"È piuttosto anormale che invece di vivere una persona passi il proprio tempo cercando di copiare una testa, immobilizzando qualcuno su una sedia ogni sera, la stessa persona per cinque anni, cercando di copiarla senza riuscirci, e comunque andando avanti così. Non è un'attività che si possa chiamare esattamente normale, non credete?".

Certo, la moderna psichiatria potrebbe avere molto da raccontarci sulla personalità complessa, per molti versi distorta, di uno dei più grandi maestri dell'arte del '900. Lo stesso Giacometti, come racconta nei suoi scritti, si sente strano. Ma per niente al mondo avrebbe rinunciato a quella affannosa, angosciante e faticosa ricerca della verità che lui inseguiva esplorando le tensioni che in tante ore e giorni di posa si creavano tra lui e i suoi modelli. Poche furono le sue 'muse-vittime', e sempre persone che conosceva molto bene: il fratello Diego, la moglie Annette, l'amico professore di filosofia giapponese, Isaku Yanaihara, l'artista Isabel Rawsthorne, donna forte e spirito libero, Caroline la prostituta ventenne incontrata in un nightclub a Montparnasse nei suoi ultimi anni di vita. Di idee comuniste, fu coinvolto nella vita politica, ma anche in quella dei bordelli parigini dove trascorreva molte notti, fino alla loro chiusura che trovò 'intollerabile'. Fumatore accanito, non faceva caso all'eleganza e vestiva gli stessi abiti inzaccherati di colori e gesso anche quando non era nel suo studio.

"Ho sempre aspirato a esprimermi nel modo più diretto e più crudo possibile, e forse, se una cosa viene trasmessa direttamente, la gente la trova orripilante. Perché, se dici qualcosa in modo molto diretto a una persona, questa a volte si offende, anche se quello che hai detto è un fatto. Perché la gente tende a essere offesa dai fatti, o da quella che una volta veniva chiamata verità".

Di sicuro Francis Bacon non si lasciava intimidire dai giudizi del pubblico e la sua verità la raccontava in maniera brutale. Forse la cercava anche in maniera brutale, perché lui, omosessuale, amava la violenza e non apprezzava amanti troppo teneri. Comunque, da quando il fotografo Cecil Beaton si inorridì guardando il ritratto per cui aveva posato, Bacon prima distrusse l'opera e poi non chiese più ai modelli di posare nel suo atelier, ma usò solo le loro fotografie. Così spiegava: "Non voglio fare di fronte a loro quelle ingiurie di cui saranno oggetto nel mio lavoro".

Droga, vino e scommesse non vennero mai meno nella sua vita, così come le situazioni compromettenti, dovute spesso ai suoi desideri sadomaso; né mancarono i contatti con le aree più basse e degradate della società. Ma le sue camicie erano sempre stirate e i suoi abiti impeccabili. Politicamente si definitiva un 'liberale di vecchio stampo' e sono famose le sue cene nei ristoranti più esclusivi dove ordinava senza badare ai costi lasciando mance esagerate. Cacciato di casa dal padre, maggiore dell'esercito britannico, che lo aveva sorpreso sedicenne mentre si provava la biancheria della madre, Bacon sarà profondamente scosso dalla morte delle persone a lui più vicine, a partire dalla sua ex bambinaia, Jessie Lighhfoot, con cui per anni ha condiviso l'abitazione, fino a quella del violento amante Peter Lacy e del nuovo compagno George Dyer. "La vita è così violenta; molto più violenta di qualsiasi cosa io possa dipingere", replicò a chi gli faceva notare l'esacerbante ferocia contenuta nei suoi dipinti.

Cosa c'è in comune e che cosa differenzia l'arte di Bacon e di Giacometti, due tra i più grandi protagonisti del Novecento? Il primo irlandese trapiantato a Londra, il secondo svizzero vissuto per la maggior parte della sua vita a Parigi, si conobbero solo nel 1960, tributandosi reciproca stima, forse solo in maniera formale. Una mostra della Fondazione Beyeler a Basilea (in collaborazione con la Fondazione Giacometti di Parigi) ci sfida a un confronto serrato tra le loro opere, accostando il grigio monocromo e l'apparente quiete e staticità dell'arte di Giacometti ai colori brillanti e ai volti deformi di Bacon.

"Le opere parlano tra loro e si arricchiscono reciprocamente", diceva Ernst Beyeler, il mercante d'arte svizzero che ha dato vita alla fondazione omonima e che li aveva conosciuti entrambi. Le immagini, dipinte o scolpite, che si susseguono nei luminosi spazi dedicati alla mostra ci raccontano in maniera quasi teatrale la storia di uomini e donne nella loro trasformazione dopo le atrocità delle due guerre mondiali. È il lato oscuro e sgradevole del genere umano quello che colpisce nelle urla silenziose dei volti di Bacon, nella sofferenza di quella carne viva che si contorce, spoglia anche della speranza.

