Risulta questione non semplice stilare un quadro di riferimento chiaro ed esauriente sulla gestione del patrimonio verde pubblico alla luce dei molteplici accordi internazionali sul clima, degli indirizzi e le normative nazionali in tema di sviluppo del verde urbano, della tutela degli alberi monumentali, dei patti dei sindaci e dei piani di azione per l'energia sostenibile delle città moderne. In un quadro traboccante di misure, leggi, indirizzi e convenzioni tra le grandi potenze mondiali, gli stati nazionali e i governi locali, si inserisce un paradosso che non abbandona la scena internazionale, e cioè quello per cui “L’ecologia si trova in contrapposizione diretta con il pensiero dominante, il quale continua a vedere il pianeta come un terreno di sfruttamento ad alto rendimento, illimitato, inesauribile” (Gilles Clément, 2014).

Se il pensiero sulle annose questioni sempre aperte della gestione degli spazi aperti, l’assetto del territorio, del consumo di suolo e loro sostenibilità si divide tra i principi partoriti dal Summit di Kyoto (ribattezzato sempre da Clément come diritto all’inquinamento) e le teorie dei negazionisti del cambiamento climatico, è oramai consolidata l’idea che solo buone disposizioni di legge che regolino il rapporto emissioni-compensazioni possano invertire l’ineluttabile declino planetario. In una sola parola la Green Economy, ormai ribattezzata da alcuni autori, tra cui Fritjof Capra, Green Business.

L’inquinamento crea mercato come qualsiasi altro bene, fa scendere e salire le borse. E della crisi economica c’è chi ne approfitta. E così gli slogan sull’ambiente e i miti da sfatare riempiono le pagine dei giornali. Perché accade tutto questo? Ho provato a chiedermelo e ho pensato a un detto veritiero la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Partiamo quindi dalle grandi convenzioni mondiali sulla biodiversità e la sua preservazione; si risale quindi al 1992, agli accordi sul clima e sulla riduzione delle emissioni di Co2, impegni presi ormai da decenni e rimandati di quinquennio in quinquennio senza quasi alcuna risoluzione. Una cosa è certa: la tecnologia del XXI secolo si pone sotto il segno dello sviluppo sostenibile. C’è un ampio decalogo del buon cittadino che deve rispondere a certe regole se non vuole essere anche lui responsabile del degrado ambientale planetario.

Se gli ecologisti profondi rimangono trincerati dietro rigorosi precetti e cercano di resistere all’assalto qualunquista del sostenitore della crescita illimitata, panacea dell’economia di mercato, e mentre il Green Business si organizza per accaparrarsi anche il mercato dell’alimentare biologico, la comunicazione ci inonda e confonde con analisi contraddittorie, bilanci di catastrofi, profezie apocalittiche, spesso azzardate. Per non citare tutto il capitolo della gestione rifiuti e delle energie rinnovabili. La grande beffa degli incentivi al fotovoltaico, l’aumento delle quote fisse nelle bollette dei contribuenti anche quando i combustibili provengono da energie rinnovabili, i costi aggiuntivi delle società di gestione per la raccolta differenziata come ho riportato in un grafico.

Da qui il passo è breve per arrivare alle eco-mafie e alle agro-mafie, con i numeri di questi giorni sul giro d’affari miliardario che ne consegue (vedi il rapporto Eurispes –Coldiretti 2015 sui crimini agroalimentari in Italia). “I benefici per l’ambiente non hanno prezzo” scrive un giornalista sulla Repubblica, ma siamo sicuri che quello è il giusto prezzo al contribuente? Sembra una regola quella che conti più di tutte – anche per questa ecologia imbavagliata – "rende o non rende?". Allora sorge il sospetto tra chi si fa osservatore di quello che accade in molte città italiane nell’ambito del settore della gestione del verde e sul concetto di “capitale naturale” diffuso dall’Unione Europea. Oggi che gli humana continuano a non sentirsi in un rapporto di equivalenza con gli altri esseri viventi – “ma in grado di esercitare un dominio costante e doveroso” – la civiltà moderna tiene a distanza l’ambiente. Il territorio del dominio della natura è per eccellenza l’ambiente antropizzato. Mi chiedo se c’è un disegno preciso dei governi a mantenere questo stato delle cose, come si sta facendo da anni con l’affare salute “curando i sintomi e non le cause delle malattie creando una società cronicizzata che consuma prodotti farmaceutici”.

Allo stesso modo si sta facendo con la crisi ambientale, mantenendo un equilibrio tra degrado controllato e soluzioni “green” che assicurano un ingannevole lavaggio delle coscienze. Un pianeta malato terrorizza le masse e le rende più docili all’avanzamento di politiche dell’emergenza, che non permettono processi di concertazione e tanto meno di partecipazione della comunità locale, che diventa asservita e consumistica con un modello di evasione alienante. L’affare dell’ultima ora è fattibile solo nelle situazioni di emergenza “pianificata”.

Per sommi capi la situazione internazionale si può sintetizzare con gli ultimi accordi (Nazioni Unite GOALS POST2015) sul SDGs Sustainable Development Goals e gli obiettivi scaturiti dal Biodiversity SUMMIT for Cities and National Governments (2014) con 20 target specifici che invitano le parti e i governi locali e sovranazionali a supportare il loro raggiungimento attraverso Piani di Azione per la biodiversità nazionali e locali.

