Quando scrivo o dipingo, ogni tanto alzo lo sguardo per controllare la vita del mio albero. Sono un po’ preoccupata. Oggi è il 10 agosto, San Lorenzo, e qui invece delle stelle scendono a terra le prime foglie gialle. Mi sembra un declino un po’ prematuro. Lo guardo attentamente e in alcune zone le venature gialle superano le foglie verdi. È nel suo momento migliore e contemporaneamente ha inizio la metamorfosi che in autunno, almeno spero non prima, riporterà la sua immagine come era quando disegnavo i suoi rami spogli. Questo albero è potente. Mi ricorda le statue di Michelangelo, quando nel momento del massimo splendore, annunciano il dubbio, la caduta. Ora mi protegge e segnala se il mare sarà calmo o mosso a seconda della leggera brezza o del vento che lo agita. Ma soprattutto copre ancora la visione e l’azione della ristrutturazione del condominio di fronte che mi impedirebbero di scrivere quello che scrivo. Forse mi ci rifletto, forse mi assomiglia perché guardandolo nascono e prendono forma i miei pensieri.

Non è il solo, però, che tiene sveglia la mente e mi guida nella scrittura.
In questo momento la promessa di felicità è tutta nel mare. Scrivere è come nuotare, in tutti e due i casi occorre quasi nulla. Il minimo, l’essenziale. Nella parola orale mi perdo, nella scrittura invece trovo il mio ritmo, la mia scansione. Traduco le partiture del corpo e dipano la logica di quel tanto che c’è da dire. E il mio processo comprende il nuoto e la scrittura in egual misura. Da dove mi trovo non posso dire che il nuoto è un esercizio del corpo e la scrittura un esercizio della mente. Penso che il corpo non abbia luoghi privilegiati. La mente non procede da sola nei luoghi del pensiero. È il corpo tutto intero a salire o a scendere. Accade così che quando nuoto scrivo e quando scrivo nuoto. Sempre per via di reciprocità e di confluenza quando nuoto traccio, scrivo la scia d’acqua tra terra e cielo.

L’oscillazione scandisce il tempo del respiro e della bracciata; il corpo si allunga, accarezza e viene accarezzato dall’aria, dall’acqua. In armonia con gli elementi traduco, scrivo uno stato di grazia. Lo stato di grazia dell’armonia, della leggerezza, del piacere, della libertà. Mentre nuoto si compie la mia metamorfosi; da vecchia signora -vecchia non lo sarò mai - a un fiore di ragazza che si dona agli elementi della natura. A volte la metamorfosi raggiunge altri tempi e ritorno dai miei antenati; i pesci appunto.

Nei giorni prefestivi e festivi, però, non vado alla mia spiaggia perché è troppo frequentata. Così in queste due giornate modifico i miei movimenti. Prendo la bicicletta e vado verso il fiume. Mi sveglio con l’idea di agire in fretta cercando di muovermi quando la temperatura è ancora abbastanza sopportabile; colazione veloce - non ci riesco quasi mai, m’incanto a guardare l’albero, appunto - vestizione rapida - impossibile - l’acqua alle piante nei due terrazzi la darò nel pomeriggio, lavastoviglie e polpettone di tonno e patate per Manlio sono lavori di Ida che è una cuoca bravissima. Però quando mi muovo in fretta, come questa mattina, esco di casa alle 10.30; per il giro in bicicletta è tardissimo. Ci sono già 34 gradi. Sono lenta; anche ora, è maggiore il tempo che trascorro controllando le foglie del mio albero, che quello dell’impegno alla scrittura.

Mi perdo.
Mi perdo nelle ombre e nella luce.

Allora parto anche questo sabato alle 10.38. Sono così precisa perché nel manubrio della bicicletta ho uno strumento di precisione che mi dovrebbe informare soprattutto sui chilometri che divoro strada facendo - ma io non “divoro”, sono lenta, mi superano anche queste ragazze che corrono in gruppo- però non lo so regolare, così è fermo all’orologio e lì sta. L’asfalto è rovente, pedalo alla ricerca di zone d’ombra. Nel piccolo parco che separa la città dal Borgo Montone, c’è una panchina protetta da lecci; è la mia prima sosta. Sono un essere imperfetto, ho alcuni limiti. Tra questi, la lentezza non mi permette nessuna forma di accelerazione. Sì, sono lenta. Già l’espressione “in tempi brevi” mi mette angoscia. Per essere in sintonia con l’attuale accelerazione, è necessario correre e non fermarsi mai. Invece io vado lentamente. Come una lumaca.
E come una lumaca mi guardo attorno. Mi fermo. Entro in relazione con ciò che mi circonda.
Vedo e riconosco.

Ma accade spesso che qualcun* o qualche cosa mi superi. In questo caso mi superano, non solo in lentezza, le lumache che l’artista e amico Marcello Landi guida e orienta nei luoghi dell’arte.

Ecco quello che mi racconta:
“Le lumache e le chiocciole vengono da Alfonsine. Me le portava Elena. Nessuno ha mai dipinto la bava di lumache. Di solito uso gli stencil su un tessuto di velluto, altre volte le lumache vanno dove vogliono; le richiamo versando gocce di birra. In questo periodo vivono in giardino con le tartarughe. Ritornando alla realizzazione delle opere, a volte intervengo con i mosaici più antichi del mondo, le coproliti: sono feci fossilizzate ricavate o trovate 10 o 11 milioni di anni fa. Comunque già negli anni ‘80 facevo lavori su velluto, con le chiocciole. Nella mostra “Dante: ritratto del poeta da giovane” del 2021, vi erano, in una delle tre opere -la più grande- trentatré lumache in azione che rendevano l’opera viva, mutandone lentamente forma e riflessi. Alla fine della mostra le abbiamo restituite al loro ambiente naturale, in quel caso, la zona della Tomba di Dante”.

Naturalmente Marcello Landi non è tutto qui. È un’artista alchimista che lavora con inchiostro, vetro, piombo, zolfo. In questo periodo di accelerazioni forzate, il suo lavoro si muove nella fatale dilatazione di un tempo che, tra sentimento e ragione, fissa lo sguardo su azioni solo apparentemente minime e ce le ridona centuplicate. L’attenzione, che richiede tempi lunghi - la lentezza quando scende o sale in profondità - ci rivela il mormorio di secoli e contemporaneamente scopre il valore di altre vite. Vi è una lentezza infinita in questo andare verso altri mondi; vi è inoltre quello sguardo ben disposto che vede altre creature, irripetibili.

Forse, di nuovo, mi sono persa. Può apparire che ho smarrito il cammino, ma in realtà si tratta sempre dell’elogio alla lentezza. Mentre io mi tengo all’acqua, Marcello si tiene alla terra come ad una mano amica.