Ricevo l' invito molto caldo di Irina Casali a partecipare alla sua lezione che chiude la IX ed. del seminario su Arte e filosofia. SAFFO (Sperimentazioni Artistiche Filosofiche Fuori Orbita). Argomento intrigante, particolarmente suggestivo il titolo, "Le lacrime di Eleonora Duse. L'anima e la scena", arrivo nella sede della mitica Comuna Baires con grande interesse e curiosità.

Conosco Irina Casali, la vestale del tempio di via Francesco Brioschi 60 e, sicuramente mi aspetto un incontro con la Duse ricco di sorprese che sento presenti, vibrare in me, ma che non riesco a mentalizzare, anche se so per certo che ci saranno. È dunque con questo stato d'animo che mi accingo a vivere l'esperienza. Non appena metto piede nella "Comuna" sono invasa da un' emozione fortissima, è come se tutta la storia di un periodo importante della vita mi avesse investito con una potenza non immaginabile.

Il mio sguardo è catturato dall'arredo così unico: un insieme di mobili, divani, cuscini, specchiere, statue, soprammobili, gigantografie, arazzi, manifesti, tutti appoggiati come per caso nello spazio, aventi però un ordine intrinseco, la sensazione è di essere a casa. E poi le persone, anche loro sparse qua e là, sorridenti, sprigionanti familiarità e gioia dell' incontro. Ma che bello! Esperienza non facilmente descrivibile, esperienza da vivere, peccato non poterla rendere con la miseria delle parole in tutta la sua magnificenza.

E poi arriva Irina, un abbraccio come da conoscenza al di là del tempo e infine tutti nella sala per ascoltare la sua voce che ci fa toccare la Duse. Eleonora Duse la sentiamo in tutta la sua essenza tramite la presentazione di Irina che non si limita a raccontare di Eleonora, ma ce la fa sentire lì tra di noi, anche sensorialmente presente, come se il tempo e lo spazio non facessero da impedimento, ma potessimo incarnarci nella sua storia.

Irina vuoi dirci tu qualcosa in proposito per far entrare anche chi non c'era nell'esperienza sublime che abbiamo vissuto?

Innanzitutto vorrei ringraziarti per avermi proposto questo dialogo e, ancor prima, per esserti manifestata come luminoso evento sincronico nella mia vita (e non è la prima volta). La lezione su Eleonora Duse, dove ci siamo ritrovate, non avrebbe dovuto aver luogo, si trattava di una sostituzione: ho colto l'occasione nata dalla mancanza di un'altra relatrice. Il tema che avevo pensato per la lezione originariamente era un altro, ma poi qualcosa dentro ha detto no: sarà la Duse! Non avrebbe potuto essere diversamente, non solo perché è da poco che è passato il centenario della morte o per la concomitanza dei due film italiani dedicati a lei di recente uscita. Ma perché un filo sottile lega alcuni eventi della vita tra di loro.

È vero, nella vita si verificano sincronicità che diventano fatti che ci abitano e in cui abitiamo e che ci rendono veri, dandoci il dono di vivere il sentimento del reale.

Quando, il giorno prima, ci siamo sentite e mi hai proposto di portare in teatro la scultura in marmo di Eleonora Duse (grazie alla generosa offerta di Sergio Baroni che custodisce l'opera di Arrigo Minerbi nella sua galleria), ho provato una forte emozione insieme a un senso di incredulità. È un sogno. Sì, sto sognando. Eppure tutto è stato semplice, come fluisse da sé. Eleonora era già tra noi e sarebbe venuta anche lei! Quell'annuncio carico di mistero mi invitava a entrare nella dimensione di cui avrei parlato con tutta la gravità e responsabilità del "caso".

Sì, ho sentito tutta la tua commozione e gratitudine, e forse, come immagini tu, Eleonora stava prendendo vita dentro di noi, tramite noi, e ci dirigeva con una regia precisa perché il lieto evento avvenisse. Io d’impulso avevo proposto a Sergio la tua lezione e lui si è subito offerto di portare il busto, davvero il tutto in una trama senza canovaccio, ma che era lì per essere vissuta. E forse Eleonora aveva bisogno di questa rete di pensiero desiderante per avere il coraggio di venire alla luce.

La sensazione di qualcosa che s'impone nella vita con forza mi ricorda quando Hillman nel Codice dell'anima, racconta la prima apparizione di Judy Garland a un concorso per bambini: arrivato il turno di esibirsi, la bimba si rifiutò di ballare, come da programma, e insistette per cantare. Provarono a convincerla, ma lei rimase ferma, mostrando inequivocabilmente la sua vocazione.

