Dopo la laurea in Economia Aziendale presso la “Bocconi”, Giovanna Ambrosoli si è occupata di finanza e marketing e si è impegnata professionalmente nel terzo settore. Dal 2009 si è interamente dedicata alla fondazione che continua l’opera dello zio, Padre Giuseppe Ambrosoli.

Si è occupata di finanza e marketing: è un mondo rigidamente finalizzato al solo profitto o ci sono spazi per una sua declinazione anche etica?

Credo che qualsiasi ambito professionale, anche quelli maggiormente “business oriented”, possa essere interpretato e vissuto dal singolo con un forte orientamento all’etica; in funzione dei valori che ciascuno sceglie di fare propri e della coerenza con cui li vive. In ambito finanziario nell’ultimo decennio ha assunto un’importanza crescente la cosiddetta “finanza etica” che abbraccia una molteplicità di approcci, dalle scelte di investimento nel rispetto di parametri etici, sociali, ambientali, all’utilizzo di una molteplicità di strumenti finanziari per sostenere e sviluppare organizzazioni che perseguono istituzionalmente finalità sociali. E credo che ci sia per il futuro ancora molto spazio per identificare nuovi e sempre più efficaci strumenti di investimento nel sociale. Così per le aziende che fanno della responsabilità sociale un’attività avente pari dignità rispetto a quelle direttamente correlabili ai risultati economici e che perseguono politiche di marketing coerenti con tale approccio. È provato da diverse ricerche che le aziende attente non solo alla sostenibilità ambientale, ma anche concretamente attive nella CSR, hanno maggiori ritorni economici, in quanto il consumatore, soprattutto la fascia dei millennial, è sempre più attento all’etica aziendale, alla trasparenza della filiera produttiva e in tal senso orienta le proprie scelte di acquisto.

A un certo punto della sua vita ha abbandonato il mondo imprenditoriale e della finanza per dedicarsi completamente alla sua missione in Africa: è stata una “folgorazione” improvvisa o un processo a lungo maturato?

Né l’uno né l’altro, è stato piuttosto il trasformare un problema in un’opportunità per fare scelte professionali e di vita più consapevoli e aderenti ai miei valori. Un non facile momento di interruzione lavorativa dovuta a un serio problema di salute mi ha obbligato a ripensare al mio percorso, a rivedere le mie aspettative e i miei obiettivi, offrendomi così la possibilità di scegliere altre strade professionali più rispondenti ai miei desideri. Ho sempre avuto una forte attenzione verso il mondo del sociale al quale mi ero sempre dedicata saltuariamente e in maniera volontaristica. Ho cercato una strada nuova e ho capito che potevo spendermi anche professionalmente in questo mondo. Credo fermamente che ciascuno nel proprio ambito privato e professionale, secondo le proprie possibilità, abbia la responsabilità di restituire alla collettività parte di quanto ha ricevuto, generando un circuito virtuoso che veramente può migliorare il mondo. La mia famiglia ha ricevuto un’eredità straordinaria, l’opera medica e umana lasciata da mio zio, Padre Giuseppe Ambrosoli, un ospedale di oltre 300 posti letto, unico presidio ospedaliero di un’area vasta, isolata e poverissima del Nord Uganda e una scuola specialistica di ostetricia che ha formato dalla sua nascita generazioni di giovani donne.

È Presidente della Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital”: ce ne può sintetizzare la storia, le finalità e le realizzazioni?

La Fondazione è nata nel 1998 dalla volontà della famiglia Ambrosoli e dei Comboniani di dare continuità e futuro all’opera di Padre Giuseppe. Dopo la sua morte, avvenuta prematuramente in Uganda a causa dell’evacuazione forzata dell’ospedale durante la guerra civile, l’ospedale venne riaperto nel 1989 dal medico comboniano Padre Egidio Tocalli. Da quel momento iniziò e crebbe un movimento di grande solidarietà da parte di quanti conoscevano Padre Giuseppe, che spinse la mia famiglia a cercare una soluzione per proseguire la sua opera. Il segno arrivò proprio da padre Tocalli che si rivolse un giorno alla famiglia dicendo: “Ho bisogno di condividere con voi tutto il progetto di Kalongo, di sapere che siete al mio fianco come era stato padre Giuseppe perché la sua opera possa essere imperitura. I nostri sforzi devono unirsi …” così nacque la Fondazione.

