Sono bella, o mortali, come un sogno di pietra e il mio seno,
cui volta a volta ciascuno s'è scontrato,
è fatto per ispirare al poeta un amore eterno e muto come la materia.
Baudelaire

Ma cos’è la bellezza? Che valore ha oggi nel contemporaneo? Mesi fa ebbi la fortunata occasione di vedere una mostra al Centro di cultura contemporanea a Palazzo Strozzi a Firenze, una collettiva di cinque artisti, un filo conduttore, l’arte di Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea. Quale spunto migliore se non quello della rappresentazione del corpo umano per riflettere su un concetto di bellezza, di interpretazione, di visione. Pensiamo alla classicità della statuaria greca, alla perfezione, al canone di Policleto, pensiamo alla burrosità dei nudi di Tiziano, alla rigidità cubista, ai corpi fluttuanti di Chagall. Il corpo come involucro di un certo tipo di bellezza. Bellezza intesa come interpretazione del proprio tempo.

Gran parte dell’arte del Novecento ci ha dimostrato quanto l’imperfezione e la bruttezza diventino nuovi canoni estetici. Un esempio interessante di bella mostruosità è sicuramente il lavoro che da subito mi ha colpito della giovane artista svedese Nathalie Djurberg. “Sono bella e muto come la materia”. È proprio di una brutta bellezza materica di cui si occupa il modus operandi della Djurberg. Vincitrice dell’importante e prestigioso Premio Pino Pascali lo scorso dicembre, cattura da subito l’attenzione con le sue video-sculture, figurine di plastilina, riprese con la tecnica di stop motion. Pupazzi che hanno il più alto sapore orrifico, veneri storpie dai grandi seni ipertrofici, dalle forme sinuose e pericolose, dalle smorfie di Meduse sotto effetto di acidi.

La Djurberg dà forma all’incubo, al grottesco, al terribilmente brutto, corona il sogno di una contro bellezza, di una deformazione distorta, inglobante, amplificata. Animali, mostriciattoli, corpi grossolani o terribilmente sottili, volti truccati, capelli in disordine, occhiaie e coloriti non invidiabili, personaggi anonimi, fagocitanti tutto il malessere, si deformano, si contorcono, si decompongono e rinascono da loro stessi. Sono produttori della loro stessa distruzione, rinascono da loro stessi, sono padroni di un'autogenerazione plastica, tattile. Incarnano a tre dimensioni il sogno distorto di Bacon, sono marionette di un teatro a rallentatore, sincopato, a tratti.

Veneri storpie che si mettono a nudo dei loro difetti, eccessive, iperboliche, si mettono in discussione, senza alcun velo di Maya arrivano dritte dritte al disgusto, ricordano l’irriverente percorso fotografico nella moda di Cindy Sherman. Essere brutto è il nuovo trend mood. L’arte della Djurberg è sì perturbante alla maniera di Freud ma è anche ironica, spinge ma non fa cadere, l’aria di gioco, di scherzo, è sempre presente. Sciamana scultrice di una bellezza pasticciatissima, crea maschere che diventano mappe kitsch.

Eros e thanatos si incontrano nella clay animation griffata Djurberg, esorcisti degli incubi più repressi si manifestano a gran voce, sotto ampi riflettori, sono virus appariscenti e materici, ingombranti, dalle opulenze arroganti. Questi personaggi sono incidenti materici, protagonisti di b movies casuali, risorgimenti insorti, aborti abbozzati, antieroi, loser mostrificati, attraversano i tubi catodici della video art più platinosamente contemporanea.