Alla vigilia del verdetto è forte la tentazione di “separare il grano dal loglio”, pur con il rischio di poter essere clamorosamente smentiti. Ma si confida nel fatto che un'opera filmica, nell'ambito di una mostra d'Arte cinematografica, andrebbe giudicata, più che dall'argomento, che può piacere più o meno, dalla sensazione generale, magari indistinta, ma forte, con cui ti lascia dopo che lo hai visto. A contare, insomma, dovrebbe essere il messaggio inconscio che è stato veicolato attraverso le immagini da regista, attori e sceneggiatori, la squadra al lavoro per l'esecuzione del film.

Cominciamo da Philomena, di cui si mormora possa vincere il Leone d'oro. Ebbene, è recitato benissimo da una Judi Dench in gran forma, ha dialoghi profondi e originali su un argomento, credere in Dio, per niente facile da trattare in modo nuovo; è diretto da Stephen Frears che da sempre, nei suoi film, costruisce bei personaggi femminili importanti, tutto più che sufficiente per avere un grande successo di botteghino. Ma, forse perché è la trasposizione di una storia già scritta (è tratto dal libro-inchiesta The lost child of Philomena Lee) il massimo premio non lo dovrebbe prendere. Di sfuggita, allo scrittore di dialoghi così belli, suggerisco di non usare il latino. Si corre il rischio, come è successo a lui, di un qui(d!) pro quo, quando si voleva dire Do ut des.

Quest'anno al Lido poco star system, se si esclude la coppia Cloney- Bullock della serata iniziale, che ha avuto una ragion d'essere nell'evocare la necessaria magia del Cinema, presentando comunque un film fuori concorso, quel Gravity che è già un cult prima di uscire nelle sale. Invece c'è stata, nella maggior parte dei film selezionati per i 70 anni della Mostra, una particolare attenzione al sociale e a una descrizione della famiglia in termini assai meno idillici di quelli che politica e religione pretendono di attribuirle.

Rientrano nella rosa dei papabili per il più alto premio film come Via Castellana Bandiera. Emma Dante, regista teatrale al suo esordio nel cinema, filma una storia semplice, movimentata da affetti del tutto imprevedibili, che tiene desta l'attenzione fino a una lunga scena finale che rende questa storia un'avvincente metafora della necessità di imparare a confrontarsi con gli altri, anche in situazioni di ostilità manifesta.

Altro film da considerare Die frau des Polizisten di Philip Groning, che riesce a descrivere con grandissima maestria la più segreta natura di una famiglia. Merito di una regia non basata su un copione, ma capace di immaginare e descrivere nei minimi particolari azioni e reazioni di questa coppia con una figlia piccola, una famiglia che a passi lenti precipita nella disgregazione.

Non meno drammatico per i toni di normalità con cui sono mostrate le atrocità che si svolgono in famiglia, è da segnalare il film Miss Violence, del giovane regista greco Alexandros Avranas. Assurge a manifesto di denuncia e risuona del silenzio assordante nel quale gli abusi sui familiari, soprattutto bambini, sono compiuti con ferocia e connivenze.

Un posto di rilievo va dato a Sacro Gra di Gianfranco Rosi, uno dei due documentari ammessi, per il primo anno, a concorrere al Leone d'oro, che se non altro sfata il mito che il Documentario sia un film di serie B. Per un'ora e venti si assiste all'emergere di un mondo inaspettato, quello che è apparso al regista “girando”(in senso spaziale e filmico) il raccordo anulare di Roma, la più estesa autostrada urbana d'Italia. Alcune delle persone che appaiono nel film Rosi le ha portate con sé a Venezia per la serata della proiezione, e insieme hanno fatto uno spassoso girotondo in sala.

Bertolucci, ce l'ha raccontato in conferenza stampa di apertura della Mostra, ha cercato in tutti i modi di sottrarsi al compito di Presidente della giuria, cui Barbera lo aveva invitato. Cosa gli ha fatto cambiare idea? Il richiamo di Barbera alle sue responsabilità verso i giovani, che questo grande esponente del Cinema Italiano non si è sentito di deludere. Gli auguriamo che qualcuno, per allentare la concentrazione insita nel guardare due o tre film al giorno in atteggiamento giudicante, gli abbia fatto vedere la “proiezione speciale” Redemption (4 episodi in 4 lingue europee) di Miguel Gomes. E' un mistero come questo corto filmato - dura solo 26 minuti - faccia star bene e divertire. Peccato che non sia in concorso, perché un leoncino se lo sarebbe potuto prendere!