Oggi, dopo vent’anni, la Fondazione porta avanti il proprio operato coniugando lo spirito di cura, solidarietà e fede che ispirava Padre Ambrosoli con una gestione efficiente e ispirata a un efficace modello imprenditoriale e manageriale. I nostri obiettivi sono da un lato di assicurare alla popolazione locale l’accesso a servizi sanitari di qualità, con forte vocazione alla salute materno-infantile, ostetrica e chirurgica; dall’altro promuovere la formazione medica e manageriale per accompagnare l’ospedale verso il traguardo dell’autonomia.

Investire nella salute e nella formazione è il miglior investimento per il futuro di un Paese. Grazie alla Fondazione Ambrosoli, unico partner stabile dell’Ospedale, sono oltre 50.000 i pazienti assistiti ogni anno, di cui circa il 70% donne e bambini, privi di mezzi di sussistenza e 150 le ragazze che possono accedere ai corsi della Scuole specialistica di Ostetricia.

La figura e l'operato di Padre Giuseppe Ambrosoli ha lasciato una luminosa impronta in Uganda e nell'intera Africa: qual era il segreto della sua totale dedizione?

“Vai avanti con coraggio. Non c’è mai stato un giorno in cui mi sia pentito della scelta fatta. Anzi questa mia scelta è un’avventura meravigliosa”. Questa sua affermazione carica di speranza racchiude tutta la sua forza umana e spirituale. In lui convivevano con la stessa intensità la dimensione del medico e quella del missionario; Padre Giuseppe era uomo coraggioso e mite sostenuto da una fede incrollabile. La sua costante dedizione e le grandi capacità chirurgiche ma anche lo spirito imprenditoriale e intraprendente, gli hanno permesso in breve tempo di trasformare il dispensario in una struttura sanitaria moderna, con oltre 300 posti letto in grado di garantire assistenza qualificata alla popolazione locale. È stato un visionario se si pensa che a soli due anni dalla nascita dell’ospedale, ha deciso di fondare una scuola di formazione per ostetriche per contribuire alla riduzione del tasso di mortalità materna e alla crescita professionale femminile in Uganda. La St. Mary Midwifery School è oggi ufficialmente riconosciuta come una delle migliori realtà formative del Paese, un traguardo importante nella società africana per riscattare il ruolo della donna. Padre Giuseppe ha vissuto per salvare l’“Africa con gli Africani”, e questa è sicuramente la luminosa impronta che ha lasciato in quel Paese e a noi.

Dalla sua profonda esperienza, può aggiornarci sulla situazione politica, sociale e umana del “continente nero”? Ci sono spiragli per una sua emancipazione?

La situazione economico-sociale, specie nell'Africa subsahariana, è una delle più disagiate del pianeta: l'aumento massiccio della popolazione e il diffondersi dell'AIDS, oltre alle frequenti siccità e all'instabilità politica, sono alcune delle cause di questo impoverimento. E proprio l’Uganda è uno dei paesi più paesi più poveri classificandosi nell’Indice di sviluppo umano (UNDP 2016)* al 163° su 188 paesi. Il reddito pro-capite annuale si aggira ai 510$ e il 38% della popolazione vive sotto la soglia di povertà ($1/giorno).

Nonostante i significativi passi avanti compiuti in materia di rispetto dei diritti umani, l’Uganda rimane uno dei paesi con diversi punti di attenzione per gli organismi che si occupano di questioni umanitarie, essenzialmente derivanti dal conflitto nel settentrione del Paese, terminato nel 2007, dove, secondo fonti ONU, oltre 40.000 minori - bambini “soldato” - sono stati strappati dalle loro famiglie ed arruolati a forza o ridotti in schiavitù dall’inizio della guerra. L’ospedale di Kalongo è stato per i 20 anni di guerra civile, oltre che essenziale presidio di cura, rifugio sicuro per i “pendolari della notte”, migliaia di persone che ogni notte trovavano riparo dai ribelli tra le sue mura. Il distretto di Agago, dove l’Ospedale opera, presenta ancora oggi condizioni di vita drasticamente peggiori della media nazionale proprio a causa della guerra civile. Se si considera la percentuale di individui che vive in condizione di povertà assoluta, i dati di squilibrio sono evidenti: 19,7% a livello paese, contro il 43,7% del nord Uganda.

