Di recente, in vista di un esame di Art Market, ho avuto l’occasione di approfondire le vicende di due figure tanto affascinanti quanto poco note al grande pubblico: Pietro Camuccini e Alexander Day. La loro storia, che ho scoperto grazie alle ricerche del professor Pier Ludovico Puddu, apre una finestra privilegiata sul mondo dei mercanti d’arte tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quando Roma era al tempo stesso una capitale culturale e un crocevia di commerci che parlavano già un linguaggio internazionale.

Day e Camuccini trovano la loro fortuna proprio all’interno delle aristocrazie romane, messe sotto pressione dalle ingenti richieste economiche del governo francese che, in quegli anni, occupava la città. È in questo contesto di crisi e di necessità che i due mercanti riescono a muoversi con abilità, intercettando opere e collezioni destinate a cambiare proprietario. Tra le loro operazioni più significative si annoverano le alienazioni di due tra i patrimoni artistici più prestigiosi di Roma: le collezioni Colonna e Aldobrandini, autentici scrigni di capolavori che finirono per alimentare il mercato internazionale e per ridefinire il gusto dei collezionisti europei.

Per comprendere appieno la portata degli affari di Day e Camuccini, basti considerare che la collezione Aldobrandini rappresentava appena il dieci per cento delle loro operazioni complessive. Tra le opere più importanti acquistate e trattate dai due mercanti figurano dipinti di Andrea del Sarto, Annibale Carracci, Giorgione e molti altri maestri del Rinascimento e del primo Seicento. Spiccano in particolare due straordinari Baccanali, uno di Tiziano e uno di Giovanni Bellini, che diverranno protagonisti delle successive divisioni patrimoniali, quando Day e Camuccini, dopo anni di proficua collaborazione, decideranno di separare le proprie strade.

Analoga rilevanza ebbero le alienazioni provenienti dalla collezione Colonna, perfettamente in linea con il gusto degli acquirenti d’Oltremanica. La professoressa Maria Cristina Paoluzzi offre un prezioso insight sulle vicende di Casa Colonna in età napoleonica, mettendo in luce come a dominare fosse la grande pittura di paesaggio del Seicento romano, con opere di Salvator Rosa, Claude Lorrain, Poussin e Gaspard Dughet. A questa si affianca la scuola bolognese, rappresentata da Guido Reni insieme a Domenichino, Guercino, Albani e Cagnacci. Più limitata la presenza del Cinquecento, con eccezioni di grande rilievo come lo Sposalizio del Parmigianino e la Venere e Amore di Paolo Veronese. Completano il quadro Rubens e Brueghel, maestri senza tempo che continuano ancora oggi ad affascinare il mercato internazionale.

Vista la spregiudicatezza e le abilità dei due mercanti, non sorprende che le loro acquisizioni non si limitassero alle collezioni aristocratiche, ma si estendessero anche al patrimonio dello Stato Pontificio. Day e Camuccini seppero approfittare delle circostanze in cui verteva la capitale, per entrare in possesso di opere di straordinaria qualità e valore storico. Intorno al 1800 raggiunsero così l’apice del loro successo, trafugando oltre trenta dipinti di eccezionale pregio con l’obiettivo di trasferirli e rivenderli a Londra, dove la domanda per l’arte italiana era in piena espansione.

È proprio nella capitale inglese che, il 2 febbraio 1801, Day e Camuccini inaugurano una mostra al numero 20 di Lower Brook Street, presentando al pubblico una selezione delle opere più importanti della loro collezione. L’esposizione, concepita non solo come occasione di vendita ma anche come affermazione di prestigio personale, attirò l’attenzione dei principali collezionisti e intenditori britannici, consolidando la reputazione dei due mercanti come figure centrali del mercato artistico internazionale dei primi anni dell’Ottocento.

Fu così che molte opere italiane presero la strada delle collezioni d’Oltreoceano: alcune sono oggi esposte nei musei, altre rimangono in collezioni private. Tra le più celebri si segnala la Pala Colonna, appartenente all’omonima collezione e oggi conservata al Metropolitan Museum di New York, venduta a Day e Camuccini da Filippo III Colonna per 8.000 scudi. Non meno importante è il Ganimede rapito dall’aquila di Damiano Mazza, oggi a Londra, alla National Gallery, a testimonianza della portata e della qualità delle opere trattate dai due mercanti.

image host Parmigianino, Matrimonio mistico di santa Caterina d'Alessandria (o Sposalizio), databile al 1529 circa e conservato nella National Gallery a Londra.

Più singolare è invece la vicenda dei due Baccanali di Casa Aldobrandini, di cui ho accennato all’inizio dell’articolo: il Bacco e Arianna di Tiziano, oggi alla National Gallery di Londra, e il Festino degli dei di Giovanni Bellini, conservato alla National Gallery of Art di Washington. I due dipinti facevano parte della cosiddetta “roba di comune pertinenza”, ovvero delle opere di cui Day e Camuccini erano comproprietari.

Il Bacco e Arianna fu venduto nel 1806 a James Irvine per conto di William Buchanan, mentre il Festino degli dei venne acquistato da Camuccini grazie a un abile raggiro nei confronti di Day, con l’aiuto di un prestanome. I due mercanti avevano deciso di vendere l’opera, ma Camuccini finse di cederla per poi riacquistarla in un secondo momento, divenendone così l’unico proprietario. In questo modo evitò di dover coinvolgere Day in una futura trattativa di vendita, assicurandosi il pieno controllo dei profitti. Parallelamente alle attività condotte insieme a Day, Camuccini portava avanti anche acquisizioni autonome, volte ad arricchire la propria collezione personale.

La collaborazione tra Day e Camuccini si interruppe nei primi anni dell’Ottocento, in un momento di profonda trasformazione per il mercato artistico romano, ormai in transizione dalla libera speculazione settecentesca a un sistema sempre più regolamentato. Le nuove normative emanate sotto il pontificato di Pio VII, volte a controllare l’esportazione delle opere d’arte, limitarono drasticamente la libertà d’azione dei mercanti, imponendo autorizzazioni, inventari e vincoli che rendevano rischioso ogni trasferimento non ufficiale di beni artistici. In questo clima di crescente sorveglianza emerse la figura di Carlo Fea, erudito e commissario delle Antichità, tra i primi a riconoscere l’urgenza di una tutela organica del patrimonio romano.

image host Damiano Mazza, Ratto di Ganimede, dettaglio, 1575, National Gallery di Londra.

Fu lui a opporsi apertamente alle attività di Day e Camuccini, accusandoli di aver sottratto e esportato illegalmente opere appartenenti allo Stato Pontificio, segnando così la fine di una stagione di affari tanto fortunata quanto controversa nella storia del collezionismo europeo.