Fa venire i brividi il mistero di cui siamo fatti e gli incontri imprevisti di cui siamo impastati. Ma torniamo alla magia di Eleonora Duse. Sento tanto di Eleonora in te e di te in Eleonora, una relazione dove le coordinate spazio-temporali perdono la loro fissità e fluttuano in una dimensione onirica.

Sento una chiamata nei confronti della Duse. Da tempo sto raccogliendo materiali, che ancora non hanno trovato una forma definitiva. L'amore per Eleonora viene da lontano, la nostra vita inizia nel teatro. I miei genitori si sono innamorati e formati nella tradizione di Stanislavskij, che a sua volta s'ispirò alla Duse per il suo Sistema.

Si capisce allora perché Eleonora sia nel tuo DNA.

La rivoluzione copernicana del teatro occidentale si deve a questa attrice italiana, venerata nel mondo e incompresa in patria. La Duse "fuggì" dall'Italia con le sue tournée per tutta la vita, fino a morire in America, durante il regime fascista. Attrici come lei – disse Lee Strasberg – ne nascono una ogni secolo. È tempo di comprendere quale tesoro ci siamo persi e riparare il debito.

Cominciamo ora.

Sin dall'avvento di questo nostro piccolo Teatro d'Arte (FE Fabbrica Esperienza) c'è il desiderio di "riportare a casa Eleonora Duse". Riportarla in molti modi. In primis con la metodologia del lavoro dell'attore, che in Italia ha visto uno sviluppo tardivo rispetto ad altri Paesi. In secondo luogo dando vita a un Teatro d'arte che avveri il progetto sognato e mai realizzato da Eleonora. Al progetto dell'attrice si oppose la contrarietà del regime: il Duce e Silvio D'Amico avevano in mente tutt'altra idea di formazione, pedagogia e visione del teatro, antitetica a quella della Duse.

Attrice e donna non compresa, avversata, forse temuta … l’anima femminile così ricca, intuitiva, visionaria può spaventare la mente maschile, spesso ingabbiata nelle pseudo-sicurezze razionali. Quante volte le nostre sfumature dell’anima non sono state colte, o travisate, o non capite profondamente o banalizzate o addirittura schernite? La Duse come ha vissuto tutta l’incomprensione e l’esclusione conseguente?

Attrice, guitta, con una stanza d'albergo come casa in ogni parte del mondo, non fu mai riconosciuta in questo Paese. Rifiutò la pensione-elemosina del Duce, offertale invece di un piccolo prestito che le avrebbe consentito di avviare il suo Teatro d'arte; con dignità e coerenza preferì continuare a vivere (e morire) del suo Lavoro, che scriveva rigorosamente con la "L" maiuscola.

Nessuno la aiutò e in pochi compresero il suo intento rivoluzionario, tra questi, Pietro Gobetti, giovane intellettuale liberale, che in quegli anni si occupava di teatro per la rivista di Antonio Gramsci "Ordine Nuovo" – perseguitato e poi ucciso dai fascisti. Gobetti, acuto recensore della Duse, fu colpito dal proposito dell'attrice: "La Duse è voluta tornare al teatro per umiltà, perché crede nelle possibilità non solo culturali, ma formative del teatro, perché vuole lavorare e vuole spronare gli altri attori al lavoro. Non ha programmi com'è normale non averne in arte; ha solo una giovinezza incredibile di energia e di calore. Vuole partecipare modestamente all'opera comune, senza assumere posizioni direttive. Le piacerebbe un teatrino suo, ma è consapevole che una simile istituzione richiede un forte impegno economico. Vorrebbe questo teatrino a Torino, e ne farebbe un centro di propulsione e di espansione. Crede che in molti poi seguiranno il suo esempio".

L'attrice si ispirava al Vieux Colombier, il Teatro d'Arte di Parigi fondato e diretto da Jean Copeau (che la conosceva bene e la venerava).

Gobetti, uomo d’anima, parla di lei in maniera poetica, si sente che Eleonora vive in lui, e lui la ospita amorevolmente e se ne prende cura.

Offrirle una pensione, come fece il Duce, fu un invito a "sparire di scena". Perfino D'Amico dovette ammettere che la "delicata e doverosa proposta di Mussolini" equivaleva a una liquidazione della sua arte. La proposta fu rifiutata dall'attrice, indignata: "Io posso ancora lavorare e voglio lavorare".

