagamenti diretti è collegato a tre requisiti di "inverdimento" - greening, valutati per lo più inefficaci (ECA, 2017 ; Pe'er, Lakner, et al., 2017).
3La produzione di fertilizzanti azotati dipende per la quasi totalità dalla sintesi di NH3 a partire da N2 atmosferico e H2, proveniente a sua volta dal cracking di idrocarburi; essa pertanto è condizionata, oltre che dalle capacità tecniche di costruzione e gestione di impianti, dalla disponibilità di petrolio, fonte dell'H2 come dell'energia necessaria. (Fonte: Treccani Enciclopedia on line).
4Pe'er G, Bonn A, Bruelheide H, et al. Action needed for the EU Common Agricultural Policy to address sustainability challenges. People Nat. 2020;00:1–12.