Ecco perché il nostro impegno quotidiano è particolarmente rivolto alla formazione e alla crescita professionale che rappresentano la sola strada per l’autonomia e lo sviluppo delle persone e dei Paesi.

In particolare, come vive la donna africana il contrasto tra una tradizione maschilista, il problema demografico e l'anelito all'affermazione di un suo spazio di dignità e di autonomia?

Le donne sono il fulcro della famiglia e della società africana, ma la loro condizione di donne e mamme presenta ancora oggi nel Paese fortissimi elementi di criticità. Le Nazioni Unite hanno calcolato che il Paese presenta un altissimo indice di disparità di genere, dovuto all’elevata mortalità materna, all’alto tasso di fecondità delle adolescenti e alle ridotte possibilità di emancipazione delle donne, che classificano il Paese al 121° posto su 149 analizzati (UNDP, Uganda Country Gender Assessment, 2016). L’indice di fertilità è altissimo: ogni donna ha in media 6 figli e il 15% partorisce il primo figlio tra i 15 e i 19 anni. La scuola di ostetricia, di cui nel 2019 ricorre il 60° anniversario, rappresenta uno strumento fondamentale di empowerment femminile. Dalla sua nascita si sono diplomare più di 1.300 ostetriche che, grazie a una formazione qualificata, hanno contribuito con professionalità alla prevenzione, alla cura e alla formazione delle donne non solo in Uganda ma anche in numerosi paesi dell’Africa sub sahariana. Come Fondazione siamo impegnati nel sostegno della scuola, con l’erogazione di borse di studio e nello sviluppo di questa istituzione che speriamo e vogliamo possa diventare nei prossimi anni faculty della laurea in ostetricia.

Buona parte delle attuali migrazioni proviene dall'Africa: come vede questo fenomeno epocale e quali problemi comporta? La sua fondazione propone una “migrazione controcorrente” ...

Stiamo vivendo un momento particolarmente delicato e fragile. Il tema dei migranti è caratterizzato da percezioni a volte distorte della realtà, dove la portata del fenomeno viene amplificata più del dovuto contribuendo ad acuire il clima di allarme sociale. Come ha scritto Mario Calabresi nella prefazione del libro Chiamatemi Giuseppe: l’accoglienza risulta ancora più eccezionale quando si pensa alla “migrazione controcorrente” di medici, giovani specializzandi, di volontari. Questo è proprio quello che rispecchia il lavoro che abbiamo fatto in questi anni per continuare l’opera di padre Giuseppe. Oltre al fondamentale sostegno finanziario che la Fondazione ha potuto garantire in questi 20 anni, ci sono state persone, e sono state tante, che hanno sostenuto l’ospedale e la scuola di ostetricia lavorando sul campo, in prima linea, portando competenze, partecipazione, scambio. In 10 anni grazie alla Fondazione l’ospedale di Kalongo ha potuto beneficiare del contributo professionale di 50 tra medici, tecnici e amministrativi. Per noi sono persone speciali, che hanno dato tanto all’ospedale ma sono anche convinta che anche tanto si siano portati a casa dalla loro esperienza professionale e umana.

Che peso ha avuto Milano nella sua storia e in quella della sua famiglia?

Anche se la mia famiglia paterna è originaria di Ronago, piccolo paese della provincia di Como ai confini con la Svizzera dove ha vissuto anche padre Giuseppe, la mia personale storia è a Milano, dove mio padre si è trasferito da giovane studente e dove io ho sempre vissuto. La bellezza, la vitalità, la trazione internazionale e l’approccio concreto e operoso alla solidarietà hanno sicuramente contribuito, oltre all’ambiente famigliare in cui sono vissuta, alle mie scelte professionali e di vita.

Quale rispondenza ha dato la città e i milanesi all'attività della sua fondazione?

Una parte importante dei nostri sostenitori è qui a Milano. Milano è una città viva, aperta all’ascolto e al dialogo e vogliamo considerare questo risultato solo l’inizio di un percorso per contribuire a far crescere quel bisogno di solidarietà e di “bene” di cui oggi c’è sempre più bisogno. Milano, con un ruolo nazionale e internazionale sempre più importante, ci offre continue nuove opportunità in termini di fund raising, ma anche di confronto e di scambio continuo, linfa vitale per lo sviluppo della nostra Fondazione.