La notte del 21 settembre scorso è una data che difficilmente scorderò.
Non tanto perché il 21, già dal 1981, è stata dichiarata Giornata Internazionale della Pace dalle Nazioni Unite – in un’epoca di pazzi come l’attuale fa quasi tenerezza – ma non posso scordarla perché il piano seminterrato della nostra casa - un mulino ad acqua e, pertanto, posizionata a ridosso di un ruscello che, a causa delle forti piogge per una notte si credette il Rio delle Amazzoni - fu inondato dalle sue acque.
Sapevamo che quella notte avrebbe piovuto e anche abbondantemente, ma in più di trent’anni che viviamo lì una cosa simile non era mai successa. Mi ero già svegliato una volta a causa del forte temporale ed ero sceso a verificare la situazione: un po’ d’acqua saliva dal pavimento della cantina, ma non sembrava preoccupante. Provai a tornare a letto, anche per non allarmare mia moglie Cristina, ma poco dopo sentii gli scarichi dei lavandini e della doccia gorgogliare.
Uscii immediatamente e staccai i tubi che dagli scarichi andavano nella fossa biologica, da noi non c’è fognatura, in modo che l’acqua non risalisse fin dentro casa. Pioveva copiosamente e i lampi si susseguivano senza sosta. Provai a rimettermi a letto, ma senza riuscire a prendere sonno. Ad un certo punto sentii dei rumori provenire sia dalla cantina che dal locale caldaia; botte molto forti alle quali non riuscivo a dare spiegazione. Ancora una volta uscii sotto l’acquazzone per dirigermi in cantina e questa volta vidi che l’acqua era salita almeno di un metro. Scesi bagnandomi fino alla vita e quando aprii a fatica la porta della cantina mi vennero incontro il freezer e gli altri mobili. I colpi che sentivo erano i mobili e gli oggetti vari che si scontravano tra di loro.
Chiusi immediatamente la spessa porta di castagno e staccai la luce al piano cantinato. Svegliai Cristina e corsi a chiamare un amico che era nostro ospite nella piccola dependance. Lui aprì la porta stralunato, non capendo perché lo svegliassi nel bel mezzo della notte, ma lo capì quando vide che il fiume rabbioso stava per entrare in casa. Presi tutto il necessario e partimmo in macchina verso la casa di un nostro vicino; la strada era parzialmente crollata, ma riuscimmo comunque a passare. Per svegliarlo dovetti battere dei colpi molto forti alla sua porta: sembrava che, in quella circostanza eccezionale, tutti dormissero come dei ghiri tranne me.
Quella notte la furia del fiume ci portò via centinaia di metri di recinzione, decine di alberi, tra cui un fico di cui andavamo orgogliosi con una chioma immensa; scoprì le fondazioni della casa e distrusse il lavoro dei trent’anni che avevamo impiegato a rendere quel posto abbandonato in un paradiso, come ci diceva chi ci veniva a trovare. Durante quella notte ero perfettamente lucido e sapevo molto bene cosa dovessi fare. Ma una volta in salvo, quando con le prime luci dell’alba smise di piovere, mi calò addosso una stanchezza infinita.
Ho voluto cominciare questo articolo con il racconto di una vicenda personale e mi scuso per questo, ma l’ho fatto perché mi piace parlare di cose che conosco e non tanto per sentito dire. Certo, avrei preferito che non fossi toccato da un evento così tragico, ma questo mi dà la possibilità di scrivere di un argomento di cui si parla molto, soprattutto quando succedono eventi catastrofici, ma poi va nel dimenticatoio: parlo del dissesto idrogeologico del nostro territorio.
Quindi vi porto la mia esperienza.
Visto il luogo in cui abito è stata sempre mia preoccupazione conoscere le regole alle quali attenermi per la gestione del mio terreno. Dovendo scrivere questo articolo e attenendomi il più possibile a fonti attendibili, cosa che cerco di fare sempre quando scrivo, ho cominciato un viaggio tra i vari siti degli enti preposti per capire ancora più a fondo quali siano le normative che delimitano gli ambiti d’intervento e quali gli enti preposti a tale compito. Nella navigazione ho attraversato mari in tempesta, correnti che mi portavano in direzioni opposte e contraddittorie, mi sono perso in anfratti di leggi e allegati, fino a infrangermi contro miriadi di rimandi a regolamenti pregressi. Se non si è burocrati navigati è meglio starsene in casa al sicuro.
Ma in casa non sono più al sicuro, vista la recente esperienza, perché se anche mi astengo dal navigare in queste acque turbolente, sono loro che vengono a farmi visita. Mi rendo conto che io e mia moglie non siamo un numero rilevante per le statistiche degli alluvionati, ma vi assicuro che per noi due l’alluvione è un evento rilevante. E comunque non è questo il dato sul quale riflettere con voi, ma la condizione in cui versa il nostro territorio nazionale.
Come accennato in precedenza abito con mia moglie in un mulino nella provincia di Alessandria a confine con la Liguria, terra fin troppo spesso salita agli onori della cronaca per vicende legate al dissesto del suo territorio. Vi abito da più di trent’anni e, in tutto questo tempo, ho visto solo due volte passare gli addetti della Forestale a fare manutenzione. Per chi abita in città devo spiegare che la manutenzione delle sponde delle acque pubbliche spetta agli organi competenti; se voi siete proprietari di terreni che confinano con fiumi o torrenti vi è preclusa la possibilità di tagliare alberi o arbusti che sorgono sugli argini. Perlomeno, così mi hanno detto le due squadre che ho visto in questi anni e così riportano alcuni siti, come quello della Regione Piemonte dove si legge che la gestione della vegetazione lungo i corsi d’acqua è “[…] una delle attività principali delle Squadre forestali […]”.
