Nel contesto attuale segnato da guerre, pandemie e crisi climatiche, ci si chiede: come è possibile dare fiducia ai governanti che dovrebbero garantire il benessere di tutti?

Non tutti gli Stati custodiscono il bene dei popoli, molti confondono il riflesso del potere con il bene comune, come una luna che riflette la luce del sole ma non illumina chi sta nel buio della povertà.

I governanti si vestono di bandiere, di slogan e di propaganda, inseguono consensi, voti, proclamano sicurezza seminando la paura, di virus, di guerre, degli altri, della natura addirittura. Una società in cui domina la manipolazione e la narrazione monolitica è caratterizzata da controllo dell’informazione, omogeneità della voce pubblica e assenza di prospettive contrastanti.

Quando lessi Bakunin, da adolescente inquieta e con mille domande, fu come accendere un fiammifero, un fuoco divampò nel mio cuore e nel mio intelletto, diedi un nome a ciò che pensavo potesse essere un’organizzazione di esseri umani basata sulla libertà e sulla cooperazione, alternativa a quella esistente così dominante e castrante: Anarchia, dal greco anarkhia ‘assenza di governo’.

Nel respiro anarchico di Bakunin, la libertà è fuoco che non si può custodire in catene, ma è un’onda che rompe i muri e i confini di ogni potere che pretende di dire l’ultima parola su ogni aspetto della vita degli uomini.

Michail Aleksandrovič Bakunin (Prjamuchino, 30 maggio 1814 - Berna, 1º luglio 1876) è stato un anarchico, filosofo e rivoluzionario russo, considerato uno dei fondatori dell'anarchismo moderno, assieme a Pierre-Joseph Proudhon e Pëtr Alekseevič Kropotkin.

Durante la sua vita, viaggiò molto, partecipando a rivolte e movimenti nelle principali capitali europee. Bakunin sviluppò una concezione dell’anarchia come società senza Stato né autorità gerarchiche, basata sull’organizzazione federata di comuni liberi e sull’azione diretta, dando priorità alla libertà di espressione, di pensiero e di associazione. Criticò il socialismo statalista di Marx e la gestione centralizzata dell’economia, proponendo al contrario una rivoluzione spontanea dal basso e una federazione di comunità autogestite. Nel libro Stato e anarchia, Bakunin scrive:

Innanzitutto l'abolizione della miseria, della povertà, e la completa soddisfazione di tutte le necessità materiali per mezzo del lavoro collettivo, obbligatorio e uguale per tutti; e poi l'abolizione dei padroni e d'ogni specie di autorità, la libera organizzazione della vita del paese in relazione alle necessità del popolo, non dall'alto in basso secondo l'esempio dello Stato, ma dal basso in alto, curata dal popolo stesso al di fuori di ogni governo e dei parlamenti; la libera unione delle associazioni dei lavoratori della terra e delle fabbriche, dei comuni, delle province, delle nazioni; e infine, in un domani non lontano, la fraternità di tutta l'umanità trionfante sulla rovina di tutti gli Stati.

Tra le sue opere più influenti ci sono scritti come Statuti e dottrine dell'anarchismo e vari saggi dove espose l’idea del libero associazionismo, della solidarietà e della critica al potere. La sua campagna intellettuale lo portò a collaborare con altri esponenti anarchici e a partecipare a movimenti rivoluzionari in Europa, tra cui l’Operativa rivoluzionaria italiana e la Prima Internazionale, anche se ebbe duri conflitti con Marx e la corrente marxista.

Bakunin rimane una figura di riferimento per l’anarchismo libertario, con l’eredità di una critica radicale dell’oppressione statale e l’idea di una società organizzata dallo scioglimento delle gerarchie e dalla libertà federata.

L’anarchia secondo Bakunin è una teoria politica che mette al centro la libertà individuale e la trasformazione della società senza autorità coercitive. Lo Stato è quindi l’ostacolo all’uguaglianza, alla libertà e all’emergere della gioia; non custode, ma custode della dominazione e per questo deve essere abolito o drasticamente ridotto.

Bakunin difende la libertà individuale e critica lo Stato come “Ostinazione dell’oppressione” che spegne l’uguaglianza, propone invece una riforma sociale dal basso tramite associazioni liberamente aggregate (cooperative, sindacati, consigli operai), una socializzazione dei mezzi di produzione senza Stato, e una federazione di comuni autosufficienti. La rivoluzione popolare e l’organizzazione spontanea delle masse sono essenziali, ma senza violenza di uno Stato centralizzato; favorevole a una federazione volontaria piuttosto che a un stato centrale.

Nessuno stato, per quanto democratiche siano le sue forme, foss'anche la repubblica politica più rossa, popolare solo nel suo falso significato noto con il nome di rappresentanza del popolo, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole, e cioè la libera organizzazione dei suoi interessi dal basso in alto, senza nessuna ingerenza, tutela o violenza dall'alto, perché ogni Stato, anche lo stato pseudo-popolare ideato dal signor Marx, non rappresenta in sostanza nient'altro che il governo della massa dall'alto in basso da parte della minoranza intellettuale, vale a dire quella più privilegiata, la quale pretende di sentire gli interessi ideali del popolo più del popolo stesso.

Secondo Bakunin l’educazione e la cooperazione sono armi più potenti della violenza, come dargli torto. Le cooperative, i sindacati e i consigli operai diventano i semi della società futura.