Come poteva tollerare la Duse questo scempio, mi puoi far sentire il suo pensiero?

In una lettera ad Arrigo Boito, durante il ritorno da una tournée, la Duse nel 1900 scrive:

Come una bestia da serraglio, la mia volontà e il mio pensiero van su e giù, fra la stretta gabbia formata da queste due, inevitabili e terribili parole: partire, lavorare. E come con questa salute? E la canaglia italiana mi ributta alla frontiera! – Qualche anno fa – quando tornai (dopo la morte) – nel mio paese, tornai a mani piene, e fra il mio paese mi rimisi – e offersi, e sperai, tentai e volli, fondare in Italia (!!!) qualche cosa che fosse arte e volo aperto verso qualche cosa che fosse arte e attesa di nuove forze! – Ma, niente fu compreso. Fui nella melma, fin qua, alla gola! e il tentativo fu rovinoso – e l’anima mia oggi, non sa più appaiarsi con la sua arte! – Arte di che? – [...] Vorrei urlare la mia rivolta, perché sono certa di avere ragione in questo – e profondo rammarico d’ogni forza perduta [...]. Per risolvermi a morire, mi rimane invece lo stufamento, lo scoramento, la fatica atroce che dà nausea del Teatro SENZ’ARTE, lo sbigottimento che dà il corpo, l’anima che si disorienta, la stanchezza brutale della vita nomade, l’Esilio di città in città, e questa cosa che non si vede, e rode, che è la nostalga stanza d’Hotel quella rimane – e la necessità d’una soluzione".

Quanta passione, quanto strazio, quanta solitudine e anche quanta ricchezza, quanta intelligenza, quanta arte! Mi urge sentire da te una non-definizione sull’arte. Stiamo parlando di Teatro d’Arte, siamo nel Teatro d’Arte. La parola “solitudine” è la sensazione che ora mi rimbomba dentro dolorosa e, subito dopo, però si palesa anche il binomio solitudine-arte. Irina, tu artista, cosa mi racconti dell’arte? Cos’è l’arte per te? Si può tradurre in parole qualcosa che va oltre, al di là dell’espressione verbale? Cosa c’entra con la solitudine?

L'arte nasce da un vuoto, è un afflato a trascendere e ricomporre tutto ciò che in noi è diviso. Simbolica per natura, l'arte tocca l'invisibile. La ferita individuale è l'accesso all'inconscio dove si entra a contatto con un'energia che chiede di essere trasformata. Si tratta di un viaggio dall'ignoto verso l'ignoto, in cui l'orizzonte si sposta sempre perché “Ogni uomo è un enigma e il suo cuore un abisso profondo”. I confini dell'anima sono infiniti e per quanto tu percorra le sue vie, dice Eraclito, il suo logos è profondo. Questa ragione dell'anima non è logica, ma patologica: fondata sul sentire.

La solitudine è necessaria per volgere lo sguardo all'interno, aprirsi al Mistero. Il successo non è mai stato la preoccupazione di un artista . Piuttosto la fedeltà a sé stessi, alla verità interiore. Richiede coraggio, umiltà e pazienza, specie quando tocca attraversare, in solitudine, il deserto. La vocazione non è una scelta, ma per obbedirle bisogna chiudere le orecchie alle sirene del consenso. Si riconosceranno allora le anime che vibrano alla stessa frequenza, destinate a noi. Allora, sì, gli incontri sono importanti, le relazioni divengono una vera opera d'arte. Perchè nulla è vero finché non è condiviso, nemmeno la bellezza. E questa necessita l'amore, come la creazione.

Mi commuovono le tue parole, osano dire l’indicibile con naturalezza, rispecchiano bellezza, vibrano verità …siamo nel sublime. Grazie ! E questo stato dell’anima ci riporta inevitabilmente ad Eleonora che ha vissuto di arte.

La storia di Eleonora Duse è quella di un mito respinto e sprecato. L'attrice infranse convenzioni di vita, di teatro e scrittura. Le sue lettere sono una "ribellione contro la forma scritta": è una scrittura viva, che risponde a uno stato dell’anima, come la sua interpretazione.

Mi stupisce e mi emoziona la modernità del pensiero della Duse, si tratta di scrittura viva, di stato dell’essere. Sembra dentro il pensare psicoanalitico attuale.

