Quando mise piede sul suolo francese nel 1770, Maria Antonietta aveva appena quattordici anni e dietro di sé lasciava l’infanzia, l’Austria, e tutto ciò che aveva conosciuto fino a quel momento. L’arciduchessa, promessa sposa del delfino Luigi XVI, fu subito sottoposta a un rigido e simbolico rituale di de-austrificazione: fu spogliata dei suoi abiti austriaci, dei suoi oggetti personali e fu perfino separata dal suo amato carlino. Nulla di ciò che parlava di Vienna poteva accompagnarla a Versailles. Da quel momento, Maria Antonietta cessò di essere figlia dell’Impero austriaco per diventare nel corpo e nell’immagine, una principessa di Francia.
Accolta inizialmente con entusiasmo da un popolo affascinato dalla sua grazia e giovinezza, la nuova delfina si trovò ben presto al centro di tensioni e sospetti. A corte, infatti, la sua presenza suscitava perplessità. In molti temevano che Maria Antonietta potesse essere il volto elegante di un’influenza straniera e ogni suo gesto iniziò presto a essere osservato, commentato, distorto.
Ben presto la regina divenne bersaglio di libelli: brevi scritti satirici o diffamatori, spesso anonimi, che la ridicolizzavano in modo spietato, accusandola di immoralità, influssi nefasti sulla monarchia e eccessiva dispendiosità. I libelli contro Maria Antonietta si fecero sempre più numerosi e iniziarono a circolare anche al di fuori della Francia. Persino sua madre, l’imperatrice Maria Teresa, venne a conoscenza delle satire cariche d’odio rivolte alla figlia e se da un lato mostrò comprensione per il turbamento di Maria Antonietta di fronte alle insinuazioni sulle sue presunte relazioni amorose, dall’altro si mostrò particolarmente critica nei confronti dello stile di vita e dell’immagine pubblica della regina.
Quest’ultima, però, pur disapprovando gli eccessi della figlia, desiderava ardentemente possedere un suo ritratto. Maria Antonietta, da parte sua, era disposta ad accontentarla, ma lamentava l’incapacità degli artisti contemporanei di restituire fedelmente le sue sembianze.
Fu così che nel 1778, Maria Antonietta decise di rivolgersi per la prima volta a Élisabeth-Louise Vigée Le Brun, la quale la ritrasse nel celebre dipinto Marie Antoinette in grand habit de cour, tutt’oggi conservato presso il Kunsthistorisches Museum. Madame Vigée Le Brun, divenne così la ritrattista ufficiale di Maria Antonietta e si occupò dei ritratti della regina e della corte reale.
Anche durante i soggiorni più intimi al Petit Trianon, Maria Antonietta continuò a farsi ritrarre dall’artista, privilegiando scene di vita quotidiana, lontane dalle rigide convenzioni della corte. Emblematica di questo periodo è l'opera Maria Antonietta in abito di mussola, divenuta oggetto di controversia e scandalo.
Il dipinto raffigura la regina con indosso una chemise à la reine, un semplice abito di mussola bianca ispirato alla moda neoclassica e al gusto pastorale allora in voga tra le aristocratiche inglesi. L’adozione di questo stile segnò un evidente allontanamento dagli sfarzi che avevano caratterizzato i primi anni del regno.
In seguito alla sua gravidanza, infatti, Maria Antonietta modificò radicalmente la propria immagine pubblica: le acconciature smisero di essere voluminose e monumentali, in parte a causa della perdita di capelli dovuta ai cambiamenti fisiologici della gravidanza, in parte per una nuova sensibilità estetica più sobria e naturale.
Quando il dipinto fu esposto al Salon del 1783, suscitò un’ondata di indignazione. L’abito indossato dalla regina fu percepito come troppo informale, al punto da essere associato alla biancheria intima e dunque indegno della dignità regale. Il ritratto fu interpretato come una violazione dell’etichetta monarchica e come una forma di svilimento della figura sovrana. Inoltre, l’utilizzo della mussola, fu interpretato come una scelta anti-patriottica, in quanto non favoriva l’industria tessile francese in un momento di particolare fragilità economica. Questo ennesimo episodio di malcontento popolare, contribuì alla demonizzazione della figura di Maria Antonietta da parte della corte e da parte del popolo.
L’incidente del Salon del 1783 non incrinò il rapporto tra Maria Antonietta ed Élisabeth-Louise Vigée Le Brun. Al contrario, la pittrice, consapevole delle implicazioni politiche e sociali del ritratto contestato, provvide prontamente a sostituire l’opera con una versione più conforme ai canoni del decoro dell’epoca. Nella nuova composizione, la regina mantenne la medesima posa, ma l’abito in mussola fu sostituito con una veste di seta più strutturata, mentre il cappello di paglia lasciò il posto a una toque, un elegante copricapo allora in voga presso le élite parigine.
La collaborazione artistica e il legame personale tra Élisabeth-Louise Vigée Le Brun e Maria Antonietta si protrassero negli anni, consolidandosi in un rapporto di reciproca stima e fiducia. La pittrice continuò a ritrarre la sovrana anche in occasioni ufficiali e in contesti diplomatici, come nel ritratto commissionato dal Ministero degli Esteri per l’ambasciatore francese a Costantinopoli.