Così come in una foresta ogni albero è parte del tutto e il vento circola tra rami comuni, così la proprietà dei mezzi di produzione deve servire la libertà degli individui, non la servitù di un potere e quindi va socializzata, gestita con democrazia, federazione e solidarietà.

La rivoluzione nasce dal volo delle masse, dall’organizzazione spontanea, dall’energia delle folle; nessuna brutalità centralizzata, nessun dominio dall’alto.

Per Bakunin la libertà di un individuo è legata alla libertà di tutti gli altri. Lo Stato, con la sua natura oppressiva, impedisce la realizzazione della libertà collettiva.

Ancora da La Comune di Parigi e la nozione dello Stato Bakunin scrive:

Sono un amante fanatico della libertà, la considero l’unica condizione nella quale l’intelligenza, la dignità e la felicità umana possono svilupparsi e crescere. Non la libertà concepita in modo puramente formale, limitata e regolata dallo Stato, un eterno inganno che in realtà non rappresenta altro che il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù degli altri... No, io mi riferisco all’unico tipo di libertà che merita questo nome... la libertà che non conosce le restrizioni se non quelle che vengono determinate dalle leggi della nostra personale natura, che non possono essere considerate vere restrizioni, perché non si tratta di leggi imposte da un legislatore esterno, pari o superiore a noi, ma di leggi immanenti ed inerenti a noi stessi, costituenti la base del nostro essere materiale, intellettuale e morale: esse non ci limitano, sono le condizioni reali e naturali della nostra libertà…

Viviamo in una società dove l’informazione viene filtrata per costruire consenso, riducendo la complessità dei problemi a slogan semplici e ripetitivi.

Le opinioni divergenti vengono marginalizzate o demonizzate, creando una percezione di realtà unica e invalicabile.

Le istituzioni tendono a presentarsi come portatrici di verità definitiva, sopravvalutando i propri successi e minimizzando i fallimenti.

Il discorso pubblico diventa allineato agli interessi di chi controlla i mezzi di comunicazione, con poche voci autorizzate e poche alternative disponibili.

La memoria collettiva viene modellata, selezionando ricordi ed eventi che supportano la narrazione dominante.

La critica e l’autonomia di pensiero sono ostacolate da meccanismi di pressione, censura o pressioni sociali. La fiducia diffusa si trasforma in conformismo: ci si accontenta di ciò che viene detto, senza mettere in discussione né analizzare criticamente.

Le decisioni pubbliche paventano stabilità e chiarezza, ma in realtà soffrono di mancanza di pluralismo, responsabilità e partecipazione reale.

Tutto ciò riduce la capacità di discernimento dei cittadini, inebetiti dai social media. Allora ho chiesto all’IA quale può essere una società ideale e questa è la risposta: una società ideale, forse, è una casa aperta dove ogni stanza è accessibile a tutti.

Giustizia che non si spegne al primo ostacolo, ma si rinnova come luce che attraversa le pareti.

  • Equità reale: opportunità che non dipendono dal nome o dal posto in cui nasci, ma dalle possibilità di crescere, imparare e contribuire.

  • Dignità per ogni vita: lavoro significante, reddito dignitoso, cura adeguata, istruzione libera e di qualità.

  • Responsabilità collettiva: comunità che prende cura dei più vulnerabili e ascolta le voci diverse, senza paura delle differenze.

  • Partecipazione concreta: cittadini informati, coinvolti, capaci di decisioni comuni, non solo spettatori.

  • Sostenibilità: rispetto dei limiti del pianeta, cura dell’ambiente, transizioni giuste verso il progresso.

  • Cultura della cooperazione: solidarietà tra individui, comunità e generazioni, piuttosto che competizione sfrenata.

  • Salute e benessere: accesso universale a servizi sanitari, sostegno psicologico, sport e tempo libero.

  • Sicurezza concreta: protezione dal crimine e dalla violenza, senza norme punitive che reprima la libertà.

  • Creatività e curiosità: spazio per l’arte, la scienza, l’innovazione, le religioni e le culture diverse.

  • Prospettiva globale: responsabilità verso gli altri popoli, cooperazione internazionale equa.

In breve: una società in cui i diritti fondamentali sono garantiti, la dignità è comune, la giustizia è effettiva, e il benessere non è privilegio di pochi, ma comune responsabilità.

E se lo dice l’Intelligenza Artificiale perché non riusciamo a realizzarla, noi esseri umani dotati di intelletto, cuore, anima e spirito?

L’Anarchia, se la concepiamo come organizzazione di un essere umano evoluto spiritualmente, è una sinfonia silenziosa che si snoda oltre i confini del potere. Non è caos privo di senso, ma ordine conquistato dall’imparare a rinunciare all’io per accogliere il Noi.

In questa visione, l’organizzazione non comanda dall’alto, ma discende dall’alto dentro ciascuno: un concentrare energie interiori, una disciplina dolce che trasforma la volontà in libertà condivisa.

La spiritualità, in questa cornice, non è dogma né dogmatico, ma sorgente che invita all’umiltà: riconoscere i limiti, accogliere l’ombra, celebrare la luce senza pretese di possesso. È una pratica quotidiana di libertà responsabile: rinunciare all’ingiustizia, rifiutare la violenza, coltivare la compassione come bussola e l’intenzione come vela.

Così, l’Anarchia diviene una casa senza muri, dove la fiducia è la pietra angolare e la responsabilità la chiave. Dove si lavora per la dignità di ogni essere, si crea con la consapevolezza che la potenza non è dominio, ma possibilità: la possibilità di crescere, di differire, di collaborare in armonia.