I dodici anni di lontananza dalle scene sono i più carichi di riflessioni sul teatro, in cui inventa un’antitesi al "libro di teatro". La Duse non solo scrive lettere al posto di un libro, ma scrive lettere uniche: un incrocio di lingue, pensieri alti, dettagli minimi, effetti grafici che seguono gli stati d'animo, tutto esprime uno stile inedito.

Anche tu hai scelto di presentarci la Duse tramite carteggi, e non attraverso un excursus biografico tratto da sacri testi. Questo approccio ce l’ha resa più vicina, più vera, abbiamo potuto, tramite l’esperienza emotiva suscitata dalla potenza affettiva delle lettere, condividere la sua realtà.

L’esperienza dell'arte scenica le consente una libertà dalla scrittura "colta", formale, per un uso emotivo della penna. Data la fama dell'autrice, le sue missive circolano, vengono conservate gelosamente, alcune trovano subito pubblicazione. Pertanto, negli anni della maturità, scriverà considerando sia l'interlocutore che la testimonianza che lascia di sé e del suo teatro. Spronata dagli amici scrittori, rifiuta di scrivere un'autobiografia: "- oimè! Che consiglio! - mettere insieme delle parole, cercare i cosi detti "ricordi" – comporre, qualche cosa fra verità e bugia, fra poesia e fittizia umiltà di cuore. - Infine, comporre, aggiustar bene... ". La Duse rifugge l'artificio e il rimaneggiamento. Le lettere erompono dal profondo, dicono direttamente il movimento dei pensieri e dei sentimenti.

È di un’integrità dell’essere che non può accettare compromessi, per lei sarebbe contro l’essenza della vita stessa, sarebbe stato come un vivere per finta.

La Duse preferì vivere e morire di teatro, piuttosto che abdicare al suo Lavoro. Ancora nell'ultima trionfale tournée in America, fino all'ultimo, insistette sulla possibilità di creare, da sola, con i soldi guadagnati, una piccola struttura stabile differente.

Ci sono tre cose che desidero appassionatamente: Lavorare, Vivere, Morire – Tre – appassionatamente e in questo momento, la paura del lavoro mi impanica, e senza lavoro, non c'è motivo di vivere – e morire, non sempre si può quando si vuole [...] Come fare! (chiedo) per "Lavorare" "Vivere" e "Morire"?"

Morì in esilio, spirituale, se non politico. Fu riportata in patria con pomposi funerali di Stato, che non voleva (desiderava un rito umile ed essere sepolta ad Asolo, rifugio degli ultimi anni). La cerimonia di regime fu un ipocrita omaggio post mortem a colei che era stata temuta in vita, per il carattere sovversivo del suo teatro. Alla morte dell'attrice, l'America si fermò spontaneamente. La salma fu esposta per tre giorni e tre notti: migliaia di persone le diedero l'ultimo saluto. La sua nave ritornò accompagnata dal suono delle sirene delle altre che si fermavano per aspettare il passaggio della grande nomade, che tornava a casa. "Eh sì questo è stato il mio destino, viaggiare, viaggiare." Un momento di commozione internazionale straordinario.

Cosa distingueva Eleonora Duse da ogni attrice venuta prima e dopo di lei?

La Duse ha attraversato il teatro per andare altrove. La sua interpretazione fu percepita come una "esperienza mistica", capace di parlare la lingua dell'anima. Lei che parlava sempre in italiano fu compresa in ogni latitudine del mondo, senza bisogno di parole. I suoi silenzi erano densi di emozione e di pensieri leggibili sul volto, come le sue "azioni interiori"; restava immobile anche minuti, ma dentro si agitava un animo inquieto, vulnerabile, ferito.

Lascia intuire un mondo interno ricco di accadimenti che traspaiono al di là delle parole, il suo stato dell’essere parla, lo psiche-soma presente in scena è il vero protagonista.

Orfana di madre a diciassette anni, conobbe presto il dolore più grande, da cui seppe trovare energia per la sua arte. Sul palco la Duse si trasformava, invisibile all'entrata, poteva morire di spalle, gridare in silenzio, sembrar crescere in altezza, mostrare tutti i suoi anni ed essere improvvisamente di nuovo giovane. L'anima volteggiava senza confini di spazio né tempo: una bellezza eterna. Mai vista prima.

La Duse non recitava, viveva veramente, era lei stessa, senza maschere né trucco. Le emozioni arrivano da cuore a cuore, nulla era illustrato né rappresentato, tutto vibrava nella sua anima e toccava le corde profonde del pubblico di ogni ordine e grado. Il teatro della Duse – che non fu solo la più grande attrice, ma abile capocomica, fine intellettuale, generosa creatrice di una casa-biblioteca per attrici bisognose, prima regista donna (non riconosciuta come tale) – parlava senza dire.

