Come il mio cuore avvampò di fanciullesca passione
quando in lontananza al di là delle carici e della palude
nitida vidi profilarsi la santa città
cinta della sua corona di torri

(Oscar Wilde, Ravenna)

Se vogliamo provare a ragionare per esclusione e a ridurre le probabilità di errore nel pensare di ricostruire gli spostamenti del Graal non possiamo che pensare che insieme alla vera Croce di Cristo l’imperatrice Elena, madre di Costantino, da Gerusalemme riportò nella Nuova Roma anche il Graal di Cristo, il vassoio dell’ultima cena, pieno del preziosissimo e divino sangue della crocefissione e lì rimase per poco più di un secolo. Galla Placidia, la “nobilissima” figlia di Teodosio regnava da Ravenna, la capitale imperiale occidentale dal 402, e si recò a Costantinopoli con i figli nel 423 per poi tornare a Ravenna nel 425. L’ipotesi è che la “nobilissima” ottenne da suo cugino l’Imperatore Teodosio II il Graal di Cristo in cambio del riconoscimento dei diritti di Costantinopoli su tutto l’Illirico (i Balcani). Quando torna, l’imperatore occidentale Onorio è morto e Galla diventa reggente dell’Impero.

Questa ipotesi spiegherebbe perché Galla Placidia fa edificare tutta un’area sacra comprendente la chiesa della Croce, la chiesa di San Giovanni e l’edificio chiamato oggi “mausoleo” ma che non fu mai il suo sepolcro; oltre a spiegare perché Giustiano I si faccia rappresentare come detentore del Graal nel celebre mosaico di San Vitale: voleva ribadire tramite il segno ravennate del Graal la sua intenzione di ricostituire l’unità dell’Impero sotto Costantinopoli.

Altro indizio: Galla Placidia fa molti doni alla Chiesa di Ravenna quando era arcivescovo Orso, e l’orso è il segnale della funzione di difesa e custodia del Graal. Il ruolo di custode del Graal che può avere svolto Galla Placidia spiegherebbe gli attributi unici e regali che gli vengono ascritti in varie monete d’oro, dopo il 425: viene raffigurata in trono con i piedi su un cuscino, le braccia incrociate sul petto e il motto: Salus Rei Publicae e in un solido d’oro la regina mostra una corona di alloro, un diadema di perle, il crismon di Costantino sulla spalla sinistra e una forma circolare sopra il capo. Solo Galla Placidia reca questi segni di sovranità; nessun altro imperatore o imperatrice. In pratica l’imperatrice viene riconosciuta come un punto di riferimento spirituale molto importante tanto che San Germano di Auxerre porta in dono a Galla delle reliquie dall’Armorica (terra di Artù).

Ravenna stessa inizia a svolgere un ruolo imperiale sempre più importante: in questa città ad esempio vennero acclamati come imperatori sia Majorano che Livio Severo. Veniva chiamata “Felix Ravenna” e “città nobilissima” come nobilissima era definita Galla dalla corte di Costantinopoli. Oltre a ciò Giustiniano riconobbe il palio metropolitano agli arcivescovi di Ravenna la cui chiesa era la seconda in occidente dopo Roma. Massimiano, originario di Pola, consacrato arcivescovo ravennate da Papa Vigilio a Patrasso nel 546, sostituisce infatti il Papa in occidente mentre si trova a Costantinopoli. Era la prima carica religiosa occidentale, dopo il Papa.

Galla Placidia muore nel 450 e non a caso in uno dei primi romanzi arturiani del Graal (La cerca del santo Graal) si indica questa data quale tempo di riferimento dell’epos graalico, alludendo probabilmente all’apertura del problema della successione nella custodia della più importante reliquia della Cristianità dopo la morte della sua regina. Probabilmente arcivescovi ed esarchi di Ravenna si alternavano nella custodia del Graal, oppure l’arcivescovo custodiva il Graal e l’esarca la Lancia di Longino.

Un'altra segnaletica graalica è data dalla raffigurazione del re-sacerdote Melchisedelk e dai tre re Magi i quali compaiono sia in San Vitale che in Apollinare Nuovo. In San Vitale la sequenza dei tre re orientali che recano recipienti graalici e il berretto frigio compare anche nel sepolcro dell’esarca armeno di Ravenna Isacco (accusato di voler farsi imperatore) oltre che nelle vesti di Teodora nel celebre mosaico del suo corteo.

