Il Centro universitario più antico viene rintracciato storicamente nello Studium bolognese, denominato significativamente Alma Mater Studiorum, “Madre Nutrice degli Studi”, Istituzione risalente all’XI secolo d.C. e con maggiore precisione al 1088, data convenzionale di fondazione ritenuta verosimile alla luce di successive fonti documentarie quali, in particolare, la Constitutio Habita (databile al 1155-1158), un documento imperiale emanato da Federico Barbarossa - Sovrano del Sacro Romano Impero dal 1155 al 1190 - che era rivolto a statuire il riconoscimento di una serie di diritti e privilegi a favore di studenti e docenti (non solo a Bologna, ma ovunque), stabilendo inoltre che ogni Scuola si costituisse come una societas di socii (allievi) presieduta da un maestro (dominus), il quale doveva essere compensato con le quote pagate dagli iscritti allo Studio.
Nel corso del Basso Medioevo, ed in particolare nei secoli XIII e XIV, le “compagnie” toscane dei cosiddetti “mercanti-banchieri” - di Firenze, Siena, Lucca, Pistoia - dominavano e primeggiavano nei settori economici del commercio e delle attività finanziarie: tra di esse, un ruolo particolarmente interessante fu assunto dall’azienda pistoiese degli Ammannati che, oltre ad associare uomini d’affari esperti nella mercatura e nelle tradizionali operazioni di credito, aveva aperto a Bologna un’importante Filiale che divenne, in progresso di tempo, “banchiera” della locale Universitas Studiorum.
Gli Ammannati di Pistoia si resero conto - prima e meglio degli altri mercanti-banchieri - che una rilevante parte dell’economia cittadina di Bologna ruotava intorno al mondo degli studenti universitari, caratterizzato dagli “scolari” che provenivano da ogni angolo dell’Italia comunale, nonché dai Paesi stranieri d’Oltralpe , al fine di perfezionare l’apprendimento del Diritto Civile (e/o del Diritto Canonico) ed ottenere nello Studio bolognese un’elevata formazione giurisprudenziale, indispensabile per avviare prestigiose carriere di Giurista, Giudice, Avvocato, o per ricoprire importanti incarichi amministrativi nelle burocrazie statali oppure nelle alte sfere del governo della Chiesa (cfr. S. Tognetti, Mercanti e banchieri pistoiesi nello spazio euromediterraneo dei secoli XIII-XIV, 2008).
Lo studente universitario di Bologna, spesso di elevata estrazione sociale, risultava mediamente più facoltoso dei suoi colleghi di Parigi o di Oxford, dediti principalmente agli studi di Filosofia e Teologia; lo “scolaro” bolognese, grazie alla circostanza di pagare in larga misura lo stipendio del “maestro”, controllava in buona sostanza l’organizzazione dello Studio, a differenza di quanto avveniva nelle altre sedi universitarie dell’epoca.
Il mondo accademico bolognese si presentava, pertanto, come un’occasione di proficuo investimento per diversi operatori economici: dai proprietari di immobili cittadini, che venivano concessi in locazione agli studenti, ai gestori di locande e taverne; da coloro che gestivano il mercato dei libri a coloro che anticipavano agli studenti le rimesse periodiche inviate dai centri di provenienza; dai mercanti di tessuti ai capitalisti che finanziavano la carriera di promettenti studenti, etc.
I banchieri pistoiesi non si lasciarono sfuggire tali ampie opportunità di profitto: infatti, già nel 1257 risultavano presenti ed operativi a Bologna ben 19 campsores (“banchieri-cambiatori”) di Pistoia, dediti ad operazioni di prestito, al cambio manuale delle monete e, soprattutto, alle attività di produzione, accettazione e negoziazione di quel particolare documento denominato instrumentum ex causa cambii, il rogito notarile antenato della “lettera di cambio”, diffusasi invece originariamente come “scritta privata” negli ambienti affaristici toscani a partire dalla fine del Duecento.
Studenti e docenti, in particolare quelli forestieri, usufruivano così di un fondamentale ed utilissimo servizio bancario che consentiva il trasferimento di valuta in modo rapido e sicuro (senza i costi e rischi relativi al materiale trasporto della moneta metallica): si trattava di realizzare, tramite un semplice ordine di pagamento contenuto in un rogito, una rimessa di somme di cui essi disponevano nei Paesi d’origine, ubicati nei vari territori dell’Impero (Francia, Inghilterra, Spagna, Germania, etc.).
Ad esempio, in data 2 Aprile 1294 gli Ammannati accettarono di pagare un cambio di circa 600 Lire di “Bolognini” - tipico “Denaro” della città di Bologna in epoca medievale - a favore di uno studente castigliano per il quale era stata effettuata una rimessa da Siviglia a cura del famoso mercante genovese Benedetto Zaccaria (cfr. G. Zaccagnini, I Banchieri pistoiesi a Bologna e altrove, nel secolo XIII, 1918).