Ormai madre di quattro figli, Maria Antonietta aveva progressivamente modificato la propria immagine pubblica, adottando uno stile di abbigliamento più riservato e meno appariscente rispetto agli anni precedenti. Questo cambiamento non fu soltanto il risultato di una nuova sensibilità estetica o delle critiche ricevute, ma anche di un desiderio consapevole di rappresentarsi come madre affettuosa e sovrana responsabile. Tale intenzione trovò la sua espressione più compiuta nel celebre dipinto Maria Antonietta con i suoi figli, realizzato nel 1787 e ultimo ritratto in cui Maria Antonietta posò personalmente per la sua ritrattista preferita. All’inizio di ottobre 1789, quando la Reggia di Versailles fu presa d’assalto e la famiglia reale fu trasferita a Parigi sotto la sorveglianza dell’Assemblea Nazionale, Élisabeth-Louise Vigée Le Brun fu costretta a lasciare la Francia, dando così inizio a un esilio di dodici anni attraverso l’Europa.
Nonostante i dipinti di Madame Vigée Le Brun si discostavano radicalmente dall’opinione pubblica dominante, la figura di Maria Antonietta fu costantemente demonizzata e trasformata in un capro espiatorio dei mali della Francia, complici le sue spese e il suo stile di vita sfarzoso. I libelli dell’epoca la raffiguravano come l’incarnazione della decadenza morale dell’Ancien Régime: frivola, lussuriosa, avida e traditrice. In molti di essi, la regina veniva descritta con toni grotteschi, talvolta in atteggiamenti osceni, attraverso un linguaggio volutamente volgare e denigratorio, volto a disumanizzarla agli occhi del popolo.
A tal proposito, emerge un netto contrasto tra la rappresentazione di Maria Antonietta nella storia dell’arte e nella propaganda rivoluzionaria. Se quest’ultima non esitava a ritrarla anche sul patibolo, la narrazione artistica coeva sembra invece voler preservare l’immagine della regina. L’arte del tempo evita accuratamente di raffigurarla nell’atto dell’esecuzione o di disumanizzarne la figura, bensì si concentra su momenti più intimi e dignitosi, ritraendola esclusivamente durante la prigionia o nel tragitto verso il patibolo. Sottolinea Lionello Puppi:
La spettacolare ritualità del supplizio conosce solo eccezionalmente trasposizione esplicita nella produzione visiva alta.
Un esempio significativo è l’opera di William Hamilton, realizzata nel 1794, un anno dopo l’esecuzione di Maria Antonietta. Hamilton realizza una scena intensa e carica di pathos, in cui la regina è rappresentata quasi come una martire. Avvolta in un abito bianco, la sua figura è illuminata da una luce proveniente dall’alto, isolandola dal tumulto della folla. Lo sguardo, rivolto verso il cielo, suggerisce la ricerca di una redenzione divina. Hamilton trasforma così l’ultima apparizione pubblica della regina in un’immagine sacralizzata, sospesa tra tragedia storica e spiritualità.
Nel luglio del 1800, ormai stabilitasi fuori dalla Francia, anche Madame Vigée Le Brun eseguì un ritratto postumo di Maria Antonietta, il quale fu inviato a Maria Teresa di Francia, unica figlia sopravvissuta della regina. In questa opera, Maria Antonietta è rappresentata con un semplice abito di mussolina bianca, lo stesso per il quale nel 1783 era stata aspramente criticata. A distanza di diciassette anni, l’abito bianco in mussola restituisce alla regina la grazia e la serenità che la tragedia le aveva tolto.
Alla morte di Maria Antonietta il popolo francese fu prevalso dall’entusiasmo, tanto da inviare lettere di congratulazioni per il lavoro svolto al Tribunale rivoluzionario: «Ecco abbattuto il secondo mostro regale» scriveva il popolo. Al contrario, il mondo monarchico cercò di rassegnarsi alla tragedia. Dopo le rispettive esecuzioni, i resti di Luigi XVI e Maria Antonietta furono inizialmente gettati in una fossa comune in rue d’Anjou, per poi essere sepolti nella necropoli reale di Saint-Denis solo nel 1815.
In poco tempo la figura di Maria Antonietta ottenne tutto ciò che in vita le era stato negato: l’ammirazione e il perdono del popolo. Le stesse persone che avevano contribuito ad infangare la sua reputazione, divennero suoi incondizionati difensori. In Francia si sviluppò il culto della regina martire, un processo di romanticizzazione già avviato dalla produzione artistica dell’epoca. Anche in questa occasione, William Hamilton realizzò un altro dipinto in onore del martirio dei sovrani: Luigi XVI siede al centro in atteggiamento di preghiera, Maria Antonietta è in ginocchio a sinistra mentre un angelo le pone la corona sul capo; Madame Elisabeth tiene in braccio Luigi XVII, mentre un angelo consola la superstite Maria Teresa. In alto a destra, Minerva, dea romana della giustizia e della sapienza, sorveglia la scena.
Indubbiamente la morte tragica della regina, contribuiva a gettare una luce di nobiltà sulla sua figura, anche poco dopo la sua esecuzione nelle carceri della Torre si era sparsa la voce della grandezza e del coraggio di Maria Antonietta. La fermezza del suo carattere, non era di certo una novità per coloro che le erano stati vicino durante la sua reggenza.
Oggi l’ultima regina di Francia non viene più considerata una delle più grandi criminali della storia, al contrario suscita interesse e compassione e come commentarono i fratelli Goncurt nella loro biografia del 1858:
In questo secolo di donne, nulla di femminile viene perdonato alla regina.