Da Galla Placidia in poi la chiesa di Ravenna mostrerà sempre una forte autonomia e desiderio di indipendenza dalla Chiesa di Roma, anche quando perderà il proprio ruolo politico e questo potrebbe spiegarsi per la presenza in Ravenna di quello che era ritenuto il maggior tesoro al mondo: il Graal, ritenuto capace anche di conferire prosperità, vittoria e gloria. I territori dominati direttamente da Ravenna andavano da Salone fino a Lucca e includevano persino la Sicilia oltre alla Pentapoli, cioè la “Romania”, ovvero: la “terra dei Romani”. Il canonico Agnello, storico e poi arcivescovo ravennate lui stesso, cita una lettera imperiale che loda la “santa madre chiesa di Ravenna”, la vera madre, veramente ortodossa…” (Ravenna, Juduth Herrin, cap.18). L’arcivescovo Mauro manderà Reparato, abate del monastero di Sant'Apollinare, in Sicilia per ottenere dall’imperatore Costante II l’autonomia della chiesa ravennate e l’ottiene da un editto imperiale del 666.

Solo la presenza del Graal potrebbe spiegare tale autonomia e prestigio spirituale. Questa inaudita concessione viene celebrata da un prezioso mosaico in Sant'Apollinare in Classe dove si mostra l’imperatore aureolato che concede il privilegio all’arcivescovo di Ravenna dandogli un rotolo con scritto sopra: Privilegia. Importante il fatto che il dignitario che riceve il rotolo per l’arcivescovo non lo tocca che con il mantello, segno di sacralità come fa Giustiano con il Graal in San Vitale, e il primo e ultimo dignitario a destra e a sinistra recano oggetti simbolici allusivi: il primo a destra, il più giovane, mostra un recipiente circolare, che ricorda allusivamente il Graal, con vicino un incensiere e il primo a sinistra, coronato, porta un modello di cupola circolare e aurea posata sopra una base quadrata.

Probabili allusioni al motivo del privilegio: la presenza del Graal di Cristo a Ravenna. Un corteo mistico-regale sulla falsariga di quello di Giustiniano e di Teodora a San Vitale. Quasi tutti gli arcivescovi di Ravenna diventano tali dal clero locale, dopo essere stati arcidiaconi: segno della necessità di formare in modo riservato i custodi del Graal tra un clero fedelissimo a autoctono? Ravenna ignorò la disposizione papale contro l’elezione a Pontefice dei laici disposto da Papa Costantino. L’arcivescovo Sergio divenne tale da laico, saltando la carriera ecclesiastica e così dopo di lui il laico Michele. Lo stesso Carlo Magno visita Ravenna per quattro volte, preferendola a Roma, come faranno anche gli Ottoni, fino ad Ottone III. La città tiene buoni rapporti già prima anche con i Merovingi: Venanzio Fortunato sarà inviato da Ravenna alla corte di a re Sigiberto a Metz mentre era arcivescovo Agnello.

Un’altra segnaletica graalica è data dalla presenza di preziosi oggetti d’argento da utilizzare nelle ritualità graaliche come i romanzi arturiani medioevali ci indicano. Il segno dell’argento su tavola e su vasi è frequente a Ravenna: Agnello come arcivescovo lascia alla nipote una tavola in argento e Carlo Magno nel suo testamento diede molti lasciti alla Chiesa di Ravenna tra cui un tavolo circolare d’argento massiccio, tanto che Ravenna fu la seconda Chiesa citata nel testamento, dopo Roma e prima di Milano; mentre l’arcivescovo Valerio donò alla Chiesa di Ravenna un tavolo a forma di platano pieno di vasi d’argento. Era presente a Ravenna infine una corona d’oro con perle di valore unico, ammirata anche da Carlo Magno ma non sottratta dall’imperatore: era la corona spettante al custode del Graal?

L’unica seconda data citata nei primi romanzi arturiani è il 750; altra data significativa in quanto in quel periodo si estingue la stirpe merovingia e finisce l’autonomia di Ravenna che viene conquistata dal re longobardo Astolfo. Finisce l’epoca aurea del Graal e il tesoro inizia ad occultarsi. La Chiesa di Ravenna continua però nella sua autonomia e la città resta spiritualmente importante fino alla visita di Ottone III. Il rapporto diretto degli arcivescovi ravennati con gli imperatori carolingi e poi ottoniani può essere spiegato in questa logica con l’interesse del Sacro Romano Impero a difendere la Lancia e il Graal quali reliquie imperiali e traboccanti grazie e con il simmetrico interesse di Ravenna a continuare ad essere la sede di questa custodia rituale.

Altro segno della perpetuazione graalica ravennate fino a Ottone III è dato appunto dall’analoga continuazione della rivalità tra Ravenna e Roma anche dopo la morte di Carlo Magno. Anche gli imperatori ottoniani preferirono Ravenna a Roma tanto che è l’arcivescovo di Ravenna Giovanni che incorona il giovane Ottone II nel 983 e da Ravenna parte il corteo per Aquisgrana per portare all’incoronazione il figlio di Ottone II e della principessa bizantina Teofano che dopo sette anni torna a Ravenna e sceglie il suo arcivescovo quale suo principale consigliere. Ottone III impone come arcivescovo di Ravenna l’abate di Bobbio Gerberto di Aurillac, dotto studioso che si occupò anche del tema del sangue di Cristo e che diventerà nel 999 Papa Silvestro II, nome chiaramente richiamante il Papa di Costantino: Silvestro I.

Alla morte di Ottone III che ne è del Graal? Dopo Ottone III il ruolo di Ravenna declina anche a causa dell’ostruzione dei canali che la collegano al mare e declina a tutto favore di Venezia, la nuova Ravenna. Lì viene spostato il Graal, in quella città più difendibile e dove è maggiormente occultabile tra centinaia di chiese e isolette? Le famiglie patrizie veneziane più antiche sono dette “apostoliche” e sono dodici a cui vanno aggiunte le quattro famiglie dette “evangeliche”. Erano queste stirpi nobili tra Aquileia, Torcello, Altino, Ravenna, Grado e Eraclea la nuova “guardia nobile” del Graal? Non sono sedici i principali cavalieri arturiani dei primi romanzi graalici medioevali e le stirpi nobili franco-merovinge connesse con questi racconti?

Probabilmente fu Venezia la successiva localizzazione segreta del Graal. Ne abbiamo un indizio dall’incontro riservato che Ottone III ebbe con il tredicesimo doge Pietro II Orseolo (cognato dell’imperatore di Costantinopoli) che incontrò due volte: a Pomposa e a Venezia, doge il cui figlio Enrico ebbe come padrino al suo battesimo addirittura l’imperatore Enrico II, il Santo. Il figlio Giovanni sposò la nipote dell’imperatrice di Costantinopoli. Venezia da allora in poi ebbe sempre ottimi rapporti sia con gli Imperatori germanici che con Bisanzio. Pietro II Orseolo sottomise a Venezia la Dalmazia pacificamente trasformandola in un vero ducato, anche come estensione (anche se fu l’imperatore Lotario che già diede il titolo di dux al terzo doge). Un effetto del potere soprannaturale della massima reliquia?

Sul rapporto tra Ottone III e l’immaginario graalico abbiamo già scritto e qui riepiloghiamo velocemente: basti osservare l’evangelario di Liuthar di Aquisgrana (un mistico e apostolico drappo bianco abbraccia l’imperatore) e l’evangelario conservato a Monaco di Baviera presso la Bayerische Staatsbibliothek dove, invece una donna allegorica raffigurante Roma offre il Graal all’Imperatore o meglio: ne riconosce l’appartenenza imperiale mentre il sovrano regge il globo del mondo e uno scettro astile imperiale, già costantiniano, il quale appare sormontato dalla graalica colomba. Dall’arcivescovo Orso di Ravenna ai primi Dogi di Venezia, tra cui il nome Orso o nomi simili sono frequenti: ecco un possibile percorso del Graal. L’orso indica la difesa della presenza del Graal di Cristo.