Pier Paolo Pasolini aveva una capacità quasi profetica di comprendere la società italiana e di prevederne gli sviluppi. All’inizio degli anni ’60 denunciò la “mutazione” antropologica in atto: il consumismo esasperato, il desiderio (o l’illusione) di possedere tutto, i beni materiali, il proprio futuro, il segreto stesso della vita. Ma lui sapeva che nulla si può possedere se non la coscienza della propria finitezza, che l’essenza delle cose non si può veramente penetrare. È una proibizione quasi “sacra”, un tabù che emerge costantemente in tutta la sua opera.

Il suo abituale bersaglio polemico era l’omologazione culturale prodotta dalla società industriale di massa, che impedisce anche solo il sogno di essere poeta, che è nella tradizione culturale e nell’immaginario letterario la figura isolata ed emarginata per antonomasia.

Nell’epigramma Al Principe, la riflessione ultima su questa impossibilità “ontologica” di essere poeta nella società contemporanea prende l’avvio da un livello più intimo e personale. Una crisi esistenziale - sempre incombente in chi “sente” così dolorosamente la vita - l’avvicinarsi dell’età matura diventano l’occasione per riflettere sulla esistenza, sul tempo che gli rimane per coltivare la sua idea di poesia, un’aspirazione che per essere realizzata ha bisogno di solitudine, pace e meditazione. E si ode qui in sottofondo, come una musica malinconica, la nostalgia della vita arcadica della sua infanzia friulana, che è all'origine stessa del suo primo impulso a essere poeta. Ma di quell’Italia contadina e vera, di quel mondo semplice e gentile non gli resta più nulla, se non il dolore della perdita.

Ecco dunque l’intermissione della propria storia personale nella Storia, il personale che diventa politico, come fu negli slogan del ’68, il tentativo di opporre alla disumanità della vita moderna il ricordo-rimpianto di un’età dell’oro irrimediabilmente perduta per sé e per ogni uomo.

Metro: Tre strofe, una di sei versi, due di quattro. I versi lunghi utilizzati dall’autore sono quasi tutti dodecasillabi, un metro di cui non si parla molto nei manuali di metrica; nella lirica novecentesca, il verso è spesso composto da un quinario più un settenario, o viceversa, e ha un andamento lento e cadenzato (quasi da metrica classica) che conferisce alla poesia quel tono didascalico-argomentativo che è peculiare di molta poesia pasoliniana.

Al Principe

Se torna il sole, se discende la sera,
se la notte ha un sapore di notti future,
se un pomeriggio di pioggia sembra tornare
da tempi troppo amati e mai avuti del tutto,
io non sono più felice, né di goderne né di soffrirne:
non sento più, davanti a me, tutta la vita…
Per essere poeti, bisogna avere molto tempo:
ore e ore di solitudine sono il solo modo
perché si formi qualcosa, che è forza, abbandono,
vizio, libertà, per dare stile al caos.
Io tempo ormai ne ho poco: per colpa della morte
che viene avanti, al tramonto della gioventù.
Ma per colpa anche di questo nostro mondo umano,
che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace.

(Pier Paolo Pasolini, da La religione del mio tempo, Einaudi 1961)

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato uno scrittore, poeta e regista italiano. È considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. La sua eccezionale versatilità culturale gli permise di distinguersi come poeta, romanziere, giornalista, critico letterario e regista cinematografico. Osservatore assai critico delle trasformazioni della società italiana dal dopoguerra alla metà degli anni ‘70, con i suoi giudizi radicali ed eterodossi suscitò forti polemiche e accesi dibattiti nel mondo culturale e politico.