La stessa facciata nascosta e fragile si rivela nei ritratti muti e senza espressione di Giacometti, nelle figure piatte e allungate, che lui ha aggredito con un coltello strappando la carne dal corpo fino a renderlo delicato, quasi invisibile. Né l'artista svizzero, né quello inglese si arresero mai alla corrente dominante del tempo, quella dell'astrazione. La figura umana restò sempre per loro il punto di inizio e quello di arrivo in un viaggio ossessivo e intimo, nell'urgenza di esplorare la sofferenza del genere umano.

Attraverso un centinaio di opere provenienti da grandi musei e collezioni private, la mostra di Basilea (29 aprile -2 settembre), svela una dopo l'altra le affinità di due percorsi diversi e geograficamente distanti. A cominciare dalle strutture spaziali in cui sia Bacon che Giacometti imprigionano i loro 'attori', vere e proprie 'gabbie' che da una parte focalizzano l'attenzione dello spettatore sul loro contenuto e dall'altra simboleggiano la reclusione dell'uomo, la sua repressione entro confini limitati.

A La Gabbia e Palla Sospesa di Giacometti fanno eco Duna di sabbia e le orribili urla di Papa Innocenzo X e della balia della corazzata Potemkin in Studio per ritratto VII e Studio per la Nurse nel film Corazzata Potemkin di Bacon. Simile nei due artisti anche l'assillante e quasi morboso processo di deformazione dei volti, così anche la costante insoddisfazione e la convinzione di continui fallimenti dai quali traevano l'energia per nuovi tentativi. Ma ovviamente le differenze non mancano. "Giacometti e Bacon erano egocentrici e individualisti nell'arte, con diversi background culturali e forti divergenze nelle loro rispettive opere", sottolinea Ulf Kuster, curatore della mostra. "Nell'esposizione non c'è alcuna intenzione di minimizzare questi contrasti. Il nostro proposito non è dare risposte, quanto, piuttosto, fare domande. Ed è affascinante accorgersi che guardando Bacon si capisce di più Giacometti. E viceversa".

Come spesso accade la vita privata di un artista diventa la chiave di volta per capirne l'opera e l'intreccio di due percorsi culturali trova a volte occasioni personali per svilupparsi. Isabel Rawsthorne, pittrice, modella, donna anticonformista fatale e travolgente degli anni Trenta del secolo scorso rappresenta certamente una di queste opportunità per Giacometti e Bacon. Fu lei a presentarli e a influenzare la loro vita artistica come intellettuale e come modella. Amante di Giacometti per lungo tempo, sembra essere stata l'unica donna con cui Bacon ha avuto una breve relazione sessuale. Nella mostra della Fondazione Beyeler la incontriamo eretta dentro una delle 'gabbie-prigioni', che affronta con sguardo di sfida un toro minaccioso (Ritratto di Isabel Rawsthorne in piedi in una strada di Soho). Così la vede il pittore inglese, mentre Giacometti ce la presenta segnata dal tempo e dalle rughe in Testa di Isabella, ma anche nella visione più dolce di Donna sul carro, esile figura ieratica in gesso posta sulle ruote di un carretto di legno. Erano gli anni della guerra che Giacometti trascorse con sua madre in Svizzera mentre Isabel era a Parigi. Quelle ruote erano forse il modo per accorciare la distanza a cui gli eventi bellici li costringevano.

Altri momenti della vita dei due artisti trovano eco nelle sale della mostra. Tra i giganteschi e inclementi trittici di Bacon ecco In ricordo di George Dyer, l'amante che si suicidò in una stanza d'albergo di Parigi il giorno prima della maxi esposizione al Grand Palais, il più grande riconoscimento che l'artista avesse allora mai ricevuto. E davanti all'umanità sfigurata di Bacon una selva di persone sottili, spolpate, ridotte quasi a scheletri grigi, oscuri fantasmi di esistenze offese e avvilite. In mezzo a loro, quasi a volerci ridare una speranza, c'è l'Uomo che cammina. Ma dove andrà quell'uomo? E quelle donne, alte più di due metri, immobili, eppure cariche di potenziale energia? Noi che siamo i loro figli o i loro nipoti ancora non lo sappiamo. Lo stesso Giacometti non sembra riuscire a indicarci una strada. A sua madre, che gli chiedeva come mai non scolpisse donne con le forme di donna, lui spiegava così: "Inizio sempre con sculture belle tonde, ma poi finiscono filiformi; dipingo con colori intensi, ma finiscono grigi".

Sono trascorsi 60 anni da quelle opere: la mèta dell'Uomo che cammina appare oggi persino più lontana.