Sembrerebbe che la fascia di rispetto vari alquanto da regione a regione (per la Regione Piemonte è stabilita in 10 metri dal ciglio di sponda dell’alveo inciso: infatti, quando ho costruito la mia recinzione mi sono attenuto a queste regole. La manutenzione dei corsi d’acqua, inoltre, non prevede solo la rimozione di alberi e arbusti presenti nel loro alveo o nelle fasce di rispetto dai confini degli stessi, ma anche della rimozione del materiale lapideo che, nel caso della Regione Piemonte, viene demandata ai Comuni, graziandoli, nel caso di urgenze, non facendogli pagare nulla come canone per l’asportazione del materiale litoide (Sic!). Però, se le autorità non intervengono periodicamente e se i proprietari non possono intervenire, chi assolverà alla manutenzione degli argini e degli alvei?
E così a causa dei vari fenomeni atmosferici che hanno fatto di recente la loro comparsa in Europa come bombe d’acqua, grandinate mai viste prima, cicloni, uragani e temporali autorigeneranti – come quello che si è abbattuto sulla mia zona – (alla faccia di chi dice che il clima non sta mutando), accade che i territori che vengono lasciati nell’incuria più totale a un certo punto franino (dalle mie parti un anno sì e l’altro anche le strade sono interrotte da frane che restano lì per anni, prima che arrivino i fondi ai Comuni che non dispongono di risorse nemmeno per pagare gli stipendi ai pochi dipendenti), i fiumi esondino e chi ci va di mezzo sono sia le persone che vengono danneggiate e lasciate completamente sole dalle autorità, ma anche la natura stessa che viene sconvolta e danneggiata dalla nostra negligenza. I dati ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) del Piemonte riferiti a quella notte parlano di una quantità di pioggia cumulata dalle ore 00 alle 7:30 di 335,7 mm, più o meno la quantità di pioggia caduta in tutto il 2023. Il torrente dietro casa mia sfocia nel torrente Erro che quella notte registrò un incremento complessivo del livello idrometrico di 5,5 metri in sei ore.
Il nostro territorio, l’Italia, è uno dei Paesi più belli al mondo; viaggio da parecchio tempo in lungo e in largo e non ho mai visto una nazione che abbia una tale concentrazione di paesaggi incantevoli come la nostra. Anche se non fossimo tra i cinque Paesi più visitati al mondo (e dovremmo capire come mai davanti a noi si piazzino sempre Spagna e Francia alle quali sia dal punto di vista paesaggistico che da quello delle opere d’arte non dobbiamo invidiare proprio nulla), anche se l’Italia fosse a beneficio di soli noi italiani dovremmo prenderci molta più cura del nostro territorio, se non altro per rispetto nei confronti di chi ci ha preceduti. Nell’evento del 21 settembre il ponte medievale di S. Rocco a Spigno Monferrato è stato danneggiato dalla piena del Bormida. Non era mai successo in più di 800 anni! Come mai?
Perché chi viveva su queste terre decenni e centinaia d’anni prima di noi si è preso cura dei propri posti, perché all’epoca non c’erano Corpo Forestale, Regione e quant’altro. I nostri antenati si sono rimboccati le maniche e hanno costruito gli argini dei fiumi con le pietre dell’alveo, contribuendo, così, all’abbassamento dello stesso. Con le pietre cavate dai terreni per renderli coltivabili hanno innalzato i muretti a secco, sia per delimitare le proprietà che per terrazzare le zone collinari. Con le stesse pietre hanno costruito le case dove ancora oggi viviamo e hanno realizzato i muri di contenimento delle strade che noi percorriamo. Compito questo che dovrebbe essere a carico delle Regioni, le quali in alcuni casi lo demandano agli Enti locali, come scritto in precedenza e nel caso dell’alluvione avvenuta in Piemonte nell’aprile 2025.
A volte mi capita di andare nei boschi dove vivo e anche dopo essermi addentrato per ore, scopro muretti a secco per contenere i terreni più franosi. Questo vuol dire che chi ci ha preceduto, con gli scarsi mezzi di cui disponeva, si è preso la briga di fare tanta strada per portare un beneficio apparentemente “superfluo” perché non visibile, ma importantissimo per la tutela del territorio. Il mulino dove abito è costruito con le pietre del torrente, così come tutte le abitazioni a me vicine ed è lì da più di trecento anni e sono sicuro che nella cantina non è mai entrata l’acqua, proprio perché era lì che macinavano le farine, per cui non si sarebbero potuti permettere di mandare all’aria un anno di raccolto. Come sono anche sicuro che in tutti questi anni qualche bel temporalone ci sia stato.
Ma questo è potuto accadere perché chi vi abitava si prendeva cura del proprio posto; tagliava gli alberi prospicenti il rio, estraeva le pietre dall’alveo e alzava periodicamente gli argini sempre con quelle pietre. Ma oggi non possiamo più farlo, neanche volendo, perché ci devono pensare gli enti preposti. E allora che ci pensino o, almeno, che ci diano la possibilità di pensarci noi, invece di multarci se lo facciamo.
È come vivere in una nazione schizofrenica che da un lato si propone come garante del territorio e della salute dei suoi cittadini - ma poi non fa il lavoro che le compete – e dall’altro penalizza chi vorrebbe porre una pezza alle sue manchevolezze.
Una vera e propria contraddizione.
Note
Gestione della vegetazione lungo i corsi d’acqua, Regione Piemonte.
Linee guida, Regione Piemonte.
Interventi di manutenzione idraulica con asportazione di materiale litoide, Regione Piemonte.
Rapporto evento 21-23 settembre 2025, Arpa Piemonte.
Ordinanza in seguito agli eventi meteorologici verificatisi dal 15 al 17 aprile 2025, Regione Piemonte.















