Il XIII secolo d.C. (o Duecento), periodo della Storia medievale rientrante nel cosiddetto Basso Medioevo (anni 1000-1492), fu caratterizzato in Italia dalla costante contrapposizione tra l’Impero ed il Papato, alla quale corrispondeva la divisione ideologica e l’incessante lotta tra i “ghibellini”, sostenitori del potere imperiale, ed i “guelfi”, schierati a favore dell’autorità del Pontefice e delle libertà comunali.

Già nel contesto socio-politico tedesco del XII secolo, il termine “ghibellino” indicava in origine la fazione che parteggiava per la casa di Svevia nella lotta per la corona tedesca - Weiblingen era uno dei castelli più importanti degli Svevi (favorevoli a ridurre l’influenza del Papato) e questa voce divenne ben presto un grido di battaglia -, mentre il termine “guelfo” indicava la fazione a favore dei duchi di Baviera e Sassonia - Welfen era infatti una denominazione riferita alla casara bavarese, punto d’appoggio del Papato in Germania.

In questo quadro storico, Parma, città guelfa, fu ripetutamente presente al fianco del Papato e delle città ribelli del Nord Italia - quali, ad esempio, Milano, Brescia, Mantova, Bologna, che formavano una federazione nota come “Lega Lombarda” -, e svolse un ruolo cruciale, non soltanto dal punto di vista politico, ma anche sotto l’aspetto economico: in particolare, essa controllava le preziose saline di Salsomaggiore, risorsa essenziale per la conservazione degli alimenti e fonte di ricchezza per il territorio parmense, rappresentando così un polo di attrazione per i mercanti ed un bersaglio desiderabile per le mire e gli interessi dell’Impero.

Federico II di Svevia (1194-1250), Re di Sicilia (dal 1198), Re dei Romani e di Germania (dal 1212), Imperatore (dal 1220, in virtù dell’incoronazione nella Roma di Papa Onorio III), Re di Gerusalemme (dal 1225, in seguito alla vittoriosa Crociata, la sesta in Terra Santa), dopo alterne vicende era stato scomunicato nel 1239 da Papa Gregorio IX e, nel 1245, il Concilio di Lione ne aveva decretato la deposizione dal trono imperiale.

Negli anni successivi, Federico, volendo procedere a restaurare l’ordine e la pace nei territori ribelli del Nord Italia, pose l’assedio a Parma con una campagna che durò dal Luglio 1247 al Febbraio 1248: con grande determinazione militare e visione di imperialismo totalitario, l’Imperatore fece prima circondare la città guelfa e radere al suolo il territorio circostante per poi ordinare, nell’autunno del 1247, la costruzione di una nuova città di fondazione imperiale, chiamata significativamente “Vittoria”, nome che evocava con arroganza un trionfo ritenuto già certo ed acquisito.

Si trattava, in realtà, di un castrum, un imponente accampamento fortificato, fatto erigere in una località chiamata La Grola, nei pressi delle mura di Parma, in una zona rinomata per le vigne e la bontà del vino, come viene ricordato dal religioso e scrittore Fra Salimbene de Adam da Parma (1221-1288) nella sua Cronica; in questo nuovo centro - che nelle intenzioni imperiali avrebbe dovuto sostituire la città parmigiana assediata e poi distrutta -, al fine di rafforzare la propaganda dell’annunciato successo imperiale, erano presenti anche una chiesa, dedicata a Sanctus Victor (San Vittorio o San Vittore), ed una Zecca monetaria, che batteva le monete d’occasione, le cosiddette Victorine, Vittorine o Denari Vittorini.

Ma contrariamente alle aspettative di un facile trionfo, il 18 Febbraio 1248 le forze imperiali subirono una devastante sconfitta per mano dei difensori parmigiani che, sferrato un attacco a sorpresa, distrussero il campo e decimarono gli occupanti, approfittando verosimilmente anche della temporanea assenza dell’Imperatore Federico, allontanatosi per una battuta di caccia nella Valle del Taro insieme al figlio Manfredi e ad un gruppo di cavalieri; la città di Vittoria, nonostante il suo nome benaugurante, fu saccheggiata ed umiliata altresì con la sottrazione degli oggetti preziosi del tesoro imperiale, compresa la stessa corona, finita nel bottino degli esultanti cittadini di Parma.

Federico II, ormai cinquantenne, subì in tale occasione la sconfitta più grave ed appariscente del suo regno, ma riuscì comunque a trovare rifugio, rimanendo naturalmente furioso ed addolorato: infatti, viene descritto come “un orso al quale siano stati uccisi i suoi cuccioli” nelle memorie di Fra Salimbene da Parma, che scriveva all’epoca verosimilmente con maligna soddisfazione.

La moneta dell’assedio, il “Vittorino”, era essenzialmente una valuta di guerra, che rispondeva ad una esigenza specifica, locale e temporanea, cioè sostenere economicamente l’esercito imperiale, nonché le transazioni commerciali della zona, durante la prolungata campagna militare; il nome stesso, che evocava un’auspicata “piccola vittoria”, era un’esplicita dichiarazione d’intenti, che tuttavia la sorte beffarda stravolse in una clamorosa sconfitta.

Il crollo della progettata “città della vittoria” e la distruzione della sua valuta gettarono un’ombra sulla grandiosa visione imperiale, emblematicamente rappresentata dalla prestigiosa moneta d’oro di Federico II, l’”Augustale”, e misero in luce così i limiti del potere centralizzato di fronte alla forte resistenza delle autonomie locali.

Per la sua breve e fugace esistenza nell’ambito di un contesto bellico che ne determinò la rapida scomparsa, il “Vittorino” costituisce un oggetto di straordinaria rarità nel panorama numismatico medievale: più che una semplice moneta da collezione (ovviamente molto ricercata), esso rappresenta un’eccezionale testimonianza materiale di un evento storico e drammatico, una reliquia della sconfitta imperiale, un’eco metallica di un progetto fallito, una preziosa fonte informativa primaria di un momento cruciale della Storia in cui la spavalda fiducia di un Imperatore si scontrò con la tenace resilienza di una Città.

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La moneta coniata a Vittoria, il “Vittorino”, testimonianza numismatica della disfatta imperiale, che tanto stupore suscitò tra i contemporanei, era un “Denaro” d’argento, probabilmente “scodellato” – cioè, a forma di scodella, tipologia in uso nei secoli X-XIII -, con un peso di circa 0,75 grammi per un diametro di circa 20 mm, recante la legenda riferita all’impresa imperiale: al dritto l’iscrizione + FED ROMA(NO)RVM (“Federico, Re dei Romani”), al rovescio + VICTORIS (“del Vincitore”) e al centro I.P.R.T. (ImPeRaTor), come da riproduzione dei rarissimi originali.