Tali negozi finanziari agevolavano, pertanto, le operazioni di pagamento/versamento da (e per) l’Estero alle quali erano interessati studenti e maestri dell’Ateneo bolognese che, verso la metà del secolo XIII, contava già una popolazione di circa 10.000 iscritti e, tra il 1289 ed il 1299, evidenziava la presenza di rappresentanti di 13 Paesi “ultramontani” (stranieri), tra i quali 533 scolari di nazionalità germanica.
Nella seconda metà del XIII secolo l’Università riconosceva la Compagnia degli Ammannati come propria Banca privilegiata e nominava i suoi Direttori stationarii, ovverosia “custodi” ufficialmente delegati dallo Studio bolognese allo svolgimento di due fondamentali mansioni: innanzitutto, gli stationarii exempla tenentes (“che tenevano gli esemplari”) avevano il compito di prestare agli studenti, dietro compenso, i libri di testo (leggi ed opere dottrinarie) sia in originale sia in copia autenticata, dei quali potevano essere proprietari o semplicemente custodi incaricati; generalmente, i codici venivano dati in prestito in fascicoli estratti e separati, al fine di rendere più snelle le operazioni di ricopiatura da parte degli studenti.
In secondo luogo, gli stationarii librorum (o venditores librorum) operavano su ordinazione di studenti facoltosi e/o su commissione di altri clienti interessati a volumi di alta qualità, che venivano confezionati spesso in buona pergamena e con accurata rilegatura, nonché talvolta riccamente miniati; il mercato librario offriva, pertanto, ampie prospettive d’affari che si espandevano anche oltre l’ambito cittadino dello Studio bolognese: infatti, gli Ammannati nel 1271 spedirono libri di Medicina a Milano e nel 1277 si impegnarono a spedire a Parigi testi di Diritto Civile e Canonico per conto di un ecclesiastico genovese appartenente alla nobile famiglia dei Fieschi.
La fortuna economica della compagnia pistoiese degli Ammannati, sebbene supportata dal fiorente e lucroso mercato dei libri (alimentato dalle operazioni di prestito oneroso e di vendita) nonché dalle attività di cambio valuta e rimessa fondi per conto di studenti e docenti dell’Università di Bologna, fu tuttavia compromessa dall’eccessiva esposizione creditizia che all’epoca veniva accordata a Sovrani, Stati ed alla Chiesa, una delle principali cause della serie di fallimenti che - tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 - annientò l’egemonia di molte compagnie toscane (tra le quali, i Bonsignori di Siena ed i Ricciardi di Lucca).
Anche gli Ammannati di Pistoia, al pari di altri mercanti-banchieri toscani, rientravano tra i cosiddetti campsores domini papae e mercatores romanae ecclesiae, ovverosia erano Banchieri della Chiesa, incaricati della riscossione delle decime e di altri tributi della Curia romana in Francia ed in Germania (crediti della Santa Sede spesso anticipati dalla Banca), ed erano al tempo stesso creditori della rilevante somma di 150.000 Fiorini prestati a più riprese alla Corona d’Inghilterra, divenuta poi insolvente.
La mancata riscossione di questi ingenti crediti causò l’incapacità degli Ammannati di onorare gli impegni nel frattempo assunti, con conseguente chiusura degli sportelli: nel 1306, nel corso della procedura fallimentare, il Papa Clemente V (1305-1314) decretò che tutti i debitori della società Ammannati, presenti nei regni della Penisola Iberica, in Francia, in Inghilterra e negli altri territori dell’Impero, dovessero saldare le loro pendenze versando le somme nelle casse dei Peruzzi e degli Scali, le due grandi società di Firenze che subentravano alla scomparsa compagnia pistoiese.
La condizione ed il privilegio di “primogenitura” dell’Università bolognese sono stati resi immortali anche dalla Numismatica medievale e rinascimentale: infatti, fin dai secoli XIV e XV, le emissioni monetarie di Bologna - sia quelle “cittadine” con lo stemma della Città sia quelle “papali” con i segni dell’autorità pontificia - riportano spesso la tipica legenda BONONIA DOCET (“Bologna insegna”), iscrizione legata alla fama di Ateneo più famoso ed antico che accompagnò nel tempo lo Studium per eccellenza.
Di seguito, due esempi selezionati tra i tanti presenti nelle collezioni numismatiche.
“Scudo” (del sole). Moneta in oro, databile al 1536-1537, epoca del Papa Paolo III (Alessandro Farnese, 1534-1549). Al dritto, insegne del Pontefice; al rovescio, sole raggiante, croce e stemmi della Città.
“Quattrino” in rame, 1742. Emesso fin dal 1406, a partire dal 1604 riporta il tipo del leone rampante, simbolo dell’autonomia cittadina. Moneta “spicciola” del popolo per oltre quattro secoli, utilizzata comunemente nelle transazioni quotidiane, fu coniata nella Zecca di Bologna fino al 1854.