Sembra essere la personificazione del paradosso, e per questo è così sorprendente e intrigante. La sua vitalità era così virale da contagiare tutti permettendo di vivere l’esperienza rappresentata in scena, non era questione di assistere a un’interpretazione, ma di sentire, provare, diventare Eleonora e il personaggio che personificava.

Il suo era un linguaggio universale fondato sul sentire, non mediato dai concetti. Stanislavskij diceva che in russo "capire significa sentire".

Che bello, mi piace molto.

La conoscenza vera dell'umano si fonda sul sentimento, non sull'astrazione. Il teatro della Duse fu il più potente esempio di questa comunicazione a tuttotondo, senza barriere: tutti erano invitati a partecipare e goderne, non solo le élite. Si trattava di un sapere primigenio e profondo. Inconfutabile. Gli intellettuali (particolarmente gli uomini di potere) non accettavano una comprensione fondata sull'empatia invece che sull'intelletto (con cui speravano di inculcare idee). Le emozioni sfuggono al controllo.

Come è vero, ora come allora, quanto è difficile sostare sulle emozioni, permettersi di viverle senza arroccarsi al bisogno di capirle per tenerle appunto sotto controllo

Non si può decidere di amare o di odiare: si è vittime delle passioni.

Aiuto, sento già le viscere che si attorcigliano.

La Duse, col suo esempio, sovvertiva un intero sistema di pensiero, non solo un modo di interpretare. L'attrice sente, compatisce, comprende. Il suo modo di vivere e di stare in scena testimonia un'altra idea di umanità, libera da pregiudizi morali e strumentalizzazioni.

Mi sto continuamente chiedendo cosa la differenzia dall’assetto mentale di uno psicoterapeuta o, meglio, sto continuamente riscontrando analogie sostanziali soprattutto pensando alla dimensione ontologica della pratica psicoterapeutica che ha a che fare con l’essere e il divenire più che essere presa dal conoscere e comprendere.

Questa scoperta mi emoziona moltissimo, è stata una sorpresa imprevedibile, ma forse non è del tutto vero perché ci sei tu di mezzo e c’era in me, senza averla pensata, un’aspettativa che andava oltre (il sublime?), e che era come implicitamente scontata ed è stata il motivo per cui ho deciso di esserci. Grazie.

Cosa succede alla Duse proprio a causa del suo essere così emotivamente spudorata, quindi scandalosa?

Per questo l'ostilità nei suoi confronti, l'ostracizzazione e la morte in esilio. Di lei, ancora oggi, nonostante quel fascismo sia tramontato da un pezzo, in Italia rimane l'icona vuota della Diva; "Divina" fu il termine coniato da D'Annunzio – enfatico quanto fuorviante –, ma Eleonora fu invero "umana, troppo umana". Di lei qui non si conosce la cosa più importante. La sua qualità come attrice. Si tratta di un grande rimosso.

Cosa significa essere attrice per Eleonora? Quindi cosa significa interpretare?

In una lettera del 1885 al marchese d'Arcais la Duse scrive:

Recitare? Che brutta parola! Se si trattasse di recitare soltanto; io sento che non ho mai saputo né saprò mai recitare! Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e testa, che mentre io m'ingegno di farle capire alla meglio a quelli che mi ascoltano, quasi volessi confortarle... sono esse che, adagio adagio, hanno finito per confortare me! Come – e perchè, e da quando – mi sia successo questo "ricambio" affettuoso, inesplicabile e innegabile tra quelle donne e me... sarebbe troppo lungo e anche difficile – per esattezza – a raccontare. Il fatto sta che, mentre tutti diffidano delle donne io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito; se hanno peccato, se nacquero perverse, purché io senta che esse hanno pianto, hanno sofferto o per mentire, o per tradire o per amare... io mi metto con loro e le frugo non per mania di sofferenza ma perché il compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo di quello che accordano gli uomini!".

Irina continuerei all’infinito a sentirti, a sentire come racconti Eleonora Duse, la tua/sua è una storia inaudita. Hai interpretato la Duse proprio come lei faceva con i suoi personaggi. Vivendola con profonda commozione e facendocela vivere. Grazie di questo dono che poteva venire solo da te. Eleonora Duse sei tu, è tutte le donne … siamo noi!