Come si raggiunge l’obiettivo di incrementare la biodiversità nella pianificazione urbana e periurbana? Cosa significa rafforzare il capitale naturale? Incentivare, anche attraverso il finanziamento di 125 milioni di euro nel solo triennio 2014-2017, a realizzare infrastrutture verdi, quindi contrastando il trend opposto che vede la riduzione del numero di specie viventi sia come consistenza che come varietà a causa di diversi fattori. Il piano strategico per la biodiversità è chiamato con lo slogan “vivere in armonia con la natura”. Le infrastrutture verdi sono: parchi, giardini, verde verticale, viali, orti urbani, parchi agricoli, piste ciclabili dotate di verde, corridoi e cinture verdi urbane, tetti verdi, ecc.

Di questo i teorici e i filosofi del governo del sistema ambiente a livello ormai planetario ne parlavano chiaramente e diffusamente con testi chiari e operativi già trenta anni fa. Il sistema urbano, la città, diffusa o meno che sia, va considerata un sistema, come un megaorganismo con cellule, se queste cellule/vacuoli che formano delle maglie sono isolati tra loro dalle barriere del costruito (edifici/aree industriali impermeabilizzate/strade e ponti) senza soluzione di continuità si impedisce la sopravvivenza delle città stesse, che per forza di cose sopravvivono del capitale naturale che è dentro di esse, non fuori a centinaia o migliaia di km di distanza. È lo stesso principio del sistema introdotto dalla Green Economy che consente alle aziende che inquinano in Europa o altrove di compensare acquistando crediti di carbonio nelle foreste Amazzoniche. Nel frattempo i danni fatti sui luoghi di emissione non si contano in termini di salute, disagio sociale, disoccupazione e conseguenti crisi economiche.

Veniamo al caso italiano: il Ministero per l’ambiente dovendo rispondere agli impegni internazionali sullo sviluppo sostenibile e il rafforzamento del capitale naturale emana la legge Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani (L. 10/2013). In attuazione all’articolo n. 7, in accordo con il Corpo Forestale dello Stato, viene emesso un Decreto Ministeriale nell’ottobre 2014 Istituzione dell’elenco degli alberi monumentali d’italia, principi e criteri per il loro censimento.

Bisogna soffermarsi in modo critico non tanto sulla bontà della legge, che era indispensabile e necessaria per il governo del territorio, ma su alcune contraddizioni. Viene emanata con l’obiettivo di monitorare l’efficacia di altre leggi già in vigore come la Legge 113/1992, Piantare un albero per ogni nuovo nato, poi a livello di Regioni di rispettare disposizioni con finalità di incremento del verde pubblico e privato, soprattutto a salvaguardia e gestione delle dotazioni standard previste dai vigenti strumenti urbanistici (DMLP n.1444 2 aprile 1968). Ovverosia è una legge a servizio di altre disposizioni di legge.

Altro punto riguarda il capitolo sulla promozione di iniziative locali per lo sviluppo del verde urbano: coperture a verde, incremento e tutela delle piante in aree scoperte, edifici, verde pensile e verticale, grandi aree verdi pubbliche in zone ad alta densità edilizia. Si danno delle opportune indicazioni per raggiungere un piano nazionale univoco sul verde urbano a mero titolo di incentivo ma lo strumento non è cogente. Chi lo rispetterà? Non si incentivano così le amministrazioni locali invece a far man bassa di alberature prima che la legge diventi coercitiva in extremis?

Allo stesso modo il decreto attuativo, che con numerosi e articoli ben indicati e circostanziati sul capitale arboreo e la sua valutazione, avrebbe imposto entro il luglio 2015 per tutti i comuni italiani la redazione degli elenchi delle piante monumentali da fornire alle regioni e al Corpo forestale (con opportune schede di rilevazione), non individua sanzioni per i comuni che contravvengono a questa Legge. Di grande interesse invece lo stanziamento previsto pari a 2 milioni di euro nel 2013 e un milione nel 2014 (fondo per interventi strutturali di politica economica) e la creazione di una Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, di nove membri, che oltre ad attuare un monitoraggio perché gli indirizzi di legge vengano messi in atto, stila annualmente una relazione in collaborazione con Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e Istat in cui vengono monitorati i dati sullo stato dell’arte nei capoluoghi di provincia italiani, sulla consistenza degli strumenti prioritari necessari per il piano nazionale. Per quanto sia un'anomalia tutta italiana il fatto che debba costituirsi una commissione ad hoc che faccia rispettare la legge.

In realtà – afferma la commissione – la legge rende di fatto cogente per gli amministratori comunali l’obbligo di redigere un bilancio arboreo (art. 2) e un censimento degli alberi monumentali (art. 8) per avere una banca dati aggiornata della situazione del patrimonio arboreo regionale e nazionale. Peccato che il bilancio arboreo (differenza tra alberi abbattuti e alberi rimpiazzati o messi a dimora ex novo) non sia indicativo delle compensazioni di anidride carbonica, la famigerata Co2, di una città!

Riferimenti bibliografici

Capra F., La nuova saggezza, Feltrinelli, 1988.
Capra F., Luisi P., Vita e natura. Una visone sistemica, Aboca Edizioni, 2014.
Clement G., Il giardiniere planetario, 22Publishing, 2004.
Clément G., Il manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, 2004.
Clément G., L’alternativa ambiente, Quodlibet, 2014.
Diamond J., Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, 2005.
Luisi P., Sull’origine della vita e della biodiversità, Mondadori, 2013.