Marco Vichi nasce a Firenze nel 1957. Dalla sua biografia scopriamo che a otto anni lesse il suo primo romanzo per adulti, e – dalle forti emozioni suscitate dalla lettura – decise di percorrere la stessa strada, ma nelle vesti di narratore. Spinta che lo accompagnò anche per tutti gli anni dell’adolescenza, finché qualcuno non gli chiese quando e se avrebbe iniziato a fare sul serio. Un percorso lungo decenni che ci ha consegnato svariati romanzi e racconti. Nell’intervista che ci ha concesso, però, diamo uno sguardo approfondito sui progetti più recenti e sulle letture che ci attendono.

È d’obbligo chiederti – a seguito della pubblicazione della nuova avventura del commissario Bordelli – che legame c’è tra uno scrittore e un personaggio così gradevolmente ingombrante.

Per quanto mi riguarda, al commissario Bordelli mi lega un sentimento di profonda amicizia. Mi è stato simpatico fin dall’inizio, e romanzo dopo romanzo ho imparato a conoscerlo sempre meglio. È un uomo pieno di difetti, ma onesto e consapevole. E la sua ironia mi ricorda quella di mio padre.

Il 2017 ha – altresì – regalato ai tuoi lettori: La foresta del silenzio e Il Bosco delle streghe. Volumi molto diversi ma che spingono il lettore verso boschi e foreste; ambienti che paiono a te congeniali. Ci sveli il perché di questa fascinazione?

Mi piace camminare nei boschi, e cerco di ritagliarmi più tempo possibile per andarci. La solitudine e il silenzio sono una mia piacevole esigenza. Camminando, scrivo. Ho anche la sensazione che nei boschi le storie arrivino più facilmente, anche quelle ambientate in città.

Hai recentemente collaborato all’antologia: Gli Stonati in memoria di Marco Pannella. Come sei stato coinvolto nel progetto e perché ne sei rimasto affascinato?

La storia ci insegna che il “proibizionismo” è sempre stato un danno per lo Stato e un vantaggio per le mafie. Siccome è una facile verità, mi sorge il dubbio che proibire certe “sostanze” (tranne tabacco e alcol, cioè molti soldi per lo stato e molti morti ogni anno, più o meno 50.000) faccia comodo a qualcuno come moneta politica di scambio. Preferisco uno Stato che educa, piuttosto che uno Stato che proibisce e punisce. Ovviamente, basta che chi assume certe sostanze non metta in pericolo gli altri, ma questo fa parte delle regole.

La narrativa per l’infanzia ha un posto di prim’ordine nella tua opera. C’è una differenza nelle dinamiche creative quando ti rapporti a questo genere?

Nessuna differenza, se non una certa “paura” nell’affrontare le storie per bambini…

Puoi già anticiparci qualche dettaglio sui progetti cui ti dedicherai nel 2018?

Dovrebbero uscire tre libri. Il commissario Bordelli a fumetti, disegnato da Giancarlo Caligaris, lo stesso disegnatore che ha fatto la bellissima copertina dell’ultimo romanzo, Nel più bel sogno. Una raccolta di racconti, dove una parte sarà dedicata a racconti sul Bangladesh, nati dalle storie che mi ha raccontato Alessandro Mossini, il fondatore dell’associazione Filo di Juta che opera da quasi vent’anni in quella parte del mondo, “portando la scuola dove non c’è”, e occupandosi di sanità e di bimbi abbandonati: saranno racconti a volte tremendi che raccontano un Bangladesh del tutto diverso da quello che molti immaginano. E verso Natale dovrebbe uscire un romanzo, Per nessun motivo, che si svolge a Parigi.