L' altalena dei dazi continua ad allarmare gli osservatori qualificati e i mezzi d'informazione: persone e strumenti che si occupano solo di questioni marginali al soldo dei grandi potentati finanziari.
Questi ultimi, infatti, oltre a possedere gran parte delle azioni di borsa (potendo influire sulle economie e sugli Stati spostando pacchetti di esse a seconda dei risultati soprattutto politici che si vogliono conseguire) hanno a che vedere con il debito complessivo del pianeta: si sta parlando di milioni di miliardi di dollari (oggi, nell'era dei trilioni, si arriva a considerare i quadrilioni, cioè le migliaia di trilioni); contro un'economia reale che - sia in termini di PIL che di valore in borsa - raggiunge a malapena i 100mila miliardi di dollari ovvero i 100 trilioni).
Questa situazione sta preoccupando le banche centrali che, dopo il 2008, hanno cominciato ad immettere mezzi monetari a corso legale illimitatamente (sono parole loro) tradendo quella che era stata, secoli fa, la loro missione, ovvero sottrarre al sovrano (re, oligarchia o popolo) il controllo della creazione monetaria a corso legale; la paura, per non dire il panico, di fronte alla prospettiva di venire spiazzate da qualche valuta digitale espressione di non meglio identificati nuovi poteri, le ha spinte a minacciare due cose sbagliate, forse impossibili, certamente controproducenti: l'eliminazione del contante e la immissione di una nuova liquidità digitale e a block chain - ovvero non più controllabile da remoto - creata da loro e non dal tycoon di turno.
Così, l'economia reale, rappresentata dal PIL, dai titoli riconducibili ad attività produttive e da quanto viene approntato dentro e fuori dai circuiti ufficiali (criminalità ben organizzata a parte) oltre a costituire un cinquantesimo di tutta la fuffa finanziaria, ha le sue preoccupazioni.
In effetti, l'andamento delle borse sta dando due segnali: primo, chi ha guadagnato di più negli ultimi due anni ha perso maggiormente adesso (banche, alte tecnologie, energia) e, viceversa, hanno perso di meno i titoli meno ambiziosi come servizi o generi di consumo (con rafforzamento dei beni rifugio, soprattutto l'oro e non solo); secondo, è in atto un cambiamento non gradito alla grande finanza.
Siccome l'idiota guarda il dito quando si indica la Luna, questo secondo aspetto è risultato molto meno esaminato. E, invece, esso riguarda tutti - anche la casalinga di Voghera - non solo chi gioca o investe nelle borse, ovvero nei campi più ambiti dell' economia, ma, non per questo di maggior importanza.
Orbene, se l'obiettivo di Trump è di arrivare ad una svalutazione (concordata) del dollaro per sostituire importazioni e far crescere occupazione interna e salari; come far accettare una pari svalutazione delle riserve in dollari e titoli di Stato alle grandi potenze extraeuropee che vorrebbero un dollaro forte per vendere al meglio le proprie esportazioni e, al contempo, un' accelerazione nella velocità di dedollarizzazione della economia mondiale?
Gli aumenti delle tariffe doganali possono, infatti, creare danni asimmetrici, ma l'aspetto più importante è che Trump potrebbe imporre quel cambiamento che comporterebbe un rallentamento del commercio mondiale: l'informazione di regime, infatti, sbandiera lo spauracchio della recessione dimenticando (chissà perché) che il terreno va recuperato grazie alla difesa della domanda interna derivante dalla sostituzione di importazioni.
La prospettiva, quindi, è doppiamente felice: la speculazione finanziaria dovrà cedere terreno all' economia reale; i produttori o lavoratori vedranno un aumento del loro potere democratico che è una funzione inversa della globalizzazione (lasciamo perdere il piccolo dettaglio che oggi sono le destre a difendere gli interessi dei lavoratori e le sinistre quelli dei mondialisti sotto scacco).
Se l'aumento delle tariffe doganali colpirà le importazioni non necessarie (quelle che diventa conveniente produrre all' interno) l' effetto inflattivo sarà sopportabile perché accompagnato a un aumento dei redditi interni (salari e profitti).
Questi cambiamenti avranno effetto anche sugli investimenti, orientandone di più sull'economia domestica e di meno su quella speculativa internazionale: ecco perché quest' ultima teme le strategie trumpiane; esse le toglieranno un po' di importanza e con due ulteriori conseguenze.
La prima è che servirà una protezione del risparmio più prudente e meno azzardata: tutto il contrario di quanto viene annunciato dalle massime autorità europee (almeno durante la prima metà del 2025) in termini di utilizzo forzoso del risparmio privato - depositi e conti correnti - per fronteggiare la minaccia russa; minaccia sulla cui effettività più di un osservatore indipendente ha manifestato radicali perplessità. Annunci, quelli delle massime autorità UE che possono spingere i risparmiatori verso l'oro e altri beni rifugio, ovviamente.
La seconda, che l'incremento di investimenti interni richiederà un cambiamento di politiche monetarie, sia sul fronte di un maggiore e meno ostacolato credito bancario, sia sul fronte di un crescente impegno degli Stati nazionali su molti aspetti dell'economia domestica e della cooperazione internazionale. È in ballo, infatti, il problema dei problemi, vale a dire la redditività degli investimenti stessi; solo lo Stato ne può effettuare - soprattutto fra i necessari - se il loro rendimento non è adeguato; ma lo Stato, a sua volta, non dovrebbe, alla lunga, finanziare gli investimenti con moneta a debito ovvero con aumento della pressione fiscale. E, allora, la questione finisce per rivelarsi la seguente: si deve scegliere una società disagevole - e sempre più arretrata come servizi necessari alle persone, all'ambiente e al patrimonio esistente - con conti pubblici tendenzialmente sostenibili? oppure una società equilibrata con conti insostenibili? certamente questa è la grande sfida che può risolversi solo con l'immissione di mezzi monetari a corso legale non a debito, ma capaci di stimolare quella produzione di beni immateriali e servizi alle persone, all'ambiente ed al patrimonio esistente di cui non si può e non